Introduzione
«Invece di considerare i dati della realtà sociale e politica in cui vivevano, invece di individuare i problemi particolari di una rivoluzione "italiana" e di "inventare" un programma di lotta che potesse metterla in pratica, i socialisti italiani non sapevano che gridare come allucinati: "Viva i Soviet!"».[1]
Così dall’esilio parigino, Angelo Tasca commentava, vent’anni più tardi, l’atteggiamento del suo stesso partito in quel drammatico frangente della storia italiana etichettato come “biennio
rosso”.
Il periodo compreso tra la fine della Grande Guerra e la Marcia su Roma è generalmente bollato dalla storiografia come “crisi dello stato liberale” e “origini del fascismo”. In esso spicca per
intensità il biennio 1919-1920, ricordato e studiato come un inaspettato antecedente del successivo ventennio nero. Allo stesso tempo, momento di massima auge e di capitolazione definitiva del
movimento operaio italiano: alle immagini delle pacifiche occupazioni delle campagne e delle fabbriche si succedono rapidamente le immagini delle violenze delle squadre fasciste.
La storiografia repubblicana ha versato litri d’inchiostro sulla Comune di Parigi del movimento operaio italiano, soprattutto nel decennio posteriore al Sessantotto. Come per il soggetto politico
principale – il socialismo massimalista – anche per una delle questioni cruciali di quel momento – la costituzione dei Soviet – l’oblio, consapevole ed inconsapevole, ha avuto il sopravvento. Negli
anni del pansindacalismo e dell’ultima sfida a grande scala della “democrazia operaia” al sistema capitalista, l’attenzione, se non è andata alla nascita del PCd’I e alla figura di Bordiga, è stata
tutta per gli esperimenti consigliari del gruppo ordinovista e per le teorizzazioni di Antonio Gramsci[2]. Lo studio del passato
rifletteva un interesse determinato alla messa in pratica nella politica del presente. Così, la questione della costituzione dei Soviet in Italia non ha avuto fortuna né in campo politico né in
sede storiografica, al pari del personaggio che per primo la propose, Nicola Bombacci. Al di là di qualche superficiale accenno in opere di più vasta portata o in qualche sporadico articolo[3], questa problematica e questo pezzo di storia del socialismo italiano sono stati lasciati in un cassetto.
La questione della costituzione dei Soviet fu, al contrario, un tema centrale nel socialismo italiano del “biennio rosso”. Già al XVI Congresso Nazionale del PSI (Bologna, ottobre 1919), nella mozione della frazione massimalista elezionista di Serrati, Gennari, Salvatori e Bombacci si riconobbe
«che gli strumenti di oppressione e di sfruttamento del dominio borghese (Stati, Comuni e amministrazioni pubbliche) non possono in alcun modo trasformarsi in organismi di liberazione del proletariato; che a tali organi dovranno essere opposti organi nuovi proletari (Consigli dei lavoratori, contadini e soldati, Consigli dell’economia pubblica, ecc.), i quali, funzionanti da prima (in dominio borghese) quali strumenti della violenta lotta di liberazione, divengano poi organismi di trasformazione sociale ed economica, e di ricostruzione del nuovo ordine comunista»[4].
Alla Camera dei deputati, il 13 dicembre 1919, il segretario politico del PSI Bombacci, nel documento parlamentare di risposta al discorso della Corona del 1 dicembre, propose l’emendamento:
«è quindi legittima la costituzione dei Consigli dei Lavoratori, assegnando ad essi tutto il potere politico ed economico, affinché anche in Italia, come nella gloriosa Russia dei Soviets, si giunga ad un assetto sociale basato sul principio: Chi non lavora non mangia»[5].
Ed esattamente un mese più tardi, al primo Consiglio Nazionale del PSI (Firenze, 11-13 gennaio 1920), lo stesso Bombacci espose il progetto per la costituzione dei Soviet in Italia. Il leader
massimalista romagnolo invitava, in questo modo, «la Direzione del Partito ad iniziare un’ampia discussione fra le masse operaie del Partito e coi rappresentanti dell’organismo di classe”, affinché
si provvedesse “alla definitiva costituzione dei Consigli dei lavoratori»[6].
Tra l’ottobre del 1919 e il gennaio del 1920 si era già sviluppata una certa discussione riguardo alla questione soviettista. A. Tasca sull’«Ordine Nuovo» e A. Bordiga su «Il Soviet» avevano
iniziato a delineare due delle posizioni chiave del futuro dibattito interno al socialismo italiano. Dopo la lettura del progetto bombacciano al C. N. del PSI di Firenze, calò però per due
settimane il silenzio sulla costituzione dei Soviet in Italia. Il 28 gennaio venne finalmente pubblicato sulle pagine dell’edizione milanese dell’«Avanti!» il progetto, dopo che se ne andava
chiedendo la divulgazione a livello nazionale dalla metà del mese.
H. König, nel suo studio dei rapporti intercorsi tra il socialismo italiano e Lenin nel periodo 1915-1921, rileva come, dopo tale pubblicazione, continuò la discussione «invero assai astratta,
sull’essenza e la funzione dei Soviet, dando alle singole correnti del PSI l’occasione di rimproverarsi a vicenda di non aver capito l’essenza del sistema sovietico, di misconoscere lo spirito dei
tempi e di mancanza d’autentico spirito rivoluzionario.»[7] E come Tasca, un altro dirigente socialista in esilio, P. Nenni, sosteneva
nel 1926 che «la discussione fu assai confusa e mostrò come si trattasse di un problema non sentito dal Partito»[8]. Se ciò può anche
essere vero parzialmente per quanto concerne la base, i militanti, tale affermazione non è assolutamente applicabile alle alte sfere del partito socialista. Seppur a fatica, la discussione tanto
sollecitata da Bombacci in qualità di segretario politico e di promotore del progetto soviettista venne infine accolta al punto che si può affermare con certezza che il dibattito riguardo alla
costituzione dei Soviet in Italia, tanto rapidamente dimenticato nei decenni seguenti, fu centrale nel socialismo italiano per almeno quattro mesi, dal gennaio all’aprile 1920. Registrò gli
interventi di tutti i maggiori dirigenti del PSI e degli intellettuali socialisti del tempo sia sulle colonne del quotidiano nazionale del partito, l’«Avanti!», sia sulle riviste socialiste
contemporanee come «Comunismo», «L’Ordine Nuovo» e «Soviet», rappresentative delle varie correnti del PSI. Gli si dedicò ampio spazio anche sulla stampa locale del partito, con un notevole impegno
teso alla divulgazione del progetto e della problematica, e nelle riunioni delle federazioni provinciali socialiste e delle Camere del Lavoro, dove si contarono numerosi ordini del giorno
concernenti la costituzione dei Soviet. L’interesse riguardo al nuovo organismo proletario si protrasse fino al seguente Consiglio Nazionale del PSI tenutosi a Milano a metà aprile, dove tre intere
sedute, alla presenza della Direzione e dei fiduciari del Partito, furono dedicate alla questione. La mancata chiarificazione tra le correnti e la votazione di un ordine del giorno di massima che
accontentò tutti e nessuno, insieme all’emergere di altre impellenti problematiche[9], stroncarono le gambe a qualunque serio tentativo
di procedere alla costituzione del sistema soviettista in Italia.
La quasi completa bocciatura della proposta d’instaurazione dei Soviet e il fallimento della prospettiva rivoluzionaria unitamente ai rimpianti per le
possibilità che si perdettero nel “biennio rosso” non giovarono assolutamente a che la questione venisse ricordata e studiata. Così i Soviet e tutta la grande attività teorica e propagandistica
svolta caddero presto nel dimenticatoio, finirono solo per essere un vago ricordo, un errore di percorso, frutto della luce emanata dal primo paese dove il socialismo era al potere. L’organismo
sulla cui instaurazione bene o male tutti si trovavano d’accordo nell’inverno del 1920 fu così scavalcato nella ricerca teorica e in quella storica successiva dal Consiglio di fabbrica.
Quest’ultimo ebbe il merito sia di essere studiato con una maggiore profondità qualitativa da un gruppo omogeneo sia di essere messo in pratica nella realtà della fabbrica. Come notano Benzoni e
Tedesco,
«il Soviet invece resta e resterà sulla carta; perché allora ricordarne la sterile gestazione? Il fatto è che questa gestazione vide un considerevole impegno del partito: una attenzione, al limite, superiore per entità (anche se, naturalmente del tutto inferiore per analisi critica) a quella riservata alla stessa esperienza dei Consigli di fabbrica.»[10]
La questione dei Soviet non è però solo interessante per la sua entità, ma anche per la sua qualità intrinseca. Parlare dei Soviet in quei mesi significava anzitutto parlare del Partito, della Guerra, della Rivoluzione, dello Stato. Al contrario di essere una quaestio esotica, quella dei Soviet è, dunque, una porta che permette l’accesso a molte altre stanze. I Soviet finiscono, insomma, per essere una specie di cartina tornasole della questione della rivoluzione socialista nell’Italia del “biennio rosso”. Le posizioni che vengono a delinearsi con sempre maggiore chiarezza nell’arco di quei primi quattro mesi del 1920 indicano il peso che in Italia veniva dato (o meno) all’Ottobre russo ed alle sue innovazioni politiche, mettendo in primo piano la centralità della questione dell’incontro con il leninismo e del rapporto con il passato. Approfondire tale tematica permette di accedere alla comprensione in Italia della Rivoluzione vittoriosa: quale è il suo vero insegnamento politico e teorico? Dove si confonde l’insegnamento col mito? Cosa raccolgono dall’esperienza bolscevica i socialisti del nostro paese? Le risposte al progetto di Bombacci mostrano le idee circolanti nel PSI riguardo alle questioni del Partito, della Rivoluzione e della Dittatura del Proletariato, facendo comprendere le parole d’ordine sotto le quali si muovono i dirigenti socialisti.
Nel leggere i testi dell’epoca è necessario prestare molta attenzione, in primo luogo, alla terminologia utilizzata. Nenni non sbagliava affatto quando scrisse che «voler trapiantare dalla Russia i Soviet, voleva dire creare un elemento di maggiore confusione»[11]. La confusione, difatti, regnò spesso sovrana, tanto che anche lo stesso «Avanti!» chiamò la relazione sulla costituzione dei Soviet presentata da Bombacci a Firenze «relazione sulla costituzione dei Consigli di fabbrica»: una differenza sostanziale. Questa confusione riguardava il significato dello stesso vocabolo soviet[12] ed andava di pari passo con l’ignoranza del processo rivoluzionario russo: l’estrema difficoltà e aleatorietà delle comunicazioni e dei rapporti tra socialisti italiani e bolscevichi contribuì per tutto il biennio a creare incomprensioni ed equivoci[13]. Alla scarsità di analisi e di informazioni sull’insieme delle vicende che avevano reso possibile la rivoluzione bolscevica si univa una mitizzazione tanto dei vincitori della rivoluzione quanto dell’organismo ritenuto il detentore del potere nel nuovo Stato proletario. Non esiste in alcun organo del socialismo italiano «una sola analisi delle condizioni obiettive, o soggettive, che avevano consentito il trionfo di Ottobre». Il tema del Soviet, al pari, fu
«totalmente ignorato sia nella fase antecedente che nella fase successiva alla Rivoluzione di Ottobre: con il risultato, paradossale ma indicativo, di individuarne, quasi unanimemente, il maggiore ruolo nel periodo successivo anziché antecedente alla presa del potere da parte dei bolscevichi»[14].
I socialisti italiani o presero per vangelo ciò che dicevano i bolscevichi e parlarono di Soviet come di una realtà lontana e inafferrabile da creare ex-novo o si barcamenarono in un difficile tentativo di interpretazione dei Soviet alla luce degli organismi esistenti nella realtà del socialismo italiano, finendo per mantenere valido ciò che era già stato concepito dalla tradizione socialista e dandogli solamente una patina di sovieticità. Si finì, di conseguenza, per denominare Soviet organismi che avevano già un loro nome ed una loro identità, per assegnare ad organismi che erano altro un significato, un ruolo, delle caratteristiche che non gli appartenevano e che non avrebbero mai posseduto. A seconda della persona e del momento, consigli di fabbrica e commissioni di fabbrica, o anche camere del lavoro, cooperative e sezioni del partito vennero ad essere intese come la forma organizzativa italiana che più si avvicinava al Soviet russo, vennero ad essere identificate quasi come la versione italiana dei Soviet.
Tutti i maggiori dirigenti ed intellettuali del socialismo italiano del primo dopoguerra parlarono dei Soviet, prendendo una posizione più o meno chiara riguardo alla loro costituzione nella
penisola. Il variegato spettro di posizioni che conviveva ad inizio 1920 – ancora per poco tempo – all’interno del PSI si trovò inaspettatamente d’accordo nel riconoscere l’errore della proposta di
Bombacci. Ma se la gran parte degli esponenti del socialismo fu concorde nella condanna, ogni corrente partì da premesse differenti e giunse a conclusioni altrettanto differenti. Nelle risposte al
progetto bombacciano e nella discussione che esso avviò, è possibile pertanto individuare e riconoscere le diverse anime del partito socialista italiano, abbozzandone uno schema di
comprensione.
Si sono, dunque, riconosciute cinque posizioni, rappresentate da una persona o da un gruppo di persone, che rimasero sostanzialmente coerenti, per
questo lasso di tempo, nel loro detto[15]. La questione dei Soviet e della loro costituzione si intrecciò indissolubilmente con almeno
altre quattro problematiche politiche ed organizzative di ampio respiro: il Partito, la Rivoluzione, il Consiglio di Fabbrica, il Sindacato. Dare, cioè, un significato (od un altro) al Soviet ed
essere favorevole (o meno) alla sua creazione in Italia implicava una determinata concezione politica ed organizzativa di fondo.
