Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Il "nemico armeno" nell'impero ottomano: le immagini

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Abstract

The construction of the image of the Armenians as a political enemy, rather than an ethnicity to exterminate, begun as early as in the 19th century, under sultan Abdul Hamid the second. The Armenians were represented as terrorists, traitors and as a destabilizing factor for the inner order of the Ottoman empire. This line was continued by the Turkish nationalist party the Young Turks in the early 20th century, a period in which keeping control over the empire was a challenge. Executions became regular, also before and after the Armenian genocide. The images of executed Armenians circled, also in European press, as the Armenian question was also of international, diplomatic interest. The same was the case of the images of murdered muslims and weapons used by the Armenians during the killings. The photographical material was actually of great importance in the process of creating a totalitarian regime and justifying it's existence.

Si può parlare di immagini del corpo del nemico nel caso del genocidio armeno (1915-16), quando le fotografie di atrocità sono scattate per denunciare ciò che sta succedendo? Le foto sono scattate in modo clandestino e non avranno circolazione. Solo in seguito verranno recuperate. Le foto del corpo del nemico armeno nell'impero ottomano sono piuttosto quelle di propaganda politica del regime dei Giovani Turchi; fotografie di nemici politici, prima di tutto, non di un'etnia da sterminare. Si tratta quindi di uno strumento di lotta strettamente politica, si potrebbe dire 'partitica', nella misura in cui il movimento dei Giovani Turchi, per mantenere il potere durante il suo arco di vita alla luce del sole (1908-1918), si contrappone a tutti gli altri movimenti e partiti che ne mettono a repentaglio la legittimità. Da qui nascono le fotografie della repressione politica in atto nell'impero ottomano a partire soprattutto dal tentativo di controrivoluzione del 1909: i corpi impiccati dei condannati per tradimento.

Da vittime a terroristi: continuità della propaganda anti armena per immagini, da Abdul Hamid II ai Giovani Turchi

Come vedremo, le immagini dei nemici politici uccisi costituiranno una costante durante il regime dei Giovani Turchi. Nel caso del nemico armeno, però, un'immagine negativa esiste già da alcuni anni, in particolare dalla fine dell'Ottocento, durante il regime del sultano Abdul Hamid II (1876-1908). La costruzione del nemico, cioè, precede la rappresentazione degli anni del genocidio, e crea le premesse per la sua efficacia comunicativa.

L'attivismo politico clandestino di numerosi gruppi etnici, tra cui quello armeno, porta negli ultimi anni del diciannovesimo secolo a una politica di terrore da parte del Sultano, e alla costruzione dell'immagine dell'Armeno come terrorista ed elemento destabilizzante dell'ordine interno all'impero ottomano. È importante sottolineare quale forza assumerà tale immagine nel corso di pochi anni, perché in seguito essa verrà riutilizzata durante un regime diverso, ma con gli stessi obiettivi.

Esaminiamo quindi il materiale iconografico relativo all'epoca hamidiana: si tratta di immagini tratte in genere dalla stampa occidentale, e vedremo subito quali legami essa deteneva con il regime hamidiano. Le immagini che ci interessano non sono quelle, pur presenti, delle vittime dei massacri, ripetuti tra il 1894 e il 1896, ma piuttosto quelle della propaganda hamidiana, a proposito dell'attivismo armeno.

La figura 1 rappresenta tre esponenti dell'esercito turco in alta uniforme: l'immagine è la copertina del supplemento illustrato della rivista francese "Le Petit Journal" del 24 novembre 1895, all'epoca dei massacri armeni di Costantinopoli e delle regioni armene dell'Impero[1].

Tre esponenti dell'esercito turco in alta uniforme
Tre esponenti dell'esercito turco in alta uniforme

Nella prima pagina l'editoriale chiarisce la scelta dell'immagine per la copertina: gli avvenimenti d'Oriente sono stati esagerati da chi ha interesse a pescare nel torbido e se i trattati internazionali autorizzano i paesi europei a intervenire negli affari della Turchia, qualcuno esagera il minimo incidente, per poterne trarre vantaggio. È chiaro il riferimento alla lotta per il dominio economico e politico occidentale nell'impero. Il direttore del giornale racconta del viaggio appena terminato a Costantinopoli, del suo incontro con il Sultano, "il cui spirito è ampiamente aperto al progresso" e con le forze armate, "ha parlato a lungo con ufficiali come quelli di cui diamo il ritratto sulla prima pagina ed è stato colpito dalla loro istruzione, dall'ampiezza delle loro conoscenze militari così come dal loro amore per il mestiere di soldato". E prosegue "la situazione in Armenia non offre, lo ripetiamo, nessun pericolo". È evidente l'intenzione di offrire l'immagine di uno Stato in grado di mantenere l'ordine, attraverso l'icona dei suoi massimi difensori.

D'altra parte

"Già nel 1897… Victor Bérard, di ritorno dall'Armenia dove ha indagato sui massacri del 1895-96… afferma che il sultano turco Abdul Hamid ha pagato a peso d'oro il silenzio della stampa francese su queste barbarie"[2]

E "Una parte della stampa francese, in particolare "Le Petit Journal" è sovvenzionata dal sultano..."[3].

Bérard fu uno dei più attivi sostenitori della causa armena in Francia; ecco la sua esplicita accusa alla corruzione turca della stampa francese:

"Abdul Hamid ha messo in grado la Francia, i suoi uomini d'affari, i suoi ingegneri e i suoi imprenditori di arricchirsi. Ha elargito denaro e onorificenze ai suoi giornalisti. Era quindi necessario non solo eliminare ogni possibilità di diminuire il suo impero, ma anche il suo assolutismo.… La cospirazione del silenzio è stata indubbiamente pagata dall'ambasciata turca – 17 giornali francesi ricevono sovvenzioni – ma il governo francese l'ha tollerato."[4]

Le illustrazioni non rappresentano allora solo i massacri: piuttosto, alcuni giornali tendono ad evitarli, e a presentare l'altra faccia della questione armena[5], il terrorismo. La figura 2 mostra quello che la didascalia definisce "Attacco di una moschea da parte degli Armeni"[6]. L'immagine non è datata, ma alcuni elementi presenti in essa possono aiutare a formulare ipotesi sull'epoca: si tratta presumibilmente della fine dell'Ottocento o dei primi anni del secolo successivo, quando l'attività politica armena aveva subito una netta modifica a causa della nascita di veri e propri partiti, clandestini, per iniziativa in genere di Armeni residenti in Europa e nell'impero russo, in contrasto con le élite economiche armene dell'impero: sono partiti a matrice nazionalista e socialista, mentre le rappresentanze interne all'impero non cercano l'indipendenza ma solo maggiore autonomia[7].

