Storicamente. Laboratorio di storia

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Goffredo Adinolfi, Ai confini del fascismo. Propaganda e consenso nel Portogallo salazarista (1932-1944)

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Il libro di Adinolfi rappresenta una delle rare opere in lingua italiana dedicate al Portogallo salazarista. La prefazione, affidata all’autorevole storico lusitano Antonio Costa Pinto, descrive come l’a. abbia scelto «un percorso di analisi del consenso particolarmente originale», che si sofferma «su quegli strumenti che, pur essendo apparentemente repressivi – come ad es. la censura – finiscono con l’avere potere di persuasione decisamente maggiore rispetto a una propaganda i cui obiettivi risultano troppo palesi per essere credibili» (10). Costa Pinto mette, poi, in risalto come l’a. dimostri quanto fosse ampio lo scollamento tra il Paese reale e quello virtuale delle grandi celebrazioni, marcando la superficialità dell’influenza propagandistica sulla popolazione. Nell’introduzione, interessante il paragrafo intitolato Fascismo fascismi,nel quale Adinolfi analizza il tema della collocazione del regime salazarista, confrontando le tesi di Enzo Collotti, Fernando Rosas, Stanley Payne, Ernst Nolte, Emilio Gentile e Antonio Costa Pinto. Mentre i primi due, infatti, inseriscono l’Estado Novo tra i fascismi, Payne, Nolte e Gentile lo descrivono più propriamente come un regime autoritario di carattere conservatore. A mediare tra queste due visioni Costa Pinto, il quale se da un lato sottolinea come «il salazarismo non avesse, rispetto a nazismo e fascismo, l’esigenza di mobilitare le masse in suo favore, dall’altro riconosce come sussista in esso la volontà di mantenere su queste un certo controllo ideologico» (20).
L’opera, divisa in 4 capitoli, delinea una storia complessiva dell’Estado Novo dalla nomina di Salazar a primo ministro nel 1932 fino al 1944. Sebbene, infatti, il titolo del libro possa far pensare ad uno studio della propaganda, il volume, al contrario, da conto di una  ricerca assai più ampia, riguardante vari aspetti della politica del regime. Adinolfi descrive come la legittimazione del salazarismo si sviluppi su tre livelli: uno inclusivo, uno repressivo e l’altro persuasivo. L’a., oltre ad analizzare l’uso da parte del governo dei mezzi di comunicazione di massa, descrive le più importanti strutture dello Stato quali: quella corporativa, che doveva includere nello Stato il cittadino/massa, e quella poliziesca, che aveva il compito di reprimere. Tale ricerca delinea la debolezza degli enti del regime, messi in concorrenza tra loro dal capo del governo, unico vero detentore delle redini del potere. Di profondo interesse il capitolo sulla politica estera portoghese durante la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale, periodo in cui lo stesso Salazar gestì il dicastero degli Esteri. Di notevole importanza il rapporto tra regime salazarista e regime fascista. Il modello italiano fu una vera e propria matrice per l’Estado Novo, che si ispirò al fascismo per la costruzione di molti enti come la polizia politica, il Secretariado da propagada nacional, il dopololavoro, l’apparato corporativo e il partito unico. Adinolfi mette, però, in luce come nel salazarismo non si riscontrino «buona parte delle caratteristiche peculiari del fascismo inteso come modello: conquista del potere da parte di un partito unico di massa, simbiosi tra partito unico e Stato, politica estera aggressiva, organizzazione totalitaria della società. (…) Il salazarismo non si occupò mai di includere le masse all’interno dello Stato chiedendone un consenso attivo» (233). Anche per questo motivo, l’a. si pone il problema «della costituzione di una categoria che possa includere quei regimi nati all’indomani della prima guerra mondiale e che si sono dotati di una struttura antidemocratica e corporativa» (235), mettendo in discussione quella di fascismo. I regimi in questione sono quelli considerati affini da Salazar, come quelli di: Vargas, Petain, Franco e, paradossalmente, Mussolini. Proprio la ricerca di una categoria storiografica diversa da quella di fascismi, appare l’unico limite dell’opera di Adinolfi, che ha l’incontestabile pregio di accendere tra gli storici italiani l’interesse verso il salazarismo.