Nicola Bombacci – insieme ad Egidio Gennari – viene a rappresentare una prospettiva prettamente soviettista. Il Soviet è il motore di tutto, l’organismo dalla cui creazione dipende qualunque possibilità rivoluzionaria. I Soviet, nelle parole di Bombacci, sono
«la base dello Stato socialista dei lavoratori quali unici organi di potere e di direzione suprema per l’organizzazione della produzione e della ripartizione comunista, nonché per la regolarizzazione di tutto il complesso dei rapporti economici, sociali e politici interni ed esterni che ne derivano»[16].
Essi devono crearsi immediatamente ed in tutta Italia grazie alla collaborazione del Partito che guida, dirige e controlla la loro costituzione prima e durante la rivoluzione. Secondo Bombacci e Gennari, difatti, il primo passo deve essere la conquista del potere politico e solo dopo può avvenire la trasformazione economica, con la creazione dei Consigli di Fabbrica, i quali possono esistere unicamente in regime di dittatura proletaria. Dopo l’evento rivoluzionario, il potere sarà nelle mani della classe lavoratrice, che controllerà sia il Partito sia il Soviet.
Amadeo Bordiga – e con lui la Frazione Comunista Astensionista – si pone da una prospettiva assolutamente partitica. Il dirigente socialista napoletano è tanto critico verso il progetto bombacciano quanto verso gli esperimenti consigliari torinesi. Spostando la prospettiva sulla questione del partito politico comunista, la frazione astensionista vede nelle direttive bolsceviche, riflesse in Italia dal compagno Niccolini, l’unica posizione corretta. Nelle parole del futuro segretario del PCd’I, il Partito – che dev’essere comunista – è «l’avanguardia del Proletariato», lo «strumento della lotta politica di classe del Proletariato», l’agente necessario per l’azione rivoluzionaria, mentre i Soviet sono unicamente la soprastruttura, gli «organi di Stato del proletariato» con i quali la classe lavoratrice esercita il potere politico dopo la rivoluzione. Imprescindibile non è dunque la creazione dei Soviet, bensì la costituzione di un partito comunista «puro da elementi riformisti e collaborazionisti» che faccia la Rivoluzione, prima politica, ossia «del Partito di Classe», poi economica, ossia «per la costruzione del nuovo meccanismo di produzione». Soltanto in un secondo momento possono dunque formarsi i Consigli di Fabbrica, «rappresentanza di interessi operai limitati», che assumono un valore rivoluzionario solo in seguito alla conquista del potere politico.
«L’Ordine Nuovo» – ma riguardo a tale questione soprattutto P. Togliatti, U. Terracini e A. Leonetti – si pone da una prospettiva consigliare. Tra il febbraio e il marzo Palmiro Togliatti condensa in due corposi articoli la visione del gruppo torinese. La condanna della proposta della Direzione – come di tutto il suo operato – si affianca alla difesa dalle accuse lanciate dall’agente bolscevico Niccolini. Anche qui la prospettiva è altra: quella dei Consigli di Fabbrica, accennata già nell’ottobre da Tasca e ribadita anche da Leonetti e Gramsci nei mesi seguenti. Secondo la rivista torinese, la Rivoluzione bisogna che sia anzitutto economica: deve partire dalla «intimità della vita produttiva», ossia dai Consigli di Fabbrica, che riflettono l’«applicazione di un principio nuovo», essendo le basi di una «organizzazione naturale di massa che sorge sul terreno della produzione». Il Partito è dunque «esterno al luogo centrale dello scontro di classe» ed i Soviet – che sono semplicemente «l’estrema impalcatura politica della società» – non devono costituirsi prima della trasformazione economica della società. La sostanza della questione, per gli ordinovisti, sta «nel luogo stesso della produzione» e il compito principale è quello di «educare gli operai a governarsi da sé».
Carlo Niccolini, alias Nikolaj Markovič Ljubarskij, rappresenta fisicamente e teoricamente il punto di vista bolscevico, la prospettiva dei padri della Rivoluzione Vittoriosa sulla questione dei Soviet e della loro costituzione. I ripetuti interventi dell’inviato ufficiale della Internazionale Comunista in Italia mirano dunque ad indicare ai rivoluzionari italiani l’insegnamento russo, che viene però mischiato accortamente alle necessità bolsceviche dell’ora presente. Ancora vicino a Serrati, Niccolini è, come Bordiga, estremamente critico verso la proposta Bombacci e decisamente avverso ai tentativi ordinovisti. Ciò che è fondamentale è «seguire la via comunista»: la Rivoluzione dev’essere quindi prima politica, un «urto violento per la conquista del potere»; ad essa seguirà lo stadio della «lotta per il trapasso di tutto il potere ai Soviety». Secondo Niccolini, il Partito, per poter essere l’elemento trainante della rivoluzione, deve necessariamente essere comunista, sbarazzandosi delle concezioni riformiste. I Soviet sono il risultato dell’urto rivoluzionario, gli «istituti d’azione proletaria rivoluzionaria della dittatura comunista», mentre i Consigli di Fabbrica sono spesso penetrati da «idee localistiche e riformistiche» e dopo la conquista del potere devono fondersi con il Sindacato.
Il direttore dell’«Avanti!» Giacinto Menotti Serrati viene a ricoprire uno spazio vasto e non ben definito nel socialismo italiano riguardo a tale questione. Una posizione che cerca ancora di tenere insieme gli accesi soviettisti bombacciani e i denigratori riformisti dell’esperimento bolscevico. La prospettiva serratiana può definirsi pertanto unitaria, in quanto le risposte del leader massimalista in tale dibattito sembrano più che altro rivolte alla questione dell’unità del PSI, del mantenimento delle divergenti frazioni del partito sotto le sue ampie ali protettrici. Serrati è estremamente cauto e realista sulla questione, le sue risposte propendono per una soluzione intermedia, avulsa da ogni radicalità. Il leader massimalista ha una «concezione collaborazionista e relativistica» del processo rivoluzionario. Il Partito deve dirigere gli esperimenti di costituzione dei Soviet, che sono gli «organi politici della collettività», i nuclei di «diretta presa di possesso del potere politico». Essi possono però costituirsi opportunamente «solo durante e dopo la rivoluzione»: Serrati è pertanto favorevole alla deliberazione di un esperimento di costituzione di un Soviet urbano in una località determinata. Il Sindacato è invece l’unico che possiede «la visione universale della situazione economica»: esso deve procedere congiuntamente al Consiglio di Fabbrica che si occupa solo del «lato della produzione o del controllo della fabbrica» ed ha in sé il germe delle «tendenze riformistiche».
I Testi
Si presentano di seguito sei testi, uno per ciascuna delle correnti individuate nel dibattito, con l’eccezione di quella rappresentata da N. Bombacci ed E. Gennari. Poiché si è deciso di non
includere il lungo e complesso progetto di costituzione dei Soviet proposto da Bombacci che dà l’avvio a tutto il dibattito, si è ritenuto necessario presentare due articoli per la comprensione
della prospettiva soviettista dei due leader massimalisti. Il solo articolo di Bombacci non sarebbe stato sufficiente. Data la necessaria brevità di queste pagine introduttive, si rimanda alle note
in ipertesto per una più accurata lettura critica degli articoli presentati.
Gli articoli di N. Bombacci, E. Gennari, C. Niccolini e G. M. Serrati, dopo essere apparsi sulla stampa socialista dell’epoca[17], non
sono mai stati ripubblicati interamente: al massimo se ne possono trovare passi e citazioni negli svariati testi dedicati al biennio rosso italiano. L’esteso saggio di A. Bordiga[18] – che qui si è deciso di non presentare nella sua totalità a causa della lunghezza – è stato ripubblicato integralmente in A. Gramsci, A. Bordiga,
Dibattito sui Consigli di fabbrica, introduzione di A. Leonetti, Roma, Savelli, 1973, 47-70. L’articolo in due parti di P. Togliatti[19] è stato ripubblicato interamente in P. Togliatti, Opere, vol. I, 1917-1926, a c. di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1967, 140-147.
1. Nicola Bombacci, I Soviet in Italia. Pregiudiziali, critiche e proposte concrete
«Avanti!», 27 febbraio 1920
Avrei voluto attendere dalla discussione qualche cosa di più concreto e sostanziale prima di avviarmi ad un esame ampio nei confronti delle critiche mosse al mio progetto, ma il tempo e a mio avviso, specie ora, conviene non solo discutere ma concludere e soprattutto operare. Questo non limita anzi accresce in me l’ardente desiderio di vedere
ancora continuato e più vibrante il dibattito su questo problema non inventato né importato per amore di novità ma posto dalla realtà rivoluzionaria internazionale in ogni paese dove il
socialismo non è inteso come lontana chimera che si può dolcemente attendere nell’avvenire quando scenderà placido nella stessa alcova dove visse e morì... il regime borghese.
Prima di passare all’esame delle critiche, non tutte serene, credo necessario sbarazzare il terreno da due punti di massima quasi pregiudiziali.
Eviteremo di fare dell’accademia sterile atta a confondere le idee e svalorizzare l’azione fra le masse.
E così senza preamboli poniamo la prima domanda:
Si devono costituire i Soviet?
Su ciò bisogna essere espliciti. Io sono per la costituzione anzi ritengo dannoso ogni ritardo non giustificato da elementi estranei alla nostra forza e alla nostra volontà.
Invece alcuni si chiudono ora in un comodo agnosticismo in attesa di gridare domani: osanna o crucifige; altri pensano no, molti scrivono ni.
Bisogna rompere questa membrana nullistica e dire ciascuno netto, preciso il proprio pensiero.
Per la costituzione dunque, ed eccone brevemente le ragioni.
Oggi il mondo proletario storicamente vive, si muove attorno ad un asse internazionale. La rivoluzione russa è nostra in quanto essa è l’asse di
questo movimento. Ciò che essa dà non è russo, ma internazionale. Esiste oggi nella realtà e nello stesso rapporto che fu in dottrina. Vi è nel soviettismo di russo quanto nel marxismo vi era
di tedesco.
E ciò dico anche per quei signori che parlano di camicia russa, come se le idee e i fatti storici fossero legati alle tradizioni del proprio
paese.
Si tratta di un avanzo di nazionalismo solleticato dall’orgoglio di poter dire questo è proprio mio; tutto mio. Ma torniamo al nostro ragionamento e vediamo la rivoluzione nel suo sviluppo storico
sovietista.
Mosca, epicentro del moto mondiale. Due fasi rapide, immediate. La prima schianta l’armatura czarista. Ripetizione dell’89 francese. Immediatamente, senza attesa, la seconda, radicale,
economica-comunista. La prima fase chiude il ciclo della rivoluzione borghese, la seconda apre quella del proletariato internazionale.
Come si afferma questa nel fatto, nel diritto?
Col Soviet.
Essa stronca virtualmente, storicamente – non ha alcuna importanza la graduale applicazione di fatto – il privilegio borghese di proprietà. Il produttore legifera, la collettività governa.
Questo in Russia.
Quale la ripercussione nell’Internazionale? Decisiva. Oggi nel mondo del lavoro da Mosca a Berlino, da Berlino a Londra, ovunque l’asse è spostato dal salario al potere, dal Sindacato alla classe.
Questa è un’altra verità indiscutibile.
Certo che chi osserva la vita sociale all’epidermide può fanciullescamente sorridere e onestamente credere che tutto è finito, e, quietato che sarà il boato vulcanico orientale la vecchia storia,
dell’umile e del prepotente, del servo e del padrone continuerà, terribile ma fatale nei secoli, il suo corso inesorabile. Puerile speranza. La rivoluzione sovietista è un fatto mondiale – e il suo
moto sarà più o meno celere o violento a seconda del terreno che troverà nella sua marcia ascensionale – che trionferà inesorabilmente nel vecchio e nel nuovo continente.
Questa la ragione storica-teoretica che mi ha decisamente convinto che il Soviet non è una istituzione russa transitoria ma internazionale, definitiva e di carattere profondamente sociale. Ma alla
teoria e alla storia contemporanea non urtano gli elementi contingenti tradizionali di ogni paese volendo ante-factum costituire i Soviet?
Assolutamente no. Anzi la costituzione è un bisogno prepotente legato alle leggi della storia che non concede arresti tattici, né elementi di positivo vantaggio per il progressivo svolgersi della
civiltà.
Né vale l’esempio della Russia. Il Soviet non fu per questo un elemento ma un prodotto della rivoluzione.
Se l’idea dei Soviet fu caldeggiata da Marx nel manifesto dei comunisti e in embrione in Russia fu già applicata e praticata prima del ‘905 nei Comitati d’azione. In realtà il Soviet, quale strumento di realizzazione comunista si è affermato dopo la rivoluzione del 17 novembre 1917. Solo dopo la prova felicemente superata e vinta esso è
divenuto organo positivo di azione e di ricostruzione rivoluzionaria in tutto il mondo.
Non dimentichiamo mai che socialisticamente parlando la Russia dei Soviet è il primo atto della rivoluzione mondiale comunista.
La storia si ripete e si estende. Ricordiamo la continuità extra-confini della rivoluzione francese, sebbene allora il mondo avesse 130 anni meno di esperienza e di vita sul groppone. Oggi si
tratta di una rivoluzione, sia pure più profonda, ma guidata da una idea che supera confini, lingua, tradizione e come tale pervade la nuova umanità del lavoro sorgente dallo sfacelo
capitalistico.