Attacco di una moschea da parte degli Armeni
Attacco di una moschea da parte degli Armeni

Il 26 agosto 1896, il comitato di Costantinopoli del partito Dashnak[8] organizza un colpo di mano alla Banca Ottomana, dove un gruppo di attivisti armati di pistole e bombe prende in ostaggio il personale e avanza richieste di riforma con l'intervento dell'Europa. La Banca Ottomana è il simbolo dell'interventismo finanziario europeo nella gestione degli affari interni dell'Impero. Un'azione contro questo istituto sembra quindi il modo migliore per attirare l'attenzione europea sulla questione armena e soprattutto per costringere l'Europa a intervenire.

Questi e altri episodi di resistenza armata, costituiscono i primi casi di reazione politica armena e di nuovo coinvolgimento delle potenze europee. L'attivismo politico armato crea quindi una nuova situazione e scuote l'opinione pubblica occidentale, senza però che la questione armena veda nuovi risultati. Questi episodi costituiscono il germe della politica di propaganda hamidiana e poi dei Giovani Turchi, che definisce la comunità armena traditrice, eternamente dedita al complotto con le potenze occidentali ai danni dell'Impero; come vedremo, questo sarà un tema dominante nella propaganda anti armena del governo ottomano[9]. La figura 2 è allora probabilmente riferita all'episodio della Banca Ottomana, o alla reazione dei manifestanti armeni l'anno precedente (1895); d'altra parte, contrappone all'immagine degli Armeni solo vittime, con donne innocenti che eroicamente difendono i figli, l'onore e la fede, quella altrettanto stereotipata dell'azione terroristica di alcuni gruppi identificati con l'intera popolazione maschile.

In ottobre un numero della rivista "Illustrazione Italiana" espone tre fotografie delle armi sequestrate agli Armeni, con didascalie ma senza articoli. I fatti della Banca Ottomana potrebbero essere all'origine delle fotografie dal tono ufficiale (una di esse – figura 3 – mostra gli ufficiali "incaricati dell'analisi" davanti alla "baracca dove furono esposte le bombe"). Ma è più probabile che si tratti di un'operazione più ampia, di propaganda del governo, in quanto le didascalie parlano anche del partito Hentchak (non coinvolto nel caso della Banca Ottomana); si vuole mettere l'accento sul potenziale sovversivo di queste organizzazioni, ma anche allargare l'accusa a tutta la comunità, quando si parla di 'collezione di bombe' trovate in una scuola armena: si deve dimostrare il coinvolgimento anche di persone non identificabili con una precisa appartenenza politica.

Ufficiali incaricati dell'analisi davanti alla baracca dove furono esposte le bombe
Ufficiali incaricati dell'analisi davanti alla baracca dove furono esposte le bombe

D'altra parte, nello stesso numero, un trafiletto sulla questione d'Oriente recita:

"A Costantinopoli si continuano ad arrestare ricchi Armeni incolpandoli di fornire denari ai rivoluzionari. Gli Armeni dal canto loro si rivolgono agli ambasciatori dimostrando le critiche condizioni nelle quali sono ridotti ed invocando l'aiuto delle potenze per ottenere almeno qualche sollievo. Le potenze sono sempre più esitanti e indecise. Si dice che Lord Salisbury abbia assicurato lo Czar (sic) che l'Inghilterra non esporrà l'Europa alle conseguenze disastrose della guerra prendendo una iniziativa propria a favore degli Armeni. …gli ottimisti ne arguiscono che un accordo delle potenze di fronte alla Turchia sarà presto completo e tale da potere imporre al Governo ottomano la concessione di tutte le necessarie riforme."[10]

Anche questo breve testo riassume tutte le caratteristiche del clima dell'epoca: l'azione del Sultano, la propaganda che vede gli Armeni come traditori, l'azione diplomatica delle vittime e il tentativo di coinvolgimento internazionale, l'ipocrisia e l'opportunismo politico delle nazioni europee e in particolare degli imperi britannico e zarista, che strumentalizzano la questione armena per combattere una guerra diplomatica che protegga i rispettivi interessi economici e territoriali.

Ancora la rivista "Le Petit Journal", in occasione dell'attacco alla Banca Ottomana, pubblica un'illustrazione intitolata "Les bombes arméniennes à Costantinoples"; il commento sottolinea la fabbricazione inglese del "numero straordinario di armi da fuoco e coltelli", che poi è stato nascosto in "chiese, scuole, cantine"[11]: ancora una volta gli Armeni sono indicati come agenti dello straniero che vuole destabilizzare l'impero dall'interno, e tanto più infidi quanto più sfruttano luoghi non "ortodossi" per nascondere le armi. Si tratta degli stessi temi già visti anche sulla stampa italiana; la propaganda anti armena li riutilizzerà anche vent'anni dopo, durante il genocidio.

1908-1923: immagini di quindici anni di violenza politica nell'impero ottomano

Vita politica interna all'impero

Se è vero che i gruppi conservatori islamici non avevano accolto con favore la rivoluzione dei Giovani Turchi (1908)[12], è ormai accertato che non furono gli unici ad approfittare dell'instabilità politica per attaccare gli esponenti del Comitato di Unione e Progresso. Inoltre, il supposto appoggio del Sultano ai gruppi islamici facenti capo alla ulema[13] è oggi considerato non credibile.

