Storicamente. Laboratorio di storia

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Ferdinando Cordova, Il "consenso" imperfetto. Quattro capitoli sul fascismo, Rubettino, Soveria Mannelli, 2010, XI-330 pp.

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I saggi raccolti in questo volume affrontano la controversa questione del consenso degli italiani al fascismo, sottoponendo a verifica, con ferrati riscontri documentari, il noto giudizio espresso da Renzo De Felice, secondo il quale negli anni ’30 - se si fa eccezione per un’irrilevante opposizione politica - il sentimento delle masse era sostanzialmente concorde al regime.
Nel primo saggio si ricostruisce la vicenda personale di Alberto Bergamini, direttore del «Giornale d'Italia» e sostenitore del fascismo, che fu costretto a ritirarsi a vita privata per poter convivere con il regime. Ciò avvenne a causa del contrasto tra l’idea che Bergamini aveva del fascismo, come movimento in grado di rinnovare il liberalismo, e la sua vera natura di dittatura totalitaria incapace di tollerare persino le critiche di un fiancheggiatore. Le vicende di questo capitolo sono narrate attraverso la testimonianza dei Diari di Gian Francesco Guerrazzi. Anche il quarto capitolo è contraddistinto da una visione storiografica attenta ai percorsi personali all’interno del regime fascista. In questo caso, gli stessi Diari permettono di seguire le vicissitudini del loro autore: benché Guerrazzi avesse sempre dato prova di fedeltà al duce e al regime, si ritrovò costretto, per dissipare i sospetti di slealtà che erano emersi nei suoi confronti, a dover chiarire un atto di umanità verso un’ex sovversiva. In tal modo viene evidenziato quanto, nello Stato fascista, fosse grande anche il potere di intimidazione oltre che quello repressivo.
Nel secondo saggio viene affrontata la questione centrale, per quanto riguarda il consenso, del plebiscito. Nel 1929, dopo che era stato da tempo avviata la trasformazione dello Stato in senso totalitario, dopo che i sindacati fascisti erano stati ricondotti alla subalternità rispetto alla controparte e dopo la definizione del Concordato, gli italiani vennero chiamati alle urne per rinnovare la loro rappresentanza politica. Con il plebiscito si voleva mostrare che gli italiani si riconoscevano nel regime, cosa che sembrava decisamente confermata dai risultati proclamati. Su quei risultati una parte della storiografia ha ripreso la tesi di Arnaldo Mussolini, secondo il quale le elezioni si erano svolte in assenza di forme coercitive che non fossero quelle propagandistiche. Nell’impossibilità di esaminare i documenti plebiscitari, che, come prevedeva le legge, furono bruciati, Cordova sottopone a verifica quelle affermazioni indagando quanto avveniva, nello stesso tempo, sui luoghi di lavoro e all’interno dei sindacati fascisti. Emerge in tal modo la discrasia tra un risultato plebiscitario che vedeva nella metà delle provincie raggiungere quasi il 100% del consenso e la diffidenza dei lavoratori che restavano distanti persino dai sindacati del regime che dovevano tutelarli. Il distacco dei lavoratori dai sindacati e l’esercizio di una conflittualità, pur in un clima pesantemente repressivo, mostrano l’inespresso dissenso dei lavoratori dal fascismo e pongono quindi seri dubbi sulla qualità del risultato del plebiscito. A controprova di quanto detto la vicenda dell’intervento di Mussolini nelle officine di Sesto San Giovanni dove una folla di impiegati e operai ascoltò il discorso del duce senza applaudire. Alla richiesta di spiegazioni di tanta ostilità, il segretario del Sindacato milanese rispose a Mussolini che gli operai si sentivano sfruttati e non si riconoscevano nel fascismo.
Nel terzo capitolo viene analizzato il radicamento del fascismo a Reggio Calabria, dove non era stato necessario conquistare il potere con la violenza. L’a. dimostra da un lato che il fascismo dovette concordare con i potentati locali l’esercizio del potere, e dall’altro che, pur a fronte di strumenti eccezionali e senza problemi di opposizioni, riuscì a concludere ben poco.
Il lavoro di Cordova riapre una seria discussione sul tema del consenso al regime fascista, che viene affrontato proponendo una metodologia d’indagine in cui, oltre al consenso vero e proprio, si ricercano le difficili tracce del dissenso e dei suoi vari e diversi, per importanza e peso, modi di esprimersi. Nell’intreccio dei due momenti testimoniati dai documenti, con la cautela dovuta agli ovvi motivi di asimmetria, viene costruita l’interpretazione di un periodo storico che evidenzia come il consenso al fascismo fu “imperfetto” perché esso necessitava, per esplicarsi, di una struttura repressiva che contenesse e cancellasse ogni obiezione o dissenso, e, in tal modo, rendesse ineluttabili, agli occhi delle persone, quelle istituzioni.