È dunque ignorare le leggi della storia parlare di mimetismo.
Il Soviet deve per ragioni storiche, pratiche, ideali sorgere immediatamente in tutti i paesi dove il movimento socialista ha per fulcro la rivoluzione russa e sinceramente credo nella
generalizzazione mondiale della società comunista.
Né vale dire che altri e in altri paesi così non pensano né fanno.
Intanto questa affermazione non risponde a verità. Tutto il proletariato internazionale è preso fra le spire potenti di questa realtà.
Potremmo enumerare anche ragioni d’ordine politico, classista. Basti osservare che nei Soviet non più un Partito ma una classe si orienta verso la propria dittatura. Basterebbe solo questa grande
forza dinamica educativa rivoluzionaria per dichiarare necessaria l’immediata costituzione.
Ma su ciò diremo assai di più e più partitamene rispondendo ai miei amici contraddittori. Per ora sia pure in sintesi ci pare di aver detto e dimostrato la logica ed urgente necessità dei Soviet
ovunque albergano i cittadini della Terza Internazionale. Veniamo all’altro punto.
Il Soviet ucciderà Partito e Sindacato?
Questo spaventa i timidi, gli incerti e i ruderi feticci negatori del moto. Tutto si rivoluziona, si trasforma ma non muore. La stessa legge non risparmia Partito e Sindacato. Ma nel nuovo
organismo il Partito e il Sindacato troverà la classe riunita, pronta ad accogliere l’opera di propaganda, di propulsione e di preparazione tecnica e spirituale. Il Partito sarà ancora più domani nel Soviet l’ardente fucina che modella nella più ampia officina di classe la massa proletaria e la sospinge alle mature conquiste. In una parola il
Partito nel Soviet addestrerà più che in piazza e con bandiere al vento la classe a non attendere ma ad operare.
Nel Soviet le forze in contrasto diverranno da potenziali potentemente attive per il cozzo finale che darà alla classe proletaria e non al Partito tutto il potere.
Ed altrettanto con sicurezza può dirsi del Sindacato che non avrà nel Soviet né un nemico né un concorrente ma una forza amica e gagliarda che si prepara non alla lotta diuturna e contingente che è
legge e dovere del Sindacato ma all’assalto della Bastiglia del potere borghese.
Ecco perché chi parla del Soviet come d’un organo fatto a contraltare del Sindacato resta alla fase della lotta di classe odierna e non s’avvede che il proletariato cammina più celere nel suo
vecchio adagio fisso l’occhio al traguardo.
È dunque chiaro che nel Soviet e per il Soviet il Sindacato e il Partito saranno non ombre in vita ma organi ancor più forti e vigili nella lotta che continua tenace contro la classe che domina e
che solo per essi non si rassegna a morire.
Liberato così il passo da queste pregiudiziali risponderò nei giorni entranti partitamente alle domande e alle critiche dei miei contraddittori.
2. Egidio Gennari, Formiamo i Soviet
«La Squilla», 28 febbraio 1920
Non si combattono più i Soviet, nelle nostre file, partendo da questioni di principio. Tutti sembrano consentire nella necessità rivoluzionaria della dittatura proletaria e nell’organizzazione
soviettista che ne rappresenta l’attuazione pratica.
Tutti, anche i non massimalisti, salvo pochissime eccezioni lodevoli per la loro sincerità.
La illusione socialdemocratica-riformista fa capolino soltanto nelle parole di alcuni che parlano di conquista del potere, ottenuta con espugnazioni di Bastiglie, che potrebbero anche trovarsi
nell’aula di Montecitorio, nell’emiciclo, al banco del governo. Ma moltissimi altri – soffocando magari qualche rimpianto e molte nostalgie – non indulgono più a fantasie siffatte. Soltanto si
domandano se non convenga attendere ancora; se i Soviet non debbano costituirsi che nel momento stesso del divampare e della vittoria della rivoluzione proletaria; se in Italia, la terra di tante
belle cose ed anche dei... liberi Comuni, i Soviet non rappresentino che un’inutile importazione russa ed un duplicato ingombrante e dannoso.
A quest’ultimi ed alle masse che interrogano ed attendono, rispondiamo chiarendo ancor meglio le caratteristiche e gli scopi dell’organismo soviettista, concretandolo in tutte le sue linee ed
attuandolo. Il filosofo famoso, a tutte le argomentazioni contro l’esistenza del moto, rispondeva camminando. I comunisti in Italia, a chi nega la utilità e la possibilità della creazione dei
Soviet, ed ai dubbiosi, risponderanno... creando i Soviet.
Che cosa rappresentano i Soviet?
In che cosa differiscono dagli organi esistenti di lotta proletaria? Quale sarà prima e dopo la vittoria del proletariato, la loro funzione specifica? In che differisce in sostanza il pensiero dei
socialisti di destra (i socialdemocratici) dal pensiero di noi comunisti?
Ecco ciò che dobbiamo ripetere infaticabilmente fra le masse, se vogliamo che non risorgano mai più i pericoli di illusioni riformiste
collaborazioniste, se vogliamo che gli esperimenti socialdemocratici – destinati a fallire deprimendo o disorientando le masse o destinati a reggersi col metodo Scheidemann-Noske – non sieno
possibili fra noi, se vogliamo che al periodo delle orientazioni e delle affermazioni di principio segua quello fattivo delle attuazioni, della lotta, della conquista.
Il Soviet è un organo politico, è la espressione politica del Proletariato. Non può quindi confondersi, non può esser ritenuto un succedaneo, un duplicato, un concorrente sleale
dei Sindacati, delle organizzazioni economiche esistenti.
Non può nemmeno essere scambiato con i nuovi organismi di lotta, di preparazione, di realizzazione economica comunista; quali ad es.: i Comitati di fabbrica.
Ogni socialista sa che il primo passo verso il comunismo è segnato dalla conquista del potere politico da parte del proletariato, il quale
eserciterà la sua dittatura a mezzo dei Soviet. Ma a questo punto si inizierà l’altra rivoluzione, più lunga e difficile. Si inizierà l’opera di trasformazione economica, di edificazione comunista
che dovrà portare la massa intera dei lavoratori – tutti gli uomini che vivono del loro lavoro manuale od intellettuale: lavoro utile alla società – alla conquista del potere.
Per questa seconda opera, oltre agli strumenti già esistenti, si creeranno i Comitati di fabbrica, destinati – non a gestire in senso sindacalista – ma ad esercitare il controllo operaio prima
della socializzazione, a collaborare poi nella gestione coi rappresentanti gli interessi della collettività – sempre preminenti su quelli di categoria.
Per questa opera di ricostruzione tutti gli organi proletari convergeranno i loro sforzi – a mezzo dei Consigli dell’Economia popolare – al problema della produzione, della distribuzione, dello
scambio; non regolati più dal giogo delle ingordigie capitaliste, ma dal supremo interesse collettivo.
Tale lavoro fecondo di ricostruzione, che conduce alle realizzazioni comuniste, non può essere compiuto che in regime di dittatura proletaria, soltanto quando il proletariato avrà conquistato il
potere politico e lo eserciterà esso stesso e non a mezzo di interposta persona, collo strumento dei Soviet.
Il Soviet, quindi, questa cellula primitiva dell’organismo che porta alla conquista ed assicura il potere politico in mano del proletariato, rappresenta la prima opera nostra di attività
rivoluzionaria in senso comunista.
Ma, prima della rivoluzione proletaria, quali compiti sono affidati ai Soviet?
Dovranno illuminare ed organizzare grandi masse, infondendo la convinzione della possibilità della realizzazione del comunismo. Dovranno sventare tutti i tentativi riformisti e socialdemocratici,
che tendono soltanto a ritardare od impedire il trionfo della rivoluzione proletaria.
Aiuteranno e sospingeranno allo studio per le socializzazioni e per la creazione di tutti gli organi nuovi di realizzazioni comuniste. Eserciteranno frattanto i lembi di potere (quello comunale,
ecc.) che possono esser strappati, addestrando in tal modo le masse proletarie, suscitando per la difesa di tali conquiste nuove energie rivoluzionarie, rendendo più acuto il contrasto insanabile,
più vicino il cozzo fra lo Stato borghese ed il nuovo organismo proletario rivoluzionario.
La formula comunista può sintetizzarsi per la sua parte politica così: tutto il potere ai Soviet. È urgente quindi creare questi organi ai quali la
rivoluzione proletaria dovrà consegnare il potere.
I compiti dei Soviet non possono essere compiuti interamente dal Partito.
Per le lotte supreme del proletariato non è più sufficiente che alla voce del Partito facciano eco le masse proletarie.
È necessario invece che il proletariato si rinsaldi: abbia oltre ai muscoli possenti un sistema nervoso che leghi ogni cellula la più lontana ai diversi gangli nervosi e questi al cervello.
È necessario che il proletariato tutto divenga un organismo vivente: che pensa, che vuole, che opera. Tutte le energie debbono essere utilizzate, non solo: ma collegate, coordinate,
disciplinate.
Il Partito sarà il cervello che raccoglie le sensazioni e guida i movimenti. L’organismo soviettista rappresenta invece il sistema nervoso e quello muscolare del proletariato. E per la rivoluzione
proletaria occorrono cervello, cuor saldo e muscoli poderosi.
3. Amadeo Bordiga, Per la costituzione dei Consigli operai in Italia
«Il Soviet», 4 gennaio, 11 gennaio, 1 febbraio, 8 febbraio e 22 febbraio 1920
Intorno alle proposte ed alle iniziative per la costituzione dei Soviet in Italia abbiamo raccolto alquanto materiale, e ci riserviamo esporre ordinatamente i termini dell’argomento.
Vogliamo ora premettere alcune considerazioni di ordine generale a cui già accennammo nei nostri ultimi numeri.
Il sistema di rappresentanza proletaria, quale è stato per la prima volta introdotto in Russia, esercita un doppio ordine di funzioni: politiche ed economiche.
Le funzioni politiche consistono nella lotta contro la borghesia fino alla totale sua eliminazione.
Quelle economiche nella creazione di tutto il nuovo meccanismo della produzione comunista.
Collo svolgersi della rivoluzione, colla graduale eliminazione delle classi parassitarie, le funzioni politiche vanno diventando sempre meno importanti di fronte a quelle economiche: ma in un primo
tempo, e soprattutto quando ancora si tratta di lottare contro il potere borghese, l’attività politica è in prima linea.
Il vero istrumento della lotta di liberazione del proletariato, e anzitutto della conquista del potere politico, è il partito di classe
comunista.
I consigli operai, in potere borghese, possono essere solo organismi entro i quali lavora il partito comunista, motore della rivoluzione.
Dire che essi sono gli organi di liberazione del proletariato, senza parlare della funzione del partito, come nel programma approvato al Congresso di Bologna, sembraci errore.
Sostenere, come i compagni dell’Ordine Nuovo di Torino, che i consigli operai prima ancora della caduta della borghesia sono già organi, non solo di lotta politica, ma di allestimento
economico-tecnico del sistema comunista, è poi un puro e semplice ritorno al gradualismo socialista: questo, si chiami riformismo o sindacalismo, è definito dall’errore che il proletariato possa
emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre ancora il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico.
Svolgeremo la critica delle due concezioni cui accenniamo.
Il sistema di rappresentanza proletaria deve aderire a tutto il processo tecnico di produzione.
Questo criterio è esatto, ma corrisponde allo stadio in cui il proletariato, già al potere, organizza la nuova economia.
Trasportatelo senz’altro in regime borghese e non avrete fatto nulla di rivoluzionario.
Anche nel periodo in cui si trova la Russia, la rappresentanza politica soviettista – ossia la scala che culmina nel governo dei commissari del popolo – non comincia già dalle squadre di
lavorazione o dai reparti di officina, ma dal Soviet locale amministrativo, eletto direttamente dai lavoratori (aggruppati, se è possibile, per comunità di lavoro).
Il Soviet, per fissare le idee, di Mosca, viene eletto dai proletari di Mosca in ragione di 2000 per ogni delegato. Tra questo e gli elettori non vi è nessun organo intermedio. Da questa prima
designazione partono le successive, al congresso dei Soviet, al comitato esecutivo, al Governo dei commissari.
Il consiglio di fabbrica prende posto in un ingranaggio ben diverso: in quello del controllo operaio sulla produzione.
In conseguenza il consiglio di fabbrica, costituito di un rappresentante per ogni reparto, non designa il rappresentante della fabbrica nel Soviet comunale amministrativo-politico: questo
rappresentante è eletto direttamente e indipendentemente.
In Russia i consigli di officina sono il punto di partenza – subordinatamente sempre alla rete politica dei Soviet – di un altro sistema di rappresentanze: quello del controllo operaio e
dell’economia popolare.
La funzione di controllo nell’officina ha valore rivoluzionario ed espropriatore solo dopo che il potere centrale è passato nelle mani del proletariato.
Quando la protezione statale borghese è in piedi ancora, il consiglio di fabbrica non controlla nulla: le poche funzioni che consegue sono il risultato della tradizionale pratica: a) del
riformismo parlamentare; b) dell’azione sindacale di resistenza che non cessa di essere un arrampicamento riformista.
Conchiudiamo: non ci opponiamo alla costituzione dei consigli interni di fabbrica se li chiedono le maestranze stesse o le loro organizzazioni.
Ma affermiamo che l’attività del Partito comunista deve impostarsi su altra base: sulla lotta per la conquista del potere politico.
Questa lotta può trovare campo opportuno nella creazione di una rappresentanza operaia: ma questa deve consistere nei consigli operai di città o di distretto rurale direttamente eletti dalle masse
per essere pronti a sostituire i consigli municipali e gli organi locali del potere statale nel momento del tracollo delle forze borghesi.