I massacri si svolsero in Cilicia nei due momenti cruciali del tentativo di controrivoluzione: 14-16 aprile, subito dopo la rivolta militare, e 25-26 dello stesso mese, dopo l'arrivo nella capitale delle forze fedeli al Comitato di Unione e Progresso. Sono le forze governative, di stanza a Damasco e Beyrut, inviate ad Adana dal nuovo governo, a sostenere la popolazione nei massacri, con le navi di Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, ancorate a Mersina, il porto di Adana. Le rappresentanze straniere non intervengono, presentano solo rimostranze ufficiali; nel frattempo, la violenza si è estesa a tutta la regione, e coinvolge diversi gruppi: cristiani attaccati nelle province arabe da curdi, circassi e arabi, esponenti del Cup uccisi a Damasco dalla folla inferocita[14]. Se nel primo massacro gli Armeni sono armati e riescono a difendersi, in seguito la violenza della folla sostenuta dai militari causa l'incendio del quartiere armeno di Adana, e il massacro efferato della popolazione, con una stima di circa 20.000 vittime. I massacri si arrestano il 27 aprile, anche se la violenza, sporadica, durerà fino al primo maggio.

I massacri furono il risultato di diverse tensioni arrivate a un confronto: i gruppi fondamentalisti contrapposti alla nuova classe dirigente del Comitato di Unione e Progresso (Cup); l'attività politica armena, sempre più propositiva e rafforzata dall'illusione che la costituzione avrebbe portato dei cambiamenti reali, si scontra con l'ostilità locale in Cilicia, dove una rivolta fondamentalista contro le forze unioniste si trasforma in un attacco, sostenuto da truppe regolari, alla popolazione armena. Anche in questa occasione, come per i massacri di epoca hamidiana, gli Armeni vengono accusati di aver provocato la reazione della popolazione, con il procacciamento di armi e la produzione di materiale di propaganda nazionalista[15].

L'impossibilità di gestire queste diverse tensioni da parte del governo ha portato in genere a concludere che la sua debolezza è stata all'origine della degenerazione violenta del tentativo di controrivoluzione[16]. D'altra parte, il governo era costituito da figure controllate indirettamente dal comitato di Unione e Progresso, e comunque da rappresentanti dell'élite ottomana, ma anche da personaggi politici che collaboravano con il Cup per cercare di sfruttarne l'influenza. In questo modo nei mesi seguenti alla rivoluzione, si creò una serie di tensioni dovute alla lotta per la conquista e il controllo del potere reale. L'élite ottomana gestiva il governo grazie al sostegno del Cup, ma pensava a sua volta, sbagliando, di poterlo controllare per rafforzare la propria posizione; i rappresentanti del regime hamidiano, in particolare l'innumerevole serie di persone legate all'attività di spionaggio e delazione che aveva contraddistinto l'epoca di Abdul Hamid, sobillava la rivolta anti costituzionalista; i gruppi religiosi sfruttavano le tensioni internazionali (l'annessione austriaca della Bosnia Herzegovina nel 1908, la dichiarazione di indipendenza del regno di Bulgaria, la volontà, espressa da Creta, di unirsi alla Grecia) come esempio del malgoverno e delle conseguenze del potere comitato di Unione e Progresso.

La campagna anti unionista della stampa di ogni partito si fuse al malcontento strisciante nell'esercito (a sua volta diviso da lotte intestine tra movimenti conservatori e propugnatori del nuovo modello prussiano), che diede vita al primo momento di rivolta il 13 aprile 1909; la debolezza del governo nell'affrontare questa situazione, come abbiamo visto complessa e instabile, fece sì che essa sfuggisse di mano, lasciando libera circolazione alla violenza che colpì esponenti del CUP, così come già era successo per alcuni rappresentanti dell'opposizione religiosa (in particolare i direttori di due giornali anti unionisti). La campagna di mobilitazione dei Giovani Turchi portò a una reazione armata di truppe fedeli al partito, che occuparono la capitale senza trovare resistenza; da questo momento, con la dichiarazione della legge marziale, numerosi oppositori politici conservatori, ufficiali, studenti di teologia, rappresentanti dei movimenti musulmani furono arrestati e processati.

La posizione dei Giovani Turchi è ancora precaria: per questo, l'eliminazione dell'opposizione politica di ogni colore e la restrizione sempre più severa delle libertà appena conquistate, caratterizzerà da questo momento quello che, in pochi anni, diventerà un vero e proprio regime autoritario.

Le fotografie della repressione politica

Dal 1908 al 1923 l'impero ottomano vive dunque in uno stato di instabilità politica interna e di guerra quasi costante: la rivoluzione del 1908, il tentativo di controrivoluzione del 1909, la guerra di Libia (1911-12), le guerre balcaniche (1912-13), il nuovo colpo di Stato che porta al governo rappresentanti dei Giovani Turchi (1913), la guerra mondiale (1914-18), la guerra greco-turca (1920-22), le rivolte arabe. Il governo guidato più o meno ufficialmente dai Giovani Turchi deve costantemente ribadire la propria legittimità, in modo sempre più radicale. Questo comporta, tra l'altro, numerosi casi di condanne e impiccagioni per tradimento verso tutti gli oppositori politici, indipendentemente dalla loro etnia. Nel 1909, in particolare, ci furono condanne negli ambienti politici e militari, accusati di aver dato vita al tentativo di controrivoluzione per combattere il governo costituzionale insediatosi dopo la rivoluzione del 1908, guidata dai Giovani Turchi[17]. In seguito ai massacri di Cilicia, anche sette Armeni, oltre a numerosi Turchi e rappresentanti di altre etnie, furono condannati all'impiccagione[18].

