Storicamente. Laboratorio di storia
Esperienza e cultura
L’oggetto dell’analisi si trasforma; si punta l’attenzione sull’esperienza, sulla maniera in cui l’uomo percepisce la propria vita e si rapporta al mondo esterno. Lo scopo degli storici sociali, dunque, è quello di ricostruire per intero il tessuto. Ma l’entusiasmo per l’argomento antropologico non ci deve far dimenticare il messaggio più profondo dell’antropologia culturale: che l’intera vita sociale, dalle pratiche simboliche elaborate fino alle attività apparentemente concrete del costruire cose o del coltivare, è plasmata culturalmente. Le «idee» o le «credenze» non sono limitate a pochi gruppi; esse costituiscono parti essenziali del tessuto della vita quotidiana delle persone comuni: «tutta l’esperienza», fa notare Geertz, «è esperienza interpretata» (Sewell, Lavoro e rivoluzione in Francia, 27).
Se da una parte Geertz afferma che «tutta l’esperienza è esperienza interpretata», dall’altra Thompson sostiene che tutti gli uomini «consumano le loro vite sotto forma di esperienze» e che storia ed antropologia dialogano incessantemente (Società patrizia e cultura plebea, 263). L’importanza di questo aspetto è ribadita da Rancière:

Face aux histoires normatives qui nous montrent un mouvement ouvrier en marche vers la plénitude de sa conscience « prolétarienne », il faudrait étudier comment l’expérience quotidienne de l’exploitation et de l’oppression trouve à se systématiser en empruntant des mot ou des raisonnements au discours d’en haut, comment des idées deviennent des forces matérielles, comment des plans de réorganisation sociale sont mis en œuvre à l’échelle d’un atelier, d’une corporation, d’un quartier. Histoire tenant compte de la diversité des expériences ouvrières et des formes de systématisation, des perceptions différenciées du travail, de l’outil, du patron, de la bourgeoisie ou de la classe ouvrière selon les différents procès de travail, selon les pratiques de solidarité, de lutte ou de négociation propre à chaque corporation : différences de pratiques qui donnent leur tonalité propre à la rêverie des cordonniers, à la discussion collective des tailleurs, à la pensée syndicale des typographes ou à la pensée organisatrice des mécaniciens (La parole ouvrière, 21).

C’è un altro concetto fondamentale della nuova storia sociale: la cultura. Geertz definisce la cultura come «[…] il complesso di credenze, simboli espressivi e valori nei cui termini gli individui definiscono il loro mondo, esprimono i loro sentimenti e formulano i loro giudizi. […] La cultura è l’intelaiatura di significato nei cui termini gli essere umani interpretano la loro esperienza e orientano le loro azioni» (Interpretazioni di culture, 164).

Le conseguenze per il nostro discorso sono evidenti: la continuità che sgorga dall’interno stesso delle configurazioni sociali così definite, qualunque sia la loro dimensione, impone anche una continua elaborazione di cultura, in cui le classi popolari (ma anche le classi loro antagoniste) organizzano nuovi meccanismi di difesa. La cultura popolare non è dunque né meccanismo di difesa politico e psicologico creato una volta per tutte, né è solo un continuo sforzo di dominio sulle forze della natura, ma è – sempre di più – la creazione di un sistema in mutamento di difesa e di controllo contro l’instabilità e l’aggressività della rete di interdipendenze sociali. In questa senso ha un ruolo fondamentale nel plasmare la configurazione di cui è parte (Levi, Regioni e cultura delle classi popolari, 725).

G. Levi mette in luce la grande vitalità e forza della cultura popolare:

È del resto stupefacente che si sia messo più spesso l’accento sulla passività e sulla disgregazione piuttosto che sulla costruzione di meccanismi di protezione psicologica che la cultura popolare ha prodotto di fronte all’abitudine al lavoro in fabbrica, all’emigrazione di massa, alla Grande Guerra, al fascismo e così via: solo una cultura attiva e straordinariamente radica e diffusa può spiegare che la società nel suo complesso abbia in questi 120 anni superato dei processi così distruttivi (Ibid., 727).

Aspetto che ritroviamo anche nell’opera di Thompson:

Io stesso sono rimasto profondamente colpito dalla straordinaria vitalità, dalla vigoria della cultura popolare (e di un genere di rituali, un campo questo che è rimasto finora in gran parte riservato dei folcloristi) in quel secolo. Inoltre, pare che ci si trovi di fronte a un sistema di credenze con una sua propria coerenza, anche se visto con maggior chiarezza in rapporto a particolari gruppi di occupazione (Società patrizia e cultura plebea, 270).

L’indagine culturale arricchisce lo studio della nascita del movimento operaio, valorizzando aspetti trascurati dalla precedente storiografia.

Ma è ormai una tendenza comune della storia sociale più recente inglese, francese e statunitense allontanarsi da un ritratto della classe operaia come descritta in una stratificazione determinata da puri fattori economici e di classe. La caratteristica forse più evidente della formazione della classe operaia in Inghilterra ed in Francia appare sempre più come una lunga storia di resistenze, di inerzie che contengono in sé non molti elementi di un’ipotesi di cambiamento reale e generale, ma un enorme potenziale di trasformazione e di condizionamento dei modi che assume lo sforzo di domesticazione che la borghesia e le classi dominanti tentano di imporre. […] Credo che in questo senso si possa dire che la differenza più sostanziale fra cultura della borghesia e delle classi dominanti e cultura popolare sia, anche in questi ultimi 120 anni, quella fra un gruppo sociale aggressivo, che formava una cultura per definizione portatrice di innovazione, in quanto interpretava come forze naturali, sia pur animate, le relazioni sociali con le classi subalterne, e una cultura continuamente reattiva, che ostacolava con forza, consciamente o inconsciamente, questa aggressione regolarizzatrice e addomesticante, una cultura dunque che non contiene in sé allo steso grado l’innovazione, che resiste al rinnovamento tecnico e che quando lo subisce ha tempi di assimilazione e di riequilibrio. Non si tratta però di contrapporre innovazione a conservazione, ma di vedere in un quadro più complessivo la lotta fra i gruppi sociali, considerando le interconnessioni di solidarietà e di conflitti, nello scontro fra l’innovazione tecnica per lo sfruttamento e la resistenza per aumentare la protezione sociale, che crea le configurazioni di cui è fatta la storia (Levi, Regioni e cultura delle classi popolari, 726-27).