[...]
I Consigli e il programma bolscevico
Nei documenti della III Internazionale e del Partito Comunista russo, nelle magistrali relazioni di quei formidabili dottrinari che sono i capi del movimento rivoluzionario russo, Lenin, Zinovief,
Radek, Bukarin, ricorre il concetto che la rivoluzione russa non ha inventate forme nuove ed impreviste ma ha confermato le previsioni della teoria marxista sul processo
rivoluzionario.
Ciò che è sostanziale nel grandioso sviluppo della rivoluzione russa è la conquista mediante una vera guerra di classe del potere politico da parte delle masse operaie, e la instaurazione della
loro dittatura.
I soviet – non occorre ricordare che la parola soviet significa semplicemente consiglio e può essere adoperata per indicare qualunque corpo rappresentativo – i soviet nella loro
significazione storica sono il sistema di rappresentanza di classe del proletariato giunto al possesso del potere.
Essi sono gli organi che sostituiscono il parlamento e le assemblee amministrative borghesi, e man mano vanno sostituendo tutti gli altri ingranaggi dello Stato.
Per dirla con le parole dell’ultimo congresso comunista russo citate dal compagno Zinoviev, i soviet sono le organizzazioni di stato della classe operaia e degli agricoltori poveri le quali
effettuano la dittatura del proletariato durante la fase in cui si estinguono gradualmente tutte le vecchie forme dello Stato.
Il sistema di queste organizzazioni di stato tende a dare la rappresentanza a tutti i produttori come membri della classe lavoratrice ma non come partecipanti ad una categoria professionale o ad un
ramo d’industria. Secondo l’ultimo manifesto della terza internazionale, i Soviet sono un nuovo tipo di organizzazione vasta la quale abbraccia tutte le masse operaie indipendentemente dal loro
mestiere e dal livello della loro coltura politica. La rete amministrativa dei Soviet ha come organismi di primo grado i consigli di città o di distretto rurale, e culmina nel governo dei
commissari.
È bensì vero che a lato di questo sistema sorgono nella fase della trasformazione economica altri organi, come il sistema del controllo operaio e dell’economia popolare, è anche vero come più volte
abbiamo detto che questo sistema tenderà ad assorbire in sé il sistema politico, quando la espropriazione della borghesia sarà completa e cesserà la necessità del potere statale.
Ma nel periodo rivoluzionario il problema essenziale, come risulta da tutti i documenti dei russi, è quello di subordinare all’interesse generale,
nello spazio e nel tempo, del movimento rivoluzionario, gl’interessi e le esigenze locali e di categorie.
Quando la fusione dei due organismi sarà avvenuta allora la rete della produzione sarà completamente comunista ed allora si realizzerà quel criterio che ci sembra si vada esageratamente valutando
di una perfetta articolazione della rappresentanza con tutti i meccanismi del sistema produttivo.
Prima di allora, quando ancora la borghesia resiste, sopra tutto poi quando è ancora al potere, il problema è di avere una rappresentanza nella quale prevalga il criterio dell’interesse generale; e
quando l’economia è ancora quella dell’individualismo e della concorrenza l’unica forma in cui quel superiore interesse collettivo può esplicarsi è una forma di rappresentanza politica
nella quale agisca il partito politico comunista.
Nel ritornare sulla questione mostreremo come il voler concretare e tecnicizzare troppo la rappresentanza soviettista, specie ove è ancora al potere la borghesia, significa porre il carro avanti ai
buoi e ricadere nei vecchi errori del sindacalismo e del riformismo.
Citiamo per ora le non equivoche parole di Zinoviev.
Il partito comunista riunisce quell’avanguardia del proletariato che lotta, consapevolmente, per l’effettuazione pratica del programma comunista. Esso si sforza specialmente di introdurre il
suo programma nelle organizzazioni dello stato, i soviet, e di ottenervi un completo dominio.
In conclusione la repubblica soviettista russa è diretta dai soviet che riassumono in sé dieci milioni di lavoratori su ottanta circa di abitanti. Ma sostanzialmente le designazioni per i comitati
esecutivi dei soviet locali e centrali avvengono nelle sezioni e nei congressi del grande partito comunista che domina nei soviet. Ciò corrisponde alla vibrata difesa fatta da Radek, delle funzioni
rivoluzionarie delle minoranze. Sarà bene non creare un feticismo maggioritario-operaista che andrebbe a tutto vantaggio del riformismo e della borghesia.
Il partito è in prima linea nella rivoluzione in quanto ché potenzialmente è costituito da uomini che pensano ed agiscono come membri della futura umanità lavoratrice, nella quale tutti saranno
produttori armonicamente inseriti in un meraviglioso ingranaggio di funzioni e di rappresentanze.
Il programma di Bologna e i consigli
È deplorevole che nell’attuale programma del partito non si rintracci la proposizione marxista, che il partito di classe è lo strumento della emancipazione proletaria; e vi sia solo l’anodino
codicillo: delibera (chi? Nemmeno la grammatica fu salvata nella fretta di deliberare... per le elezioni) di informare l’organizzazione del Partito Socialista italiano ai su esposti
principi.
Vi è da discutere sul comma che nega la trasformazione di qualsiasi organo dello stato in organo per la lotta di liberazione del proletariato, ma di ciò ad altra trattazione, previa la
indispensabile chiarificazione dei termini.
Ma dissentiamo ancora più dal programma là dove esso dice che i nuovi organi proletari funzioneranno da prima, in dominio borghese, quali strumenti della violenta lotta di liberazione, e poi
diverranno organismi di trasformazione sociale ed economica, poiché si specificano tra tali organi non solo i consigli dei lavoratori contadini e soldati, ma perfino i consigli dell’economia
pubblica organi inconcepibili in regime borghese.
Anche i consigli politici operai possono dirsi piuttosto istituti entro i quali si esplica l’azione dei comunisti per la liberazione del proletariato.
Ma anche recentemente il compagno Serrati ha svalutato in barba a Marx e a Lenin il compito del partito di classe nella rivoluzione.
«Con la massa operaia» - Lenin dice - «il partito politico marxista, centralizzato, avanguardia dei proletariati, guiderà il popolo sulla giusta via,
per la dittatura vittoriosa del proletariato, per la democrazia proletaria invece di quella borghese, per il potere dei consigli, per l’ordine socialista».
L’attuale programma del partito risente di scrupoli libertari e di impreparazione dottrinale.
I Consigli e la mozione Leone
Questa mozione si riassumeva in quattro punti esposti nel suggestivo stile dell’autore.
Il primo di questi punti è mirabilmente inspirato alla constatazione che la lotta di classe è il reale motore della storia ed ha spezzato le unioni social-nazionali.
Ma poi la mozione esalta nei soviet gli organi della sintesi rivoluzionaria che essi avrebbero virtù di creare quasi pel meccanismo stesso della loro costituzione ed afferma che i soviet soli
possono condurre al trionfo le grandi iniziative storiche al disopra delle scuole, dei partiti, delle corporazioni.
Questo concetto di Leone, e dei molti compagni che firmarono la sua mozione, è ben diverso dal nostro che desumiamo dal Marxismo e dalle direttive della rivoluzione russa. Si tratta di
sopravalutare una forma invece di una forza, analogamente a quanto i sindacalisti facevano del sindacato, attribuendo alla sua pratica minimalista la taumaturgica virtù di
risolversi nella rivoluzione sociale.
Come il sindacalismo è stato demolito prima dalla critica dei veri marxisti poi dall’esperienza dei movimenti sindacali che ovunque hanno collaborato col mondo borghese fornendogli elementi di
conservazione, così il concetto di Leone cade dinanzi all’esperienza dei consigli operai socialdemocratici, controrivoluzionari, che sono appunto quelli nei quali non vi è stata vittoriosa
penetrazione del programma politico comunista.
Solo il partito può riassumere in sé le energie dinamiche rivoluzionarie della classe. Sarebbe pettegolo obbiettare che anche i partiti socialisti hanno transatto, dal momento che noi non esaltiamo
la virtù della forma: il partito, ma quella del contenuto dinamico che è nel solo partito comunista.
Ogni partito si definisce dal proprio programma e le sue funzioni non trovano campo di analogia con quelle di altri partiti, mentre necessariamente le funzioni accomunano tra loro tutti i sindacati
nel senso tecnico e anche tutti i consigli operai.
Il danno dei partiti social-riformisti non fu di essere dei partiti, ma di non essere comunisti e rivoluzionari.
Questi partiti hanno condotto la contro-rivoluzione mentre in lotta con essi i partiti comunisti dirigevano ed alimentavano l’azione rivoluzionaria.
Non vi sono dunque organismi rivoluzionari per virtù formale; vi sono solo forze sociali rivoluzionarie per la direzione nella quale agiscono, e queste forze si risolvono in un partito che lotta
con un programma.
I consigli e l’iniziativa dell’«Ordine Nuovo» di Torino
[...]
Non condividiamo il punto di vista a cui s’inspirano i nostri compagni dell’«Ordine Nuovo» e, pur apprezzando la loro tenace opera per una
migliore coscienza dei capisaldi del comunismo, crediamo che siano incorsi in errori non lievi di principio e di tattica.
Secondo essi il fatto essenziale della rivoluzione comunista sta appunto nella costituzione dei nuovi organi di rappresentanza proletaria destinati alla gestione diretta della produzione, il cui
carattere fondamentale è quello di aderire strettamente al processo produttivo.
Abbiamo già detto che ci sembra si esageri molto su questo concetto della coincidenza formale fra le rappresentanze della classe operaia e i diversi aggregati del sistema tecnico-economico di
produzione. Questa coincidenza tenderà a verificarsi in uno stadio molto avanzato della rivoluzione comunista, quando la produzione sarà socializzata e tutte le particolari attività che la
costituiscono saranno armonicamente subordinate ad inspirate agl’interessi generali e collettivi.
Prima di allora, e durante il periodo di transizione dall’economia capitalista a quella comunista, gli aggruppamenti di produttori attraversano un periodo di continue trasformazioni, ed i loro
interessi possono venire a cozzare con quelli generali e collettivi del movimento rivoluzionario del proletariato.
Questo troverà il suo vero strumento in una rappresentanza della classe proletaria nella quale ogni singolo entri in quanto membro di questa classe interessato ad un radicale mutamento dei rapporti
sociali, e non come componente di una categoria professionale, di una fabbrica o di un qualsiasi gruppo locale.
Finché poi il potere politico ancora trovasi nelle mani della classe capitalistica, una rappresentanza degli interessi generali rivoluzionari del proletariato non può ottenersi che sul terreno politico, in un partito di classe che raccolga le adesioni personali di coloro che hanno superato, per dedicarsi alla causa della rivoluzione,
la stretta visione dell’interesse egoistico, dell’interesse di categoria, e talvolta perfino dell’interesse di classe, nel senso che il partito ammette nel suo seno anche i disertori della classe
borghese fautori del programma comunista.
È grave errore credere che trasportando nell’ambiente proletario attuale, tra i salariati del capitalismo, le strutture formali che si pensa potranno formarsi per la gestione della produzione
comunista, si determinano forze per sé stesse e per intrinseca virtù rivoluzionarie.
Questo fu l’errore dei sindacalisti, e questo è anche l’errore dei troppo caldi fautori dei consigli di fabbrica.
Opportunamente il compagno C. Niccolini in un articolo di Comunismo avverte che in Russia, anche dopo il passaggio del potere al proletariato, i consigli di fabbrica hanno spesso creato
ostacoli alle misure rivoluzionarie, contrapponendo, ancora più dei sindacati, le pressioni d’interessi limitati allo svolgimento del processo comunista.
I Consigli di fabbrica non sono nemmeno, nell’ingranaggio dell’economia comunista, i gestori principali della produzione.
Negli organi che hanno tale compito (consigli dell’economia popolare) i consigli di fabbrica hanno rappresentanze di minor peso che quelle dei sindacati di mestiere e quelle primeggianti del potere
statale proletario che col suo ingranaggio politico centralizzato è lo strumento e il fattore primo della rivoluzione, non solo in quanto è lotta contro la resistenza politica della classe
borghese, ma anche in quanto è processo di socializzazione della ricchezza.
Al punto in cui noi siamo, quando cioè lo Stato del proletariato è ancora un’aspirazione programmatica, il problema fondamentale è quello della conquista del potere da parte del proletariato, e
meglio ancora del proletariato comunista, cioè dei lavoratori organizzati in partito politico di classe e decisi di attuare la forma storica del potere rivoluzionario, la dittatura del
proletariato.
Lo stesso compagno A. Tasca nel n. 22 dell’«Ordine Nuovo» espone chiaramente il suo dissenso dal programma della maggioranza massimalista del Congresso di Bologna e ancora più da noi
astensionisti [...].
Così come Enrico Leone, Tasca e i suoi amici, sopravvalutano nella rivoluzione russa, l’apparizione di una nuova rappresentanza sociale, il Soviet, che per le virtù insite nella sua
formazione costituirebbe una originale soluzione storica della lotta della classe proletaria contro il capitalismo.
Ma i soviet – ottimamente definiti dal compagno Zinovief come le organizzazioni di stato della classe operaia – non sono altro che gli organi del potere proletario che esercitano la dittatura
rivoluzionaria della classe lavoratrice, cardine del sistema marxista, il cui primo esperimento positivo fu la Comune di Parigi del 1871. I soviet
sono la forma non la causa della rivoluzione.
[...]