A questi avvenimenti fanno riferimento le immagini pubblicate da "La Domenica del Corriere" del maggio 1909 (figura 4). La didascalia recita: "I corpi pendenti dei primi soldati ribelli (il sergente Amir e tre caporali del 4° cacciatori) impiccati in piazza Bajazed, a Costantinopoli". Il trafiletto di accompagnamento aggiunge:

I corpi pendenti dei primi soldati ribelli impiccati in piazza Bajazed a Costantinopoli
I corpi pendenti dei primi soldati ribelli impiccati in piazza Bajazed a Costantinopoli

"…Un tribunale militare giudica sollecitamente tutti coloro che si resero colpevoli della controrivoluzione militare del 13 aprile… E fu deciso che le prime sentenze di morte si sarebbero eseguite per impiccagione, in pubblico, a salutare esempio. Così, all'alba del 3 corrente in alcune piazze di Stambul si elevarono delle forche molto primitive"[19].

La data del 3 maggio è centrale per questi avvenimenti: altre immagini di impiccagioni riferite allo stesso giorno sono pubblicate dall'"Illustrazione Italiana" (figura 5, figura 6). Il fatto che ogni fotografia si riferisca a zone diverse della città (il ponte di Galata, l'area di fronte al Parlamento) permette di ricostruire una "mappa" degli avvenimenti e allo stesso tempo fornisce un'idea dell'ampiezza e della spettacolarità dell'azione di controffensiva messa in piedi dal governo e sostenuta dal Comitato di Unione e Progresso, influente ma non ancora alla guida del potere nell'impero[20]. Si tratta dell'inizio delle condanne della Corte Marziale, che colpirono ufficiali e rappresentanti di tutti i gruppi di opposizione politica.

Le esecuzioni capitali del 3 maggio a Costantinopoli
Le esecuzioni capitali del 3 maggio a Costantinopoli
Altre esecuzioni capitali del 3 maggio a Costantinopoli
Altre esecuzioni capitali del 3 maggio a Costantinopoli

Anche la stampa francese dà ampio risalto alla repressione politica: tutte le riviste illustrate pubblicano immagini delle impiccagioni nelle diverse piazze della capitale[21].

Le fotografie di impiccati si moltiplicano con il passare degli anni, creando un vero e proprio gruppo a parte di immagini della violenza dell'epoca dei Giovani Turchi, e ben rappresentando in questo modo l'estrema instabilità a cui abbiamo già accennato, che comprende il genocidio armeno come sua massima espressione ma che abbraccia l'intera vita pubblica dell'impero; spesso le immagini degli impiccati vengono attribuite al periodo e alla logica del genocidio ma, come vedremo, non è sempre così: anche le foto del 1915 e '16, fanno parte di una politica di repressione non solo generalizzata (quindi non indirizzata esclusivamente ai gruppi armeni), ma anche molto lontana dalle caratteristiche di segretezza delle procedure del genocidio. Si tratta in genere di immagini che tendono anzi ad amplificare e spettacolarizzare le condanne, che restano a tutti gli effetti eventi di violenza politica e non propriamente etnica. D'altra parte, è vero anche che questa ritualizzazione pubblica della violenza è il contraltare mediatico della violenza segreta che si sta verificando nelle regioni orientali e, in modo più noto, nella capitale: il 24 aprile 1915, l'élite armena di Costantinopoli è arrestata e nel giro di poche ore verrà eliminata fisicamente. La campagna di comunicazione che sottende alla produzione e all'uso delle immagini degli impiccati, cioè, è volta da un lato a nascondere, con il suo impatto di sdegno in Occidente, i massacri e le deportazioni in Anatolia orientale; dall'altro, a creare consenso verso le misure pubbliche restrittive nei confronti dell'etnia armena, nella misura in cui si dimostra la sua inaffidabilità.

Le impiccagioni furono frequenti anche all'inizio del genocidio, e coinvolsero alcuni esponenti della comunità armena di Costantinopoli, i cui corpi senza vita furono fotografati con al collo la scritta "traditore della patria" (figura 7, figura 8); nell'aprile 1915 a Doert-Yol, sul golfo di Alessandretta in cui si trovano navi nemiche, tre Armeni sono giudicati colpevoli di tradimento dalla corte marziale, per aver comunicato con le navi nemiche, e condannati all'impiccagione: i loro corpi saranno esposti nella piazza di Adana[22]. Tessa Hofmann e Gerayer Koutcharian sottolineano come altri esponenti di minoranze etniche abbiano subito un destino simile, per esempio i Siriani; inoltre, la stragrande maggioranza degli Armeni di Costantinopoli fu massacrata direttamente nelle case e per le strade, non propriamente giustiziata, non ci fu cioè una vera e propria esecuzione, piuttosto un'eliminazione[23]. Tutto ciò rende difficile un'esatta identificazione etnica dei soggetti.

Altre esecuzioni capitali
Altre esecuzioni capitali
Ancora esecuzioni capitali
Ancora esecuzioni capitali

Il fatto che alcune di queste fotografie (figura 9, figura 10 [24]) facciano parte della collezione di Armin T. Wegner, un ufficiale sanitario tedesco che negli anni del genocidio scattò fotografie ai deportati, non garantisce che egli ne sia anche l'autore; d'altra parte, egli era già nella capitale dell'impero nella seconda metà del giugno 1915, quando venti Armeni attivisti del partito hentchak furono impiccati in piazza Bajazid (la stessa del 1909), ed era in possesso di una macchina fotografica – lo dimostrerebbero alcune fotografie della stessa collezione[25]. Resta comunque l'incertezza sull'attribuzione: una foto della collezione (figura 11) [26], attribuita in genere alle manifestazioni svoltesi in concomitanza con l'entrata in guerra (manifestazioni documentate anche da altre fonti, cfr. la fotografia dell'agenzia Underwood&Underwood, figura 12), è stata pubblicata in realtà nella primavera 1909 dalla rivista "La Lettura", supplemento mensile del Corriere della Sera, in relazione alla rivoluzione dell'estate precedente. La collezione di Armin Wegner comprende, oltre alle sue fotografie, numerose immagini raccolte in seguito al suo ritorno in Germania, e relative non soltanto al genocidio. È quindi possibile che le fotografie siano state scattate da altri e raccolte solo in seguito, che rappresentino fatti accaduti durante il genocidio ma ad esponenti di altre etnie. In particolare è utile ricordare qui, che una delle fotografie conservate oggi nella collezione Wegner, è citata in un elenco di didascalie da apporre alle immagini per una conferenza, in relazione agli eventi del 1909[27]. Inoltre, Wegner scrisse numerose lettere per raccogliere materiale fotografico, e tra le sue richieste si trova anche quella di fotografie di impiccati:

Foto appartenente alla collezione di Armin T. Wegner
Foto appartenente alla collezione di Armin T. Wegner
Foto appartenente alla collezione di Armin T. Wegner
Foto appartenente alla collezione di Armin T. Wegner
Foto attribuita in genere alle manifestazioni svoltesi in concomitanza con l'entrata in guerra
Foto attribuita in genere alle manifestazioni svoltesi in concomitanza con l'entrata in guerra
Fotografia dell'agenzia Underwood Underwood
Fotografia dell'agenzia Underwood Underwood

"Egregio Signore!
Come mi ha comunicato gentilmente la signorina Schwedler, tra le sue fotografie lei dovrebbe avere anche immagini molto interessanti, in particolare di impiccati. Le sarei immensamente grato se, per un interesse scientifico, lei potesse mettermi a disposizione alcune copie delle sue fotografie per la raccolta del nostro materiale."[28]

"… In occasione del mio ultimo soggiorno a Costantinopoli ricordo che mi mostraste alcune fotografie di terribili scene armene ad Adana nel 1909. Tra le altre alcune molto interessanti, … un numero di impiccati…"[29]

Altre fotografie di impiccagioni che fanno riferimento spesso all'epoca del genocidio armeno, infatti, sono in realtà di attribuzione incerta, per i motivi già accennati: la fotografia già citata, figura 7, potrebbe far riferimento a uno dei numerosi casi di esecuzioni di Arabi e Siriani, tra il 1915 e il 1917. Tali esecuzioni furono volute da Jemal Pasha, ministro della marina e governatore di Siria e Palestina durante la guerra, per contrastare il movimento indipendentista arabo dell'epoca. Altri riferimenti a impiccagioni nelle testimonianze dell'epoca indicano esecuzioni a seguito di processi della corte marziale con condanne per tradimento, ma, come già detto, tali casi furono estremamente rari nel caso degli Armeni, che non subirono in genere processi ma furono uccisi senza parvenza di procedimenti legali[30].

Al di là dell'identificazione etnica dei singoli soggetti, ritroviamo qui la stessa logica della campagna fotografica del 1909: ribadire la legittimità del potere del Cup e amplificare la condanna pubblica attraverso la circolazione di immagini che includono, oltre ai condannati, anche soldati ottomani e rappresentanti del governo. Questa caratteristica conferma come l'esercito e il governo fossero ampiamente consenzienti nel permettere che si scattassero fotografie, per produrre materiale che aumentasse il terrore nei movimenti di opposizione o indipendentisti e che d'altra parte giustificasse e legittimasse l'esecuzione con l'accusa di tradimento, presso le rappresentanze estere. È quindi possibile che, nell'ambito della politica del terrore in atto contro diverse etnie e contro i movimenti indipendentisti, anche nel caso di esecuzioni di esponenti politici armeni (identificabili con l'appartenenza a un partito e quindi "sicuramente" colpevoli, passibili dell'accusa di tradimento, con giustificata e legittima condanna) sia stato permesso l'accesso a fotografi, se non organizzata la ripresa (e successiva diffusione) di immagini da parte di forze governative. Questo discorso è a maggior ragione valido per le condanne della corte marziale del 1909, quando la reazione del Comitato di Unione e Progresso porta all'eliminazione dell'opposizione politica: un momento in cui la dimostrazione di forza per il Cup era l'unica possibilità di sopravvivenza. Il mostrare quindi le esecuzioni permettendo le fotografie era un modo sia per sottolineare la solidità del potere ritrovato, sia per condannare e umiliare "una seconda volta" i propri nemici attraverso forme di violenza politica estremamente ritualizzata, riconosciuta come legittima (processi, condanne, esecuzioni pubbliche e massima spettacolarizzazione).

La prima guerra mondiale

Durante la prima guerra mondiale, la costruzione di una politica propagandistica che giustifichi e crei consenso verso gli atti criminali contro gli Armeni, incontra diverse difficoltà: l'ideologia nazionalista laica[31], di stampo europeo, che contraddistingue il gruppo dirigente al governo non può attecchire in un paese fondato per secoli su una struttura di potere teocratico.

Diverso risulta l'elemento religioso nei rapporti con le popolazioni curde musulmane, spesso parte attiva nel processo di sterminio: in questi casi il fattore tribale è più forte di quello religioso; proprio per questo, al momento del genocidio è già in atto da decenni una politica di detribalizzazione, che consente un controllo maggiore di questi gruppi.

Un'altra difficoltà consiste nel controllare le province orientali, le più lontane, non solo geograficamente, dalla capitale; imporre dall'alto una politica di contrapposizione etnica in un'area in cui la convivenza era una realtà secolare, poteva risultare molto difficile, o perlomeno impedire di riuscire a imporre gli ordini in modo uniforme. Non si deve pensare però, che il territorio fosse immune dalle sollecitazioni dell'odio etnico: i massacri di epoca hamidiana, per quanto orchestrati, lo dimostrano. All'interno del mondo musulmano, comunque, le contraddizioni erano notevoli, e la rivoluzione del 1908, con il seguente tentativo controrivoluzionario, aveva rappresentato bene le tensioni che lo agitavano.

Il processo di modifica dei rapporti tra Armeni e popolazioni musulmane era già avviato da tempo[32]; il risveglio dei nazionalismi, le riforme economiche e amministrative nel corso dell'Ottocento, i rapporti con le potenze europee da parte di gruppi armeni, avevano creato nei loro confronti una forma di invidia sociale prima sconosciuta, che poteva servire per orientare le popolazioni locali a guardare gli Armeni con occhi nuovi, come soggetti diversi e non integrati, al contrario di quanto effettivamente fosse, anche a causa della loro religione, il riferimento di identità in questo caso esclusivo, il più forte nella cultura e nella tradizione dell'impero.