Ciò che importa stabilire è che la rivoluzione comunista viene condotta e diretta da una rappresentanza politica della classe operaia, la quale prima dell’abbattimento del potere borghese è un
partito politico; dopo è la rete del sistema dei soviet politici, eletti direttamente dalle masse col proposito di designare rappresentanti che abbiano un dato programma generale politico, e non
siano già esponenti degli interessi limitati di una categoria o di una azienda.
Il sistema russo è così congegnato che il soviet municipale di una città si compone di un delegato per ogni aggruppamento di proletari, che votano un solo nome.
I delegati sono però proposti agli elettori dai partiti politici, e così avviene per le deleghe di secondo e terzo grado agli organismi superiori del sistema statale.
È sempre dunque un partito politico – il comunista – che chiede e ottiene dagli elettori il mandato di amministrare il potere.
Noi non diciamo certo che gli schemi russi debbano venire senz’altro ovunque adottati, ma pensiamo che si debba tendere ad avvicinarsi anche più che in Russia, al principio informatore della
rappresentanza rivoluzionaria: il superamento cioè degli interessi egoistici e particolari nello interesse collettivo.
Può essere opportuno per la lotta rivoluzionaria dei comunisti, costituire fin da ora l’ingranaggio di una rappresentanza politica della classe operaia? È il problema che esamineremo nel prossimo
articolo, discutendo anche il progetto elaborato al riguardo dalla direzione del partito, e ben fermo restando che, come in questo stesso progetto parzialmente si riconosce, questa rappresentanza
sarebbe ben altra cosa dal sistema dei Consigli e Comitati di fabbrica che s’è cominciato a formare a Torino.
Crediamo di avere abbastanza insistito sulla differenza tra Consiglio di fabbrica e Consiglio politico-amministrativo degli operai e contadini.
Il consiglio di fabbrica è una rappresentanza di interessi operai limitata alla ristretta cerchia di una azienda industriale. In regime comunista esso è il punto di partenza del sistema del
«controllo operaio» che ha una certa parte del sistema dei «consigli dell’economia» destinati alla direzione tecnica ed economica della produzione.
Ma nessuna ingerenza ha il consiglio di fabbrica nel sistema dei soviet politici depositari del potere proletario.
Nel regime borghese non può dunque vedersi nel Consiglio di fabbrica – come non può vedersi nel sindacato di mestiere – un organo per la conquista del potere politico.
Se ci si vedesse poi un organo di emancipazione del proletariato per altra via che non sia la conquista rivoluzionaria del potere, si ricadrebbe nell’errore sindacalista – e i compagni dell’Ordine Nuovo non hanno molta ragione nel sostenere, polemizzando con Guerra di Classe, che il movimento dei C.d.F., così come essi
lo teorizzano, non sia in un certo senso del sindacalismo.
Il marxismo si caratterizza per la partecipazione divinatrice della lotta di emancipazione proletaria in grandi fasi storiche, nelle quali diversissimo peso hanno l’attività politica e quella
economica: Lotta per il potere – esercizio del potere (dittatura del proletariato) nella trasformazione dell’economia – società senza classi e senza stato politico.
Portare a coincidere, nella funzione degli organi di liberazione del proletariato, i momenti del processo politico con quelli del processo economico vuol dire credere in quella caricatura piccolo
borghese del marxismo che dir si potrebbe economicismo, e classificare in riformismo e sindacalismo e la sopra valutazione del consiglio di fabbrica non sarebbe che un’altra incarnazione di questo
vecchio errore, che lega il piccolo borghese Proudhon ai tanti revisionisti che hanno creduto di oltrepassare Marx.
In regime borghese il Consiglio di Fabbrica è dunque un rappresentante degli interessi degli operai di un’azienda, così come lo sarà in regime comunista. Esso sorge quando le circostanze lo
richiedono, attraverso modifiche dei metodi di organizzazione economica proletaria. Ma forse più del Sindacato esso presta il fianco ai diversivi del riformismo.
La vecchia tendenza minimalista all’arbitrato obbligatorio, alla cointeressenza degli operai nei profitti del capitale, e quindi al loro intervento nella direzione e amministrazione della fabbrica,
potrebbe trovare nei C.d.F. la base per la elaborazione di una legge sociale antirivoluzionaria.
Ciò avviene in Germania attualmente tra l’opposizione degli indipendenti, che però non negano il principio ma le modalità della legge – differenziandosi dai comunisti pei quali il regime
democratico non può dar vita a un qualsiasi controllo del proletariato sulle funzioni capitalistiche.
Resti dunque chiaro che è cosa insensata parlare di controllo operaio fino a che il potere politico non sia nelle mani dello Stato proletario, in nome ed in forza del quale soltanto potrà
venire esercitato tale controllo, preludio alla socializzazione delle aziende e alla loro amministrazione da parte di appropriati organi della collettività.
[...]
Il programma del Partito approvato a Bologna dichiara che i soviet devono essere costituiti in Italia come organi di lotta rivoluzionaria. Il progetto Bombacci tende a svolgere tale proposta di
costituzione in modo concreto.
Prima di occuparci delle particolarità, discuteremo i concetti generali a cui il compagno Bombacci si è ispirato.
Anzitutto chiediamo – e non ci si dica pedanti – un chiarimento di forma. Nel periodo: «unicamente una istituzione nazionale più larga dei soviet potrà incanalare il periodo attuale verso la finale
lotta rivoluzionaria contro il regime borghese e la sua falsa illusione democratica: il parlamentarismo» - deve intendersi che il parlamentarismo è quella istituzione più larga, o questa
illusione democratica?
Temiamo che non valga la prima interpretazione, confermata dal capitolato sul programma d’azione dei Soviet, che è uno strano miscuglio delle funzioni dei medesimi con l’attività parlamentare del
partito.
Se è su questo equivoco terreno che i costituendi Consigli dovranno agire, meglio è certamente non farne nulla.
Che i Soviet servano ad elaborare progetti di legislazione socialista e rivoluzionaria che i deputati socialisti proporranno allo stato borghese – ecco una proposta che fa il paio con
quella relativa al soviettismo comunale-elezionista, così bene battuto in breccia dal nostro D.L.
Noi per ora ci limitiamo a ricordare ai nostri compagni autori di tali progetti una delle conclusioni di Lenin nella dichiarazione approvata la Congresso di Mosca: «Separarsi da coloro che illudono
il proletariato proclamando la possibilità delle sue conquiste nell’ambito borghese e propugnando la combinazione o la collaborazione degli strumenti di dominio borghese coi nuovi organi
proletari».
Se i primi sono i socialdemocratici – ancora cittadini del nostro Partito – non devono ravvisarsi i secondi nei massimalisti elezionisti preoccupati di giustificare la attività parlamentare e
comunale con mostruosi progetti pseudo-soviettisti?
Non vedono i nostri compagni della frazione che vinse a Bologna che essi sono fuori anche da quell’elezionismo comunista che potrebbe opporsi – cogli argomenti di Leone e di certi comunisti
tedeschi – al nostro irreducibile astensionismo di principio?
[...]
La discussione si è ormai generalizzata su tutta la stampa socialista – Quanto abbiamo letto di meglio sono gli articoli di C. Niccolini sull’Avanti!, scritti con grande chiarezza ed
intonati alla vera concezione comunista, e coi quali pienamente concordiamo.
I Soviet, i consigli degli operai, contadini (e soldati) sono la forma che assume la rappresentanza del proletariato nell’esercizio del potere, dopo l’abbattimento dello Stato capitalistico.
Prima della conquista del potere, quando ancora politicamente domina la borghesia, può avvenir che speciali condizioni storiche, probabilmente corrispondenti a serie convulsioni degli ordinamenti
istituzionali dello Stato e della Società, determinano il sorgere dei Soviet, e può essere molto opportuno che i comunisti agevolino e sospingono il nascere di questi nuovi organismi del
proletariato.
Deve però restare ben chiaro che tale formazione non può essere un procedimento artificiale, o l’applicazione di una ricetta – e che in ogni modo l’essersi costituiti i consigli operai, che saranno
la forma della rivoluzione proletaria, non vorrà dire che il problema della rivoluzione sia stato risoluto, e nemmeno che siano state poste condizioni infallibili alla rivoluzione. Questa
– e ne mostrammo gli esempi – può mancare anche ove i Consigli esistano, quando in questi non sia trasfusa la coscienza politica e storica del proletariato, condensata, direi quasi, nel partito
politico comunista.
Il problema fondamentale della rivoluzione sta dunque nella tendenza del proletariato ad abbattere lo Stato borghese ed assumere nelle proprie mani
il potere. Questa tendenza nelle larghe masse della classe operaia, esiste come diretta risultante dei rapporti economici di sfruttamento da parte del capitale, che determinano pel proletariato una
situazione intollerabile e lo spingono ad infrangere le esistenti forme sociali.
Ma il compito dei comunisti è quello di indirizzare questa violenta reazione delle folle e dare ad essa una migliore efficienza. I comunisti – come già disse il Manifesto – meglio del restante
proletariato conoscono le condizioni della lotta di classe e della emancipazione del proletariato – la critica che essi fanno della storia e della costituzione della società li pone in grado di
costruire una previsione abbastanza esatta degli sviluppi del processo rivoluzionario. Perciò i comunisti costituiscono il partito politico di classe, che si propone l’unificazione delle forze
proletarie, l’organizzazione del proletariato in classe dominante, attraverso la conquista rivoluzionaria del potere.
Quando la rivoluzione è prossima e i suoi presupposti sono maturi nella realtà della vita sociale, un forte partito comunista deve esistere, e particolarmente precisa deve essere la sua coscienza
degli eventi che si preparano.
Gli organi rivoluzionari che all’indomani della caduta della borghesia esercitano il potere proletario e rappresentano le basi dello Stato rivoluzionario, in tanto sono tali, in quanto sono guidati
da lavoratori coscienti della necessità della dittatura della propria classe – cioè da lavoratori comunisti. Ove così non fosse, questi organi cederebbero il potere conquistato e la
controrivoluzione trionferebbe.
Ecco perché se questi organi debbono sorgere, se i comunisti devono in un dato momento occuparsi della loro costituzione, non si deve credere che sia questo un mezzo per girare le posizioni della
borghesia e venire facilmente, automaticamente quasi, a capo delle sue resistenze a cedere il potere.
I soviet, organi di Stato del proletariato vittorioso, possono essere organi di lotta rivoluzionaria del proletariato quando ancora il capitalismo impera nello Stato?
Sì, nel senso però che essi possono costituire, ad un certo stadio, il terreno adatto per la lotta rivoluzionaria che il partito conduce. E
in quel certo stadio il partito tende a formarsi un tale terreno, un tale inquadramento di forze.
Siamo oggi in Italia in questo stadio della lotta?
Noi pensiamo che ad esso siamo molto prossimi, ma che vi è uno stadio precedente da superare.
Il partito comunista, che nei Soviet dovrebbe agire, ancora non esiste. Noi non diciamo che i Soviet, per sorgere, lo attenderanno: potrà darsi che gli avvenimenti si presentino altrimenti. Ma
allora si delineerà questo grave pericolo: l’immaturità del partito lascerà cadere questi organismi nelle mani dei riformisti, dei complici della borghesia, dei siluratori o dei falsificatori della
rivoluzione.
Ed allora, noi pensiamo, è molto più urgente il problema di avere in Italia un vero partito comunista, che quello di creare i Soviet.
Studiare entrambi i problemi, e porre le condizioni migliori per affrontarli entrambi senza indugio, può anche essere accettabile, ma senza mettere date fisse e schematiche ad una quasi ufficiale
inaugurazione dei Soviet in Italia.
Determinare la formazione del Partito veramente comunista, vuol dire selezionare i comunisti dai riformisti e socialdemocratici.
Alcuni compagni pensano che la stessa proposta di formare i Soviet possa offrire il terreno per questa selezione.
Noi non lo crediamo – appunto perché il Soviet non è, secondo noi, un organo per essenza sua rivoluzionaria.
In ogni modo, se il nascere dei Soviet deve essere fonte di chiarificazione politica, non vediamo come vi si possa arrivare sulla base di una intesa – come nel progetto Bombacci – tra riformisti,
massimalisti, sindacalisti e anarchici!
Invece la creazione in Italia di un movimento rivoluzionario sano ed efficiente, non sarà mai data dal mettere, in su, primo piano, nuovi organismi anticipati sulle forme avvenire, come i consigli
di fabbrica o i Soviet – così come fu una illusione quella di salvare dal riformismo lo spirito rivoluzionario, trasportandolo nei sindacati, visti come nucleo di una società avvenire.
La selezione non la realizzeremo con una nuova ricetta, che non farà paura a nessuno, bensì coll’abbandono definitivo di vecchie «ricette» di metodi
perniciosi e fatali.
Noi – per le ragioni ben note – pensiamo che questo metodo da abbandonare, per far sì che insieme ad esso possano essere respinti i non comunisti dalle nostre file, sia il metodo elettorale – e non
vediamo altra via per la nascita d’un partito comunista degno di aderire a Mosca.
Lavoriamo in questo senso – cominciando, come benissimo dice Niccolini, dall’elaborare una coscienza, una coltura politica nei capi attraverso uno studio più serio dei problemi della
rivoluzione – meno frastornato dalle spurie attività elettorali, parlamentari e minimaliste. Lavoriamo in tal senso – ossia facciamo più propaganda per la conquista del potere, per la coscienza di
ciò che sarà la rivoluzione, di ciò che saranno i suoi organi, di come veramente agiranno i Soviet – e avremo veramente lavorato per costituire i consigli del proletariato e per
conquistare in essi la dittatura rivoluzionaria che aprirà le vie luminose del comunismo.