Ma anche l'arma della religione deve essere applicata attraverso un'operazione ben organizzata, che riesca a mobilitare le masse e a renderle parte attiva e consenziente nel processo di eliminazione della minoranza che incarna il nemico dello stato e dell'Islam.

Cominciano allora i comizi nelle province orientali da parte di uomini politici della capitale, in cui l'appello alla guerra santa dichiarata nel novembre 1914 torna sotto forma di appello alla lotta contro gli infedeli anche interni, non solo internazionali. Il legame tra gli Armeni e le potenze europee, che si è sostituito a quello che una volta costituiva il 'patto di alleanza' tra la comunità di infedeli (dhimmi) e il Sultano, rafforza l'elemento propagandistico del tradimento, e soddisfa l'ideologia laica e nazionalista del gruppo dirigente, ma si deve ammantare, nelle province più remote, dell'appello alla lotta contro gli infedeli. La nuova idea nazionalistica del "padroni a casa nostra" deve inserirsi nel contesto imperiale, multietnico e teocratico.

La religione, quindi, o meglio la contrapposizione religiosa che diventa odio intercomunitario (in quanto l'etnia nel caso armeno rappresenta una fede e viceversa, al contrario di quanto accade nel mondo islamico), è in questo caso uno strumento di maggiore efficacia rispetto a quello etnico: il vero tratto distintivo degli Armeni nel quadro imperiale non è l'essere una minoranza etnica (i Turchi stessi costituiscono una minoranza), bensì avere una religione diversa (in questo senso l'inclusività dell'islamismo gioca a favore della propaganda ottomana).

È messa in atto allora una politica propagandistica sulla stampa: gli Armeni sono descritti come una minaccia per la sicurezza nazionale. Il loro rapporto con le nazioni europee, la presenza di volontari armeni nelle file dell'esercito russo, presunti complotti per favorire le nazioni dell'Intesa: la condizione di guerra si rivela di eccezionale favore per rendere credibili questi accuse[33].

La preparazione del materiale propagandistico prevedeva un piano preciso: già da prima dell'inizio della guerra fu distribuito materiale di propaganda come le memorie di Mayewski, un generale russo, che descrive la lotta tra Armeni e Turchi nelle regioni orientali alla fine dell'Ottocento: un recupero del materiale del passato che caratterizzerà sempre la propaganda anti armena. Dall'estate del 1915, inoltre, nel momento di massima attività di deportazione, il Ministero dell'Interno ordinò alle autorità locali di raccogliere (e, in caso di necessità, produrre) prove delle accuse contro gli Armeni, e inviarle al "Direttorio per la sicurezza pubblica", che avrebbe provveduto a produrre pubblicazioni adatte allo scopo[34]. Per produrre questo materiale era stata prevista una rigida procedura: gli Armeni di ogni provincia dovevano presentare un certo quantitativo di armi durante le requisizioni previste fin dal gennaio 1915; in caso di mancata ottemperanza, si passava all'arresto e quindi alla tortura. Gli Armeni sprovvisti di armi arrivarono ad acquistarle per essere in grado di consegnarle.

I missionari americani, nei loro rapporti, parlano di questi "falsi":

"A Sivas un fotografo è stato chiamato dal governatore per fare fotografie di collezioni di armi […] gli fu chiesto di tornare il giorno dopo, quando vide che un gran numero di armi turche era stato aggiunto, e la sua foto di quest'ultima collezione fu usata come prova ufficiale che gli Armeni erano armati contro i turchi."[35]

Anche il console americano a Harput Leslie Davis conferma queste procedure:

"[…] Sono state trovate alcune bombe e si è provveduto agli arresti. Quelli arrestati sono stati sottoposti a terribili torture e gli è stato fatto confessare tutto quello che probabilmente non era vero per accusare tanti che erano completamente innocenti. Sono stati dati ordini di consegnare tutte le armi alle autorità. La gente è stata torturata fino a confessare di possedere una pistola o qualche arma, quando nei fatti non possedevano nulla. In seguito avrebbero pagato un prezzo altissimo per comprare un arma da un turco, in modo da poter portare qualcosa alla polizia. […]"[36]

In questo modo si voleva rispondere alla crescente reazione internazionale dovuta alle notizie sui massacri e le deportazioni, dimostrando di doversi difendere contro un nemico interno. Le pubblicazioni erano infatti rivolte perlopiù ai paesi occidentali, a cui giungevano tramite le ambasciate turche nel mondo, ma soprattutto attraverso l'efficiente servizio dell'alleato tedesco:

"Al fine di confermare il proprio punto di vista … i due governi si misero a pubblicare dei testi sugli Armeni ottomani. Stampate ad alta tiratura, queste pubblicazioni erano in parte dovute all'iniziativa o al finanziamento del Ministero degli Affari Esteri. Si creò un servizio di propaganda, il Zentralstelle fur den Auslandsdienst (ZdA), incaricato di coordinare queste azioni. Fu questo ufficio che facilitò, e a volte rese possibile, la distribuzione internazionale della propaganda ottomana anti armena.

Nel 1918, per esempio, l'ambasciatore a Costantinopoli, Johann Heinrich von Bernstoff, si informò, su richiesta di Talaat, per sapere se un testo sugli Armeni scritto dall'ambasciatore turco a Washington, Ahmed Rustem bey, poteva essere pubblicato… inoltre, le missioni diplomatiche tedesche, ufficiali e ufficiose, nei paesi neutrali, furono incaricate di organizzare discretamente la distribuzione di questa pubblicazione…"[37]

Oltre a titoli di esplicita difesa del comportamento del governo ottomano, come Vérité sur le mouvement révolutionnaire arménien et les mésures gouvernementales[38] (1916) – (Verità sul movimento rivoluzionario armeno e sulle misure governative), si pubblica un album fotografico, Die Leidenschaft und Bewegung armenischer Revolutionaere[39] (1916) – (Aspirazioni e movimenti rivoluzionari armeni) (figura 13) di circa cinquanta pagine, con didascalie in quattro lingue (turco, inglese, francese e tedesco) che testimoniano la destinazione internazionale, in un momento in cui la presenza occidentale nell'impero si era drasticamente ridotta a causa della guerra. L'album presenta "prove" delle accuse contro gli Armeni. L'attività internazionale già accennata, per la distribuzione di questo album, è confermata dalla lettera di accompagnamento del rappresentante turco a Washington:

Album fotografico:Die Leidenschaft und Bewegung armenischer Revolutionaere
Album fotografico:Die Leidenschaft und Bewegung armenischer Revolutionaere

"L'incaricato d'affari di Turchia… ha l'onore di trasmettere… tre esemplari di un album contenente fotografie di documenti e altre prove in possesso del Governo Imperiale Ottomano, che mostrano le aspirazioni e le attività sediziose dei comitati rivoluzionari armeni in Turchia."[40]

L'album, costruito a tesi, ricorda in modo impressionante le sequenze di immagini già vista, pubblicate dalla stampa occidentale all'epoca dei massacri hamidiani: esso inizia con numerose immagini e simboli del nazionalismo armeno (figura 14); poi foto degli arsenali di armi scoperti dalla polizia governativa in tutto il paese, e assemblati da questa minoranza per distruggere lo stato ottomano (figura 15, figura 16, figura 17); infine immagini delle vittime musulmane della violenza armena, e rappresentazioni di come gli Armeni 'immaginavano' la sconfitta turca (figura 18, figura 19, figura 20). In questo modo si sottolinea il nazionalismo armeno esteso a tutta la comunità, e si 'dimostra' come esso sia portatore di una violenza inaccettabile e di un rischio che il governo dell'impero non può sostenere, nel continuare a 'subire' le 'provocazioni' armene.

I simboli del nazionalismo armeno
I simboli del nazionalismo armeno
Le armi degli armeni scoperte dalla polizia
Le armi degli armeni scoperte dalla polizia
Ancora armi degli armeni scoperte dalla polizia
Ancora armi degli armeni scoperte dalla polizia
Ancora armi degli armeni scoperte dalla polizia
Ancora armi degli armeni scoperte dalla polizia
Vittime musulmane della violenza armena
Vittime musulmane della violenza armena
Ancora vittime musulmane della violenza armena
Ancora vittime musulmane della violenza armena
Ancora vittime musulmane della violenza armena
Ancora vittime musulmane della violenza armena

Particolarmente interessante è la sezione di immagini che riguardano il 'ritrovamento' di armi di vario tipo: confrontandole con le stesse pubblicate vent'anni prima in occasione dell'attacco alla Banca Ottomana, si nota come sia forte, anche dal punto di vista delle scelte dei soggetti, la continuità della propaganda anti armena, e come quindi i modelli costituitisi in epoca hamidiana siano rimasti immutati durante tutti gli anni successivi della questione armena.

La prima guerra mondiale vede quindi lo sviluppo di una vera e propria "macchina propagandistica", che si basa innanzi tutto sull'immagine del nemico già in essere da decenni, sviluppata attraverso una produzione "industriale" di "prove" visive; questa procedura conferma che esisteva una volontà precisa di annientamento politico, ma anche, di riflesso, etnico, dei gruppi armeni, e che le violenze contro gli Armeni non erano casuali né dovute ad una mancanza di controllo da parte del governo, bensì il contrario.

Continuità dell'immagine del nemico armeno nelle pubblicazioni fotografiche negazioniste della Repubblica turca

"[le immagini di atrocità]… Fonti di manipolazione estremamente favorevoli, ognuno può in effetti mobilitare l'opinione pubblica esibendole, accusando la parte opposta di 'genocidio', di 'crimine contro l'umanità'." Laurent Gervereau, Un siècle de manipulation par l'image, 2000

Nei siti internet ufficiali del governo e delle istituzioni turchi, è ancora oggi in uso ampio materiale propagandistico illustrato, anti armeno, prodotto dal regime dei Giovani Turchi durante il periodo del genocidio (1915-16). Il negazionismo turco di stato riguardo al genocidio armeno esiste fin dal periodo del genocidio stesso; inoltre, secondo alcuni autori, il genocidio costituisce di per sé uno dei "tabù fondatori" della Repubblica turca nata nel 1923[41]. Il negazionismo si manifesta in forme e modi diversi; i siti internet e le pubblicazioni illustrate, governativi e non, in cui si propugna la tesi negazionista, seguono le linee generali della stessa propaganda che si basa ancora oggi su quella dell'epoca ottomana.

Le tesi del complotto, del terrorismo, delle atrocità nei confronti dei musulmani e del fatto che gli stessi Armeni sono stati causa della propria tragedia, tornano ancora oggi nella propaganda per immagini della Repubblica Turca. Documents sur les arméniens-ottomans è un titolo in due volumi pubblicato ad Ankara nel 1983 dalla Direzione degli studi di storia e strategia militari, dello Stato Maggiore Generale[42]. Fa parte di quel gruppo di pubblicazioni che, negli anni Ottanta, vedono lo sviluppo di una politica di comunicazione apparentemente più aperta da parte del governo turco, in realtà tesa a contrastare i risultati dell'azione diplomatica armena per il riconoscimento del genocidio a livello internazionale. Questa pubblicazione in particolare, una raccolta di "documenti" conservati negli archivi dell'esercito turco, vuole presentare le "prove" degli atti di violenza dei gruppi armati armeni nell'impero ottomano durante la prima guerra mondiale, per rafforzare l'atto d'accusa verso le azioni terroristiche armene degli anni Settanta del Novecento contro diplomatici turchi. Le vittime diventano dunque carnefici, in modo da poter giustificare ogni azione di repressione, vecchia o nuova. Il libro pubblica anche alcune fotografie di violenza e atrocità, le cui didascalie spiegano come la violenza armena si sia scagliata durante la prima guerra mondiale non solo contro il potere costituito (con le foto del cadavere di Djemal Pasha e del suo aiutante di campo), ma anche e soprattutto contro donne e bambini innocenti, uccisi nei modi più violenti, per cui si parla costantemente di massacri. Questo gruppo di immagini, una decina in tutto, è accostato a quello dei diplomatici turchi uccisi negli anni Settanta del ventesimo secolo: gli Armeni, ieri come oggi, minacciano la stabilità del paese.