4. Palmiro Togliatti, La costituzione dei Soviet in Italia. Dal progetto Bombacci all’elezione dei Consigli di fabbrica
«L’Ordine Nuovo», 14 febbraio e 13 marzo 1920
I. Come si crea uno Stato
Il progetto di costituzione dei Soviet, presentato da Nicola Bombacci alla discussione dei compagni e all’esame delle masse, e formulato da lui come
base di una futura azione che dovrebbe dar modo al nostro partito di concretare il suo spirito rivoluzionario, si apre con una notevole dichiarazione di principio: «i Soviet sono la base dello
Stato socialista». In questo punto, se siamo aderenti al programma della Terza Internazionale, se abbiamo fatto tesoro dell’esempio della rivoluzione russa, siamo tutti d’accordo o almeno dovremmo esserlo, dopo i deliberati di Bologna, e su questo punto incardina Bombacci il ragionamento che sta alla base del suo programma e
del suo progetto. È un ragionamento semplice e noi vogliamo ridurlo alla sua forma più semplice: «i Soviet sono lo Stato socialista» e, come corollario: «creare lo Stato socialista vuol dire far la
rivoluzione, per fare la rivoluzione bisogna dunque creare i Soviet».
La logica di questi ragionamenti, dal punto di vista formale, è esatta; quel che bisogna discutere è il valore dei termini, il significato da dare alle espressioni usate.
La concezione che fa consistere l’opera di una rivoluzione nella creazione di uno Stato è, secondo noi, esatta e abbiamo anzi avuto occasione di svilupparla parecchie volte. Ma che cos’è uno Stato?
Vi è la forma dello Stato e vi è la sostanza. La forma è la rete degli istituti nei quali rientrano gli uomini per operare come uomini politici.
La borghesia ha dato una forma all’associazione politica mediante la creazione degli istituti rappresentativi; ma questi istituti stessi non sono concepibili se non come espressione del modo di
essere della comunità civile, dei rapporti che legano in essa un uomo a tutti gli altri uomini. Il liberalismo politico e la finzione rappresentativa che sta alla base degli organismi dello Stato
liberale hanno un significato e un valore soltanto se messi in relazione con la rivoluzione degli uomini in società, che si suole chiamare rivoluzione liberale.
La cronaca delle assemblee della rivoluzione francese non ci dice nulla o ci dice in modo confuso come hanno fatto i borghesi a fare la rivoluzione, non ci dice come tutta la vita sociale fosse da
essi ordinata e regolata in modo nuovo. Lo Stato liberale fu creato prima dai banchieri, dai mercanti, dagli uomini di affari che, esercitando in modo audace e spregiudicato, al di fuori dei limiti
dell’ordine costituito, attività nuove e stringendo nuovi rapporti, costrinsero a poco a poco tutti gli uomini a seguirli sul nuovo terreno, ad accettare le nuove condizioni di vita, a entrare in
nuovi quadri. Prima di cambiare la forma dello Stato, i borghesi ne avevano modificato la sostanza, avevano modificato la costituzione della società civile: poi pensarono alle
«Costituzioni»... Noi, secondo Bombacci, dovremmo fare la strada inversa, partire dal risultato prima di avere posto le premesse e le condizioni di esso.
Anche noi diciamo che bisogna oggi pensare a costituire lo Stato socialista, agire per far sorgere gli organismi elementari di esso, ma crediamo vano questo programma e inutile questo lavoro se non
lo si intende nel modo esatto, l’unico possibile e concreto, come esercizio di una azione continua e organica diretta a modificare la natura dei rapporti sociali.
Il Soviet è per noi, come è stato il parlamento per i borghesi, un punto di arrivo, è la estrema impalcatura politica della società. Perché essa si regga in piedi, perché non precipiti miseramente
al primo soffio, occorre che si appoggi sopra una costruzione solida, che sia sostenuta in modo permanente dalla volontà di una massa ordinata tenuta assieme da un nuovo sistema di vincoli sentiti
e tali che gli uomini non possano liberarsene o assogettarvisi a loro piacimento.
Il problema della rivoluzione è tutto qui: è il problema di far diventare rivoluzionaria, in modo permanente, una grande massa umana. Per il
rivoluzionario quarantottesco, per il blanquista, anche, in un certo senso, per il socialista «Seconda Internazionale» è un problema di propaganda orale, di proselitismo di partito. Per il
marxista, per il comunista, cioè per il socialista che è sulle direttive della Terza Internazionale, è un problema di trasformazione dell’organismo sociale, cioè il problema di creare un sistema
organico nel quale gli uomini siano portati a entrare in modo spontaneo, per la evoluzione stessa che vengono subendo i rapporti sociali dietro l’impulso delle forze che reggono tutto l’organismo
della società.
Noi andiamo ripetendo che l’azione parlamentare è una illusione, che nel parlamento non è l’espressione della vera vita del paese, che la borghesia stessa non ci governa, non tiene soggiogato il
popolo dei lavoratori mediante il parlamento, ma mediante tutta una fittissima rete di organismi che dominano il mondo della produzione e quindi impongono a tutti noi di accettare una regola
sociale contraria alla nostra volontà al nostro interesse. In questa propaganda antiparlamentare è insito il profondo concetto che quello che conta è anzitutto la forma della comunità civile
produttiva, che solo in via subordinata ha valore la forma esteriore degli istituti politici. Dicendo agli operai che essi debbono, per fare la rivoluzione, far sorgere degli organismi di valore
esclusivamente politico e formale, si ricade nello stesso errore dei parlamentaristi. Far sorgere un organismo che sia nel campo proletario quel che è il parlamento per i borghesi è cosa che non
merita davvero la spesa.
Non solo, ma le formazioni soviettistiche sorte senza avere un contatto, e soprattutto senza essere giustificate da una precedente trasformazione dei rapporti sociali nella loro sostanza, è facile
prevedere che sarebbero destinate, in breve, a precipitare nel nulla, col risultato di avere riempito di scoraggiamento i lavoratori ai quali fosse fatto credere che con una deliberazione di
partito si può iniziare la creazione di una società nuova, e di avere insulsamente esposto alla derisione, allo scherno, alla morte per inedia, un’idea giusta e grande.
Le nostre critiche al progetto Bombacci si impernieranno quindi tutte intorno a un sol punto, intorno alla dimostrazione che, nonostante l’uso a ripetizione della parola «rivoluzione» e nonostante
le frasi le quali paiono accennare a una concezione marxistica del divenire sociale, il progetto non è né rivoluzionario né marxista, è una esercitazione che non può aver altro valore che quello di
una costruzione giuridica anticipata. Marx ci aveva insegnato che il diritto non è che una soprastruttura: Bombacci si accontenta della soprastruttura; Marx ci aveva insegnato che la rivoluzione è
un processo di sviluppo e di trasformazione di rapporti sociali, ci aveva insegnato che, posta a contatto con la realtà di questi rapporti, cioè della economia, la rivoluzione diviene una cosa
reale e concreta, che la volontà umana sostanzia di sé: Bombacci si accontenta della forma. E la rivoluzione, lo vedremo, diventa per lui una parola, un’ombra: gli organi rivoluzionari ch’egli
vorrebbe creare sono l’ombra di un’ombra.
II. Concretezza
Bombacci vuole dunque creare uno Stato e vuole mettersi all’opera in modo concreto: perciò stende un progetto di «Costituzione» di un nuovo Stato.
Essere concreti è la parola d’ordine del giorno, ma la concretezza, diventata la dea dei rivoluzionari, finora non ha saputo ispirare loro altro che... dei progetti di legge. Anche la concretezza
di Bombacci si riduce a questo, a questo si riduce l’opera concreta cui dovrebbero attendere i nuovi organismi creati con scopi rivoluzionari.
Che la rivoluzione debba essere una cosa concreta, siamo d’accordo purché, anche qui, ci si intenda bene. Il processo rivoluzionario è processo di sviluppo di un nuovo organismo sociale,
determinato da leggi e forze che agiscono nel seno stesso della società attuale. I teologi del marxismo intendono questo processo in modo astratto quando ne parlano come di una maturazione,
regolata da una fatalità e che un bel giorno avrà fine con la miracolosa uscita alla luce dell’organismo nuovo. Aspettiamo dunque, essi dicono, il lieto evento.
Concretamente le leggi e le forze che determinano la formazione del mondo nuovo assumono carne e forza vivente nella volontà degli uomini che operano nel mondo della produzione e che in questo
mondo, in conseguenza del modo di essere dei rapporti di proprietà, sono gli uni di fronte agli altri e lottano come classe. La concretezza dei rivoluzionari sta nel ritrovare nella coscienza e
nell’attività dei singoli lo specchio e la fonte della lotta delle classi, dei suoi diversi aspetti, del suo vario atteggiarsi a seconda dei luoghi, dei tempi e delle circostanze.
Azione concreta compiono i rivoluzionari quando riescono a esercitare una influenza organica su questa coscienza e su questa volontà che si fermano e si sviluppano nel mondo economico, nel mondo
della produzione. In tutto il periodo della lotta di classe che si potrebbe chiamare di ordinamento e di preparazione, periodo che è caratterizzato dalla resistenza, periodo che sembra chiudersi
oggi che si iniziano la conquista e la ricostruzione, nessuno ha mai negato questa verità semplicissima: che la lotta di resistenza traeva la sua
origine dal luogo stesso dove uomini ad uomini si trovano associati per lavorare, e per questa associazione sorgeva in essi la coscienza di una solidarietà dei destini e dell’azione, di uno scopo
comune e della necessità di un comune lottare. Nessuno, per quanto riguarda il periodo della lotta di resistenza ha mai negato che l’antagonismo di classe non poteva essere compreso se non
riferendosi al luogo del lavoro, dove esso assumeva forma plastica ed evidente, perché ivi un uomo o un gruppo di uomini trovavano dinanzi a sé, come un limite alla loro libertà la volontà a essi
estranea di altri uomini. Nella fabbrica, nel campo, la lotta di classe era cosa concreta, e alla fabbrica, al campo, si rivolgeva ogni azione che volesse dare a questa lotta una forma organica e
ordinata, trarla dalla sfera delle opposizioni e delle convulsioni cieche e inconscie, farla diventare principio coordinatore di volontà e di atti cospiranti a uno scopo comune, forza efficacemente
operante nel mondo della storia. I «legislatori» stavano in disparte, scherniti talora come inutili registratori del fatto compiuto, gente che sarebbe arrivata in ritardo a prendere atto della
avvenuta trasformazione, a stupirsi di fronte alla realtà, di fronte al mondo nuovo che un segreto lavorio di polipi stava edificando e che sarebbe affiorato un giorno, compiuto, perfetto nelle sue
linee e nei suoi elementi.
Oggi le cose sembrano essere cambiate. La fiducia in quelle che si affermano essere le forze effettivamente creatrici di storia è dunque svanita? Sembra che, nella concezione di questi compagni che
elaborano progetti di legge, queste forze: la coscienza di classe e la coscienza di membri di essa, dei produttori, abbiano perduto il loro potere, che esse abbiano esaurito ogni loro virtù nel
preparare il terreno per la ricostruzione, nel dissolvere le vecchie forme e i vecchi rapporti associativi mostrandone ingiusto il contenuto, nel far sorgere quindi il desiderio di nuove forme e di
nuovi rapporti. Oggi si tratta di ricostruire, nuovamente sarebbe giunto il giorno dei «legislatori».
Ma se la lotta di classe concretamente intesa come formazione, sul luogo del lavoro, di una coscienza e di una volontà comuni a un gruppo di uomini riuniti per il lavoro è realmente la molla della
storia, essa deve avere in sé l’uno e l’altro potere: quello di distruggere e quello di realizzare, di dissolvere e di concretare. Essere concreti oggi vuol dire per noi aiutare questo passaggio,
questa trasformazione: fare che sul luogo stesso del lavoro la lotta delle classi diventi creatrice di nuovi rapporti sociali, e che pure acquistando questa capacità nuova essa continui a essere
ciò che sempre è stata: azione di masse che operano nel campo della produzione.
Saremo concreti nella conquista, come si fu nella resistenza, se la conquista faremo partire dal luogo donde la resistenza è partita, dal luogo del lavoro, dalla fabbrica, dal campo. Altrimenti
avremo soltanto fatto dei «piani» e l’ombra di Marx amaramente ci suggerirà che il costruttore di «piani» è un controrivoluzionario.
Il «piano» della ricostruzione
Non esiste dunque un «piano» della rivoluzione, un «piano» dell’opera ricostruttiva che si dovrà iniziare domani? Tutt’altro, un piano esiste, ma non lo si trova né nella mente dei capi, né, se mi
si permette, nell’esempio di altri paesi. Lo si trova nella realtà stessa della vita economica. Nella fabbrica la cosa è evidente: si è costituito un organismo nel quale tutte le parti sono
collegate in unità organica e non hanno una ragione d’essere al di fuori di essa. Concepire, nella fabbrica moderna, una produzione individualistica e un nuovo spezzettamento di elementi disgiunti
dal tutto, è impossibile. Naturale è invece concepire la produzione come un fatto collettivo. Il particolarismo sussiste solo al vertice dell’edificio, nel persistente principio di proprietà
particolare, ma questo principio è incompatibile ormai con la coscienza nuova che è fiorita sopra i nuovi rapporti produttivi e con le necessità stesse della produzione. La base materiale
dell’edificio nuovo la si sta dunque ormai costituendo solidamente. Esiste già il nuovo meccanismo, la macchina nuova: occorre soltanto che questa macchina acquisti un’anima. L’anima nuova la si
crea negli organi che aderendo al processo produttivo danno ai produttori coscienza della loro unità, e rendono l’azione della loro classe adeguata e conforme alla realtà della vita economica. In
questi organi il piano della ricostruzione lo si scopre, giorno per giorno, e via via che lo si scopre lo si realizza. Non è più piano di un’opera da iniziare domani, è piano di una ricostruzione
che oggi stesso si compie. È veramente dunque un piano concreto.
Come nella fabbrica così nello Stato e nella Internazionale. Anche in questo campo più vasto lo sviluppo stesso della economia tende a far diventare gli uomini parte e strumento di un organismo nel
quale incominciano a essere realizzate, in modo unicamente meccanico ed esteriore, le condizioni di un passaggio a un sistema economico solidaristico. L’accentramento, i tentativi padronali di
associazione allo scopo di organizzare la economia, l’intervento attivo deliberato, in un ulteriore momento di sviluppo, dello Stato, e la conquista da parte di esso di una posizione predominante e
direttiva, questi fatti distinguono il periodo attuale, e rappresentano le premesse, le condizioni materiali della rivoluzione comunista. Non si esce però, finora, dalla cerchia del principio
capitalistico. Industriale singolo, sindacato industriale, Stato protezionista o Stato nazionalizzatore sono forme diverse di padroni. Bisogna
superare il principio padronale, rendendo possibile alla volontà dei produttori, come singoli e come associati, di diventare essa stessa animatrice e sostegno dell’organismo della produzione. Cioè
bisogna educare i produttori a impadronirsi del «piano» comunistico e a renderlo realmente tale; bisogna educarli a governarsi da sé.
La rivoluzione e i Consigli di fabbrica
Anche il progetto Bombacci parla di un governo di produttori, parla dell’esclusione dal potere dei non produttori, parla di lavoratori organizzati in considerazione delle loro funzioni di
produttori. Ma esso è preceduto da una dichiarazione preliminare, che ribadisce, per evitare equivoci, la distinzione tra Consigli di fabbrica e
Soviet, ma in esso si cercano invano norme, le quali pongano i due organismi in una relazione organica, facciano dell’uno la base dell’altro. E allora a che parlare di «produttori»? Gli operai sono
nel Consiglio di fabbrica naturalmente come produttori, entrano invece nei Soviet di Bombacci come uomini i quali hanno un determinato programma politico da sostenere e da realizzare.
Tali Soviet si riducono quindi a essere nel progetto pubblicato, si ridurrebbero a essere nella realtà dei duplicati, a base più vasta, delle sezioni del partito. Non rappresenterebbero nessun
nuovo principio, non sarebbe in essi la possibilità di nessuno sviluppo nuovo e diverso da quello che potrebbe e dovrebbe normalmente essere lo sviluppo del partito stesso. Nel Consiglio di
fabbrica e in generale nella organizzazione per unità e per luogo di lavoro è palese invece che ci si trova davanti all’applicazione di un principio nuovo. È superata la tattica delle rivoluzioni
borghesi, si è definitivamente usciti fuori dall’orbita delle associazioni volontarie con scopi politici, delle conventicole e delle società segrete, si è raggiunta una posizione diversa, si segue
una tattica nuova, quella di porre le basi di una organizzazione naturale di massa, la quale sorge e si sviluppa sul terreno stesso della produzione.
Perciò nel progetto Bombacci si presentano come una necessità i continui richiami al carattere politico dei nuovi organismi, al loro scopo, che dovrebbe essere quello di preparare la rivoluzione
elaborando progetti e misure «rivoluzionarie», tendendo al culmine dell’«azione diretta rivoluzionaria»: l’insurrezione. In un progetto di costituzione dei Consigli di fabbrica questi richiami
verbali sarebbero superflui. Rivoluzionario è di per sé, senza bisogno di essere qualificato per tale, l’atto dell’operaio che sul luogo del lavoro si elegge un capo e ubbidisce a esso
volontariamente. Rivoluzionaria è, senza bisogno che la si dica tale, l’organizzazione che sorgendo sul luogo del lavoro, a contatto con gli altri organi della economia padronale, viene ad essere
naturalmente la antagonista del padrone e a esercitare un controllo sul suo modo di agire. Una volontà nuova, un proposito trasformatore si afferma
immediatamente e naturalmente nel Consiglio di fabbrica, anche se i suoi membri non si dicono esplicitamente rivoluzionari e non sanno di esserlo: non vi è che da lasciare che la nuova
organizzazione si sviluppi. Essa contiene in sé la sua legge, la legge che inesorabilmente la porterà domani a essere la rivale dello Stato dei borghesi, come oggi entrando in essa gli operai
acquistano chiara coscienza di essere i rivali del padrone, e della necessità di esserlo in modo continuo, in tutti gli atti della loro vita di produttori. Nel progetto Bombacci si suppone che
questa coscienza esista già in un numero tale di produttori, e con una forza tale che sia sufficiente a dare vita a una vasta rete di organi statali, nella pratica della costituzione dei Consigli
si riconosce che fino a che questa coscienza non si sia affermata universalmente sul luogo del lavoro, è vano parlare di costruzione di un nuovo Stato. Si tende quindi a crearla e a rafforzarla, si
tende soprattutto a far sì che sul luogo stesso del lavoro si compia la trasformazione della coscienza dei produttori in volontà costruttiva, capace di dar vita a un complesso di organi di governo,
capace di creare uno Stato.
5. Carlo Niccolini, La costituzione dei Soviety
«Avanti!», 5 febbraio 1920
Il progetto proposto dal compagno N. Bombacci e pubblicato dall’«Avanti!» merita di essere ampiamente discusso nelle riunioni operaie, nei Sindacati,
là dove batte il polso della vita proletaria. Però bisogna prima di discutere ogni paragrafo del progetto, chiarire parecchi punti di ordine generale.
La storia contemporanea del movimento rivoluzionario del proletariato mostra parecchi tipi di rivoluzione, o meglio dire differenti fasi dello sviluppo rivoluzionario mondiale verso il comunismo.
Abbiamo visto lo svolgimento rivoluzionario in Russia, Germania, Austria e Ungheria.
In tutte queste rivoluzioni abbiamo osservato la creazione dei Soviety operai, contadini, soldati e marinai al momento dell’urto decisivo. I Soviety, secondo la pratica recente delle varie
rivoluzioni, sono armi del potere operaio, istituti della dittatura comunista, così come il Parlamento, Comune, ecc., sono istituti borghesi, istituti di conservazione capitalistica, strumenti
della dittatura della «democrazia» borghese.
Non bisogna dimenticare, che in tutte le recenti rivoluzioni i Soviety sono stati il risultato del primo assalto violento del proletariato per il potere, per la direzione delle cose. Tale assalto
fu conseguenza di molte circostanze economico-politiche e anche in gran parte del fatto psicologico della scomparsa delle illusioni democratiche-parlamentari, piccolo-borghesi, nella massa
proletaria.
La rivoluzione non è il momento più luminoso, clamoroso, ecc., ma è un processo, che segue le sue leggi interne, ed ha i suoi flussi e riflussi. Dopo il primo urto, che si corona con la conquista
da parte del proletariato e dei Soviety di un potere dello Stato, che è ancora nella fase nascente, piuttosto un diritto di esistenza, un’affermazione, per quanto clamorosa ed importante, segue un
altro periodo della lotta ostinata, difficile per il trapasso di tutto il potere ai Soviety.
Non possiamo rifare la storia delle rivoluzioni contemporanee per rafforzare le osservazioni sopraindicate.
Tutto questo ha lo scopo di sottolineare, che la Rivoluzione non dipende da una forma di organizzazione, ma che la forma di organizzazione (Soviet) è il risultato della Rivoluzione. Una analisi più
ampia, che c’impedisce di fare la mancanza di spazio, sulle diverse fasi delle varie rivoluzioni, mostrerebbe che solo così, sotto questo punto di vista si deve trattare la quistione di
organizzazione dei Soviety. Ma basta solo confrontare il carattere dei Soviety in Russia al tempo di Kerenski e dopo il novembre, con quelli di Germania in principio della rivoluzione tedesca e
dopo il relativo consolidamento della reazione borghese di Ebert-Noske. La Rivoluzione russa e la rivoluzione «strascicante» (definizione di Trotzky) tedesca, ecco due tipi di rivoluzione, due
varie storie di esistenza, di lotta dei Soviety, che bisogna sempre tenere presenti. Tutto quello che differenzia così profondamente e chiaramente i Soviety tedeschi dai russi è un esempio
facilmente comprensibile per ogni operaio, per ogni socialista.
L’Italia sarà il primo paese dove saranno fatti tentativi in vasta scala per la creazione dei Soviety prima che succeda l’urto decisivo, o semi-decisivo che abbiamo osservato nelle varie
rivoluzioni. C’è un altro paese in stato di costante ebollizione rivoluzionaria, la Bulgaria, dove il Partito comunista è fortissimo e dove invece non si sono fatti tentativi per la creazione dei
Soviety, prima che scoppiasse la Rivoluzione.
Le nostre obbiezioni non hanno lo scopo di tracciare la linea della imminente rivoluzione italiana, che può darsi sarà originale, seguirà, forse, le leggi di uno sviluppo a lei sola caratteristica.
Può darsi che il momento decisivo verrà appunto dalla lotta fra le due istituzioni rivali: lo Stato borghese (Parlamento, Comune, ecc.) ed il Soviet, che tenterà di prendere il potere.
Ad ogni modo qualunque possano essere le vie future della Rivoluzione italiana, bisogna non farsi illusioni rosee: la lotta sarà difficile. E se c’è qualcuno (e ce ne sono, purtroppo, non pochi)
che pensa che sarà data dalla borghesia la possibilità di preparazione legale pacifica di tutti i mezzi di lotta, bisogna lottare contro simile illusione «riformistica-rivoluzionaria».
Quel poco che risulta dalle discussioni nel Partito sul sistema dei Soviety, dei Consigli di fabbrica, dà piena ragione di dire, che esiste troppo
confusionismo, poca chiarezza e poca pazienza di studiare, di arrivare a capire l’essenziale delle varie rivoluzioni proletarie e dei loro organismi.
La quistione dei Soviety, della rivoluzione proletaria per taluni dei nostri compagni comincia ad essere una ricerca alquanto rispettabile, ma inutile, di una nuova pietra «filosofale».
L’articolo del compagno Gennari sull’elezioni amministrative dimostra, che abbiamo perfettamente ragione. Per lui i Comuni conquistati dai socialisti dovranno essere «una finzione giuridica che
permetta, in regime attuale l’inizio dell’attuazione della formula politica comunista: tutto il potere al Consiglio dei lavoratori».
Mi scusi, il compagno Gennari, ma davvero è una cosa misera il cercare per i Soviety, per la dittatura del proletariato una «finzione giuridica». Mi
parrebbe inutile di ripetere, che secondo la teoria e pratica marxistica le nuove forme giuridiche non precedono mai i fatti economici, fatti della vita, ed una rivoluzione, la lotta per tutto il
potere, non ha prima bisogno di una «finzione giuridica» abilmente (secondo il pensiero intimo del compagno Gennari) sfruttata dal proletariato nei Comuni conquistati.
Un altro esempio di poca chiarezza è dato dal compagno V. Ambrosini per cui tutto sta «nel modo di compilare le liste per le prossime elezioni comunali» che daranno la possibilità, secondo lui, di
realizzare la formazione di questi Consigli politici di lavoratori. Se tutto è in questo, il compagno Ambrosini ha ragione di credere che ciò non presenta delle gravi difficoltà. Beata
semplicità!
La quistione è semplice: o i Soviety si creeranno, lotteranno e vinceranno, malgrado e contro la volontà dello Stato borghese, o subiranno una sconfitta, che può essere di carattere o tedesco o
ungherese.
Gli ultimi scioperi dimostrano che siamo solo in un momento in cui quasi istintivamente le due parti, statale-capitalista e operaia, aggiornano le battaglie decisive, cercano e trovano per ora un
compromesso, rimandano ad un’altra volta lo scontro con spade a nudo, dopo di che «i fucili cominceranno a sparare da sè».
Con queste involontariamente brevi osservazioni di carattere generale passeremo alla discussione del progetto del compagno Bombacci.
6. Giacinto Menotti Serrati, Qualche osservazione critica preliminare
«Avanti!», 14 marzo 1920
Le discussioni che, intorno ai Soviet ed ai Consigli di Fabbrica, si vanno facendo qua e là nelle nostre organizzazioni, sui nostri giornali, non
corrispondono certo per elevatezza di idee e per conoscenza dell’argomento alla vitale importanza della questione.
Se ne parla come di uno fra i tanti argomenti di cui si discute in questi giorni, si accetta la prima soluzione prospettata, si confonde spesso l’uno istituto (Soviet) con l’altro
(Consigli di Fabbrica) dando così la dimostrazione più evidente che poco si legge, poco si indaga, poco si critica e, soprattutto, che si fa ogni cosa troppo alla carlona.
Gli stessi deliberati che vengono presi qua e là dalle nostre organizzazioni risentono della mancanza di preparazione culturale e fanno la impressione che oramai sia penetrata negli animi di non
pochi compagni nostri la convinzione che le istituzioni politico-sociali di un paese sieno come una specie di domino che si possono indossare e svestire a piacimento, prestamente come per una
serata di gala.
Ci si offre il progetto Bombacci o Gennari per la costituzione dei Soviet? Ebbene pigliamo l’uno o l’altro, fa lo stesso. Poi, se mai, vedremo se dovremo tenerlo o cacciarlo via. Così, leggermente,
allegramente quasi si trattasse di una festicciola in famiglia.
E guai avvertire che si tratta di cosa seria, che merita tutta la più grande ponderazione ed il più grande studio. Chi parla di ponderazione e di studio non può essere, oggi, che un vile
riformista. Il più grande rivoluzionario è colui che promette alle masse di poter toccare il cielo col dito appena si levino sulla punta dei piedi. Questa dolorosa faciloneria produce effetti
veramente sorprendenti.
Giorni sono, ad esempio, un buon compagno, sopra un ottimo giornale settimanale nostro, dedicava una colonna di sua prosa a dimostrare la «larghezza di vedute» del progetto Bombacci,
rilevando che «il diritto di voto indistintamente a tutti i lavoratori risponde a criteri di attualità storica, rivoluzionaria e di serenità di giudizio».
Ma chi si è mai sognato di negare il diritto di voto a tutti gli operai – anche ai disorganizzati – in regime di Soviet? Ma se questo diritto i disorganizzati l’hanno già in regime
borghese!
Evidentemente l’ottimo compagno ha confuso la discussione che si fa intorno a simile diritto per i Consigli di Fabbrica, con il diritto, da nessuno contestato, per i Consigli degli operai e
contadini. Ed è giunto a concludere essere cosa «di attualità storica rivoluzionaria» ciò che è ammesso largamente da tutte le leggi elettorali borghesi del mondo!
Simile confusione avviene spesso anche nei deliberati delle nostre organizzazioni – anche nelle migliori – e se ne hanno quindi delle curiosissime situazioni contraddittorie.
Così, ad esempio, il giorno 29 febbraio i socialisti di Alessandria, radunati a congresso provinciale – dopo ampia relazione Bedariva – votavano un ordine del giorno che così cominciava:
«Il Congresso considerato che la conquista della Provincia e dei Comuni da parte del proletariato è una necessità, sia per concorrere a formare la capacità amministratrice dei lavoratori, sia
per giungere colla completa autonomia, a creare gli organi e gli istrumenti cooperanti del potere del proletariato stesso.
Ritenuto che tale conquista è del resto la necessaria conseguenza delle elezioni politiche...».
Passando poi all’argomento dei Consigli di Fabbrica e dei Soviet lo stesso congresso, così concludeva un proprio ordine del giorno:
«...ritenuto anche che all’ineluttabile dissolvimento borghese il proletariato dovrà assumere le redini del potere, proclamare la propria dittatura e passare alla instaurazione del regime
comunistico a base di Soviet;
«dà mandato alla Federazione provinciale socialista perché inizi una intensa propaganda, tra la classe lavoratrice, per determinarvi una precisa coscienza della necessità di organi nuovi di
gestione politica ed economica rispondenti agli interessi dei produttori (Consigli operai e contadini, Comitati di fabbrica, Consigli dell’economia popolare, ecc., ecc.) in tutta la Provincia, di
modo che la creazione di detti organi, attuata nel più breve tempo possibile ed in armonia con quelli politici e sindacali già esistenti, sia il naturale corollario di una corrispondente
convinzione e preparazione spirituale e politica del proletariato».
Tutto ciò è fantastico! Come non si sono accorti i nostri bravi compagni alessandrini che invocarono la «completa autonomia comunale» ed in pari tempo «la dittatura del proletariato ed il regime
comunistico a base di Soviet» è incappare nella più strabiliante contraddizione in termini?
Autonomia e dittatura, ecco veramente due termini in piena antitesi.
Non creda però qualcuno che la contraddizione dei nostri compagni di Alessandria sia occasionale. No. Essa è la contraddizione stessa in cui si dibatte il nostro Partito, preso come è fra le suggestioni vivissime dei tempi nuovi e la sua tradizione riformista, democratica, piccolo borghese. Oggi ancora – mentre si dice Soviet e
rivoluzione – in non pochi ambienti nostri si pensa alle piccole riforme contingenti ed attuali. Mentre si afferma la rivoluzione imminente,
mentre anzi qualcuno la dice già in atto, si preparano progetti di trasformazioni lentissime quasi il comunismo fosse a mille miglia e mille secoli di distanza.
Questa contraddizione è il tormento del Partito Socialista Italiano, sicché esso appare tutto tinto del color di fiamma viva anche là dove accetta tutte le compromissioni o si dà a tutte le
maggiori e più dirette opere di adattamento e di collaborazione.
Se noi vogliamo veramente fare azione rivoluzionaria dobbiamo denunciare e vincere questa contraddizione, non mostrare di ignorarla e quasi di occultarla dedicandoci ad uno sterile verbalismo
rivoluzionario. Per vincere la situazione e correre verso le realizzazioni veramente rivoluzionarie bisogna non aver timore di scrostare tutta la vernice del falso rivoluzionarismo, riprendere
tutta intera la nostra fisionomia proprio come essa è, agire nella realtà, colle forze nostre vere da uomini del ventesimo secolo e non con i furori isterici degli ispirati del mille.
Dobbiamo conoscerci e conoscere. Il mondo non si trasforma a seconda dei piani che un profeta possa stendere sulla carta e gettare alle turbe suggestionate. Questo socialismo da Enfantin, non è il
nostro. Noi siamo e vogliamo restare dei marxisti; per noi quindi la rivoluzione sociale non è la creazione fortunata della volontà di questo o di quello che alla organizzazione sociale passata,
propone e sostituisce un modello di nuova organizzazione sociale. Lenin non è né un duce, né un profeta. È un politico. Lenin senza la grande
industria in Germania ed in Inghilterra, senza il cozzo degli imperialismi, senza la guerra, senza l’urto delle varie economie borghesi, senza il sorgere del proletariato, non è possibile. È un
assurdo.
Ora ogni progetto «italiano» deve necessariamente tenere conto delle condizioni politiche ed economiche del nostro paese. Non si crea il
Soviet sulla punta del Davalogiri. E non tutti i soviet sono fatti esattamente lo stesso. Ecco perché il progetto Gennari che ci dà un esempio di soviet urbano è già più
realistico, cioè più rivoluzionario. Ecco perché – a nostro modo di vedere – è ancora più rivoluzionario il progetto della Direzione del Partito onde esperimentare il funzionamento dei
soviet prima in una località e poi estenderlo, per quanto è possibile e con tutte le garanzie, a quanti più converrà, tenendo conto delle esperienze e con tutte le precauzioni necessarie
onde questi nuovi organismi, dei quali si tenta l’esperimento in tempi ed ambienti non loro, non seminino domani delusioni e sconforti in proporzione di quante facili speranze hanno oggi fatto
germogliare.
In base a queste considerazioni abbiamo letto con vivo piacere la discussione che intorno ai soviet si è fatta al Congresso provinciale di Ferrara. Il compagno deputato Niccolai vi ha
tenuto un discorso veramente rimarchevole:
«I soviet – egli ha detto – vanno considerati come l’organo nuovo corrispondente alla nuova forma sociale. In Russia i Soviet sono la espressione della rivoluzione, noi non dobbiamo
dimenticare di vivere ancora nel vecchio mondo e dobbiamo andare molto cauti nel caldeggiare certi progetti che ci sono stati offerti e che non hanno nulla di serio. Noi dobbiamo tendere piuttosto
ad una elaborazione tecnica dei nostri organismi, cercare di fonderli, e dare alle classi lavoratrici una coscienza di classe che superi le tendenze e permeare di spirito soviettistico le nostre
organizzazioni».
Dopo di che il Congresso del Ferrarese ha votato un ordine del giorno proposto dallo stesso Niccolai nel quale:
«Riafferma quanto il Congresso di Bologna chiaramente espresse, che cioè le attuali istituzioni sono incapaci di trasformarsi in senso pienamente socialista, che il problema istituzionale del
socialismo dovrà essere risolto con la creazione dei consigli operai, come l’esperienza del proletariato russo suggerisce;
«ritiene che intanto è opportuno creare gli organi di collegamento del movimento operaio e socialista ai quali passerà il potere quando la dittatura operaia sarà messa in atto, permeando
contemporaneamente di spirito socialista le attuali organizzazioni di resistenza che attraverso alla lotta di classe sin d’ora creano e impongono nuovi rapporti giuridici in senso
socialista;
«e delibera d’invitare la Direzione del Partito a sottoporre un progetto chiaro e concreto in proposito sul quale potrà efficacemente svolgersi l’azione del Partito, escludendo però dai
consigli operai in questo periodo pre-rivoluzionario i disorganizzati che non danno nessun affidamento di collaborare con disciplina e sacrificio al movimento socialista».
Questo ordine del giorno – a parte, anche qui!, l’errore che riguarda i disorganizzati – ci pare esprimere con sufficiente chiarezza quale debba essere il compito nostro nell’attuale
situazione.
Il prossimo Consiglio nazionale del Partito – che si terrà a Torino nei giorni 3, 4, 5, 6 – discuterà a fondo questo argomento. È per questo che a
noi è parso opportuno sollevare queste obbiezioni e lanciare nel nostro campo queste modeste osservazioni anche per indurre i compagni ad interessarsi con maggior fervore della questione e recare
alla sua soluzione il contributo di più lungo studio e di più grande amore.
Note
[1] A. Tasca, La nascita del fascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, 16.
[2] Ad esempio, il fondamentale studio di P. Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. 1. Da Bordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1967 e i testi di L. Cortesi, Le origini del Partito Comunista Italiano. Il PSI dalla guerra di Libia alla scissione di Livorno, Bari, Laterza, 1973, di A. De Clementi, Amadeo Bordiga, Torino, Einaudi, 1971 e di A. Lepre, S. Levriero, La formazione del Partito comunista d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1971. Fanno eccezione per la profondità dell’analisi e gli spunti interpretativi, le opere di T. Detti, Serrati e la formazione del Partito comunista italiano. Storia della frazione terzinternazionalista, 1921-1924, Roma, Editori Riuniti, 1972 e di F. De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia, 1919-1920, Bari, De Donato, 1971.
[3] S. Noiret, Massimalismo e crisi dello Stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924), Milano, Franco Angeli, 1992; A. Benzoni, V. Tedesco, Soviet, Consigli di fabbrica e “preparazione rivoluzionaria” del PSI (1918-1920), «Problemi del socialismo», 1971, 188-210, 637-665.
[4] Il Congresso Socialista di Bologna, «Comunismo», 15-31 ottobre 1919, 90. [Corsivo mio].
[5] L’emendamento Bombacci, «Avanti!», Milano, 13 dicembre 1919, 1. [Corsivo mio].
[6] Il Consiglio nazionale socialista radunato a Firenze, «Avanti!», Milano, 14 gennaio 1920, 1.
[7] H. König, Lenin e il socialismo italiano, Firenze, Vallecchi, 1972, 93.
[8] P. Nenni, Il diciannovismo, Milano, Edizioni Avanti!, 1962, 91.
[9] Per un rapido riepilogo delle questioni politiche chiave del biennio rosso, vedasi S. Forti, «L’operaio ha fatto tutto; e l’operaio può distruggere tutto, perché tutto può rifare». Massimalismo, Biennio Rosso, Bologna, Ercole Bucco, «Storicamente», 2 (2006), http://www.storicamente.org/05_studi_ricerche/02forti.htm.
[10] Benzoni, Tedesco, Soviet, Consigli di fabbrica e “preparazione rivoluzionaria” del PSI (1918-1920), cit., 190.
[11] Nenni, Il diciannovismo, cit., 81. [Corsivo mio].
[12] O. Anweiler, Storia dei soviet, 1905-1921, Roma-Bari, Laterza, 1972, VII-VIII.
[13] A. Venturi, Rivoluzionari russi in Italia 1917-1921, Milano, Feltrinelli, 1979, 11, 121; Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. 1. Da Bordiga a Gramsci, cit., 22-24.
[14] Benzoni, Tedesco, Soviet, Consigli di fabbrica e “preparazione rivoluzionaria” del PSI (1918-1920),cit., 200-201. V. Romitelli spiega con precisione il complesso rapporto tra Rivoluzione, Soviet e Potere nel 1917 russo, V. Romitelli, Sulle origini e la fine della Rivoluzione, Bologna, CLUEB, 1996, 172-179.
[15] Per quanto riguarda la categoria interpretativa di “detto” politico, vedasi V. Romitelli, M. Degli Esposti, Quando si è fatto politica in Italia? Storia di situazioni pubbliche, Catanzaro, Rubbettino, 2001, 17-73.
[16] N. Bombacci, La costituzione dei Soviet in Italia, «Avanti!», Milano, 28 gennaio 1920, 2. [Corsivo mio].
[17] Rispettivamente, N. Bombacci, I Soviet in Italia. Pregiudiziali, critiche e proposte concrete, «Avanti!», Milano, 27 febbraio 1920, 2; E. Gennari, Formiamo i Soviet, «La Squilla», 28 febbraio 1920, 1; C. Niccolini, La costituzione dei Soviety, «Avanti!», Milano, 5 febbraio 1920, 5; G. M. Serrati, Qualche osservazione critica preliminare, «Avanti!», Milano, 14 marzo 1920, 3.
[18] I cinque articoli di cui si compone il saggio di A. Bordiga Per la costituzione dei Consigli operai sono stati pubblicati rispettivamente in «Il Soviet», 4 gennaio 1920, 2; 11 gennaio 1920, 2 e 3; 1 febbraio 1920, 2 e 3; 8 febbraio 1920, 2; 22 febbraio 1920, 2.
[19] P. Togliatti, La costituzione dei Soviet in Italia (Dal progetto Bombacci all’elezione dei Consigli di Fabbrica), «L’Ordine Nuovo», 14 febbraio 1920, 291 e 13 marzo 1920, 315.