Il negazionismo turco su internet segue le stesse dinamiche dei media tradizionali[43]. È interessante innanzi tutto notare come quasi tutti i siti legati in qualche modo allo stato turco (sia quelli del ministero degli esteri, dell'ambasciata turca negli Stati Uniti, sia quelli delle associazioni turche all'estero) presentino sempre una sezione dedicata alla "questione armena". Ci sono poi siti turchi, con versione inglese, dedicati esclusivamente a questo argomento, ma più in generale sono sempre presenti sotto-sezioni dedicate ai "documenti", che in alcuni casi si riferiscono a fotografie e illustrazioni dell'epoca. La logica nella presentazione delle fotografie è sempre quella degli Armeni come aggressori e quindi vittime dei loro stessi "eccessi" politici.

Il sito del ministero degli Esteri[44] dedica alla questione armena diverse sezioni; cliccando sulla voce "Diplomatic Archives", poi su "Foreign Ministry Publications-Armenian Atrocities. A Compilation of Views"[45], è possibile vedere le fotografie d'epoca che, in pochi esemplari, riassumono l'intera politica negazionista: una riguarda la distruzione di Erzinjian da parte degli Armeni, un'altra una banda armata armena. Immagini della "colpa" degli Armeni, quindi, della violenza che ha spinto alla repressione il governo ottomano.

Un altro sito governativo negazionista che presenta, tra l'altro, un album fotografico, è http://www.tbmm.gov.tr/yayinlar/yayin3/atrocity.htm: una pagina web in cui si presenta il testo di Ismet Binark Archive Documents about the Atrocities and Genocide Inflicted upon Turks by Armenians, edito ad Ankara nel 2002 dal parlamento turco. L'album fotografico, scaricabile, Shameful Photographs Showing the Atrocities and Genocide Inflicted Upon Turks By the Armenians, è consultabile integralmente da questa pagina. È un esempio interessante di come il materiale d'epoca venga riutilizzato, non a scopo di memoria e identità come nel caso armeno, ma semplicemente con lo stesso obiettivo di allora: dimostrare che gli Armeni erano e sono un pericolo per la sicurezza dello stato. Si tratta infatti di materiale proveniente in alcuni casi da opuscoli illustrati stampati durante o subito dopo la prima guerra mondiale, o da altre fonti dell'epoca, secondo quanto citato, gli stessi già visti a proposito della propaganda anti-armena unionista: The Aspirations and Revolutionary Movements of the Armenian Committees: Before and After the Declaration of Constitutional Monarchy, (Istanbul 1916); The Aspirations and Revolutionary Movements: photographs and documents, Album n. 1 e 2, 1916; Collection of Photographs, First World War, Album No. 4, Archives of the Department of Military History and Strategical Studies, Turkish General Staff, tratte da The Genocide Perpetrated Against Turks by Armenians during the First World War, (Ankara 2000)[46]; Documented Information about the Atrocities Endured by Muslim People[47], (1919). Le ultime quindici pagine di questo opuscolo fotografico (che ne conta quaranta in tutto), presentano invece fotografie scattate negli anni Novanta del Novecento in diverse aree della Turchia, in occasione di scavi che hanno portato alla luce fosse comuni e resti di ossa umane, scavi sponsorizzati da simposi internazionali evidentemente patrocinati dallo stato turco.

Il materiale d'epoca non è presentato come originariamente pubblicato, le immagini sono infatti ordinate non secondo la provenienza, ma piuttosto secondo un percorso di costruzione di un vero e proprio atto di accusa: l'album inizia infatti con una foto di atrocità a tutta pagina, a cui seguono immediatamente le immagini che 'inchiodano' gli Armeni come colpevoli: i gruppi armati, che rappresentano la minaccia e il nazionalismo che li spinge, poi la raccolta di armi, risultato di una precisa politica di propaganda anti armena, come già visto: nove fotografie di veri e propri arsenali, sia di armi da fuoco sia di bombe, in cui sono sempre presenti rappresentanti dello stato, o, in alcuni casi, secondo la didascalia, delle bande armene incriminate. Segue la parte centrale della pubblicazione, con immagini di atrocità e vittime, e didascalie che sottolineano l'innocenza delle vittime e la violenza dei carnefici, Armeni sempre organizzati in bande.

Le immagini dell'ultima parte, sugli scavi ed il ritrovamento delle ossa umane attribuite a vittime turche, presentano in parte le stesse caratteristiche delle sezioni precedenti: il citare l'origine dettagliata delle immagini, con riferimenti precisi sia alla collezione che al luogo e alla data in cui è stata scattata la fotografia[48], si ritrova qui nell'indicazione dei luoghi. Ma tale dettaglio sembra soprattutto un espediente per giustificare l'attribuzione, in un caso, delle vittime al popolo turco, nell'altro delle ossa a vittime turche: non è mai spiegato, infatti, in base a cosa si può dire che i resti ritrovati oggi siano attribuibili a vittime turche e non piuttosto armene. Inoltre, alcune didascalie di questa ultima parte si spingono oltre, con affermazioni politiche: "Donne e bambini dal villaggio di Oba, in piedi di fronte alla fossa comune scoperta, condannano il genocidio armeno di fronte all'opinione pubblica mondiale. È dedicata a quei paesi che sostengono le infondate rivendicazioni armene"[49].

Un altro sito che ribalta la logica di accusa alla Turchia per il genocidio armeno è "Armenian Reality"[50], esclusivamente dedicato al negazionismo, che si manifesta nell'accusa agli Armeni di aver massacrato i Turchi negli stessi anni della prima guerra mondiale[51]. Ampio spazio è dedicato a fotografie d'epoca, spesso già viste in altri siti e/o pubblicazioni del genere: una decina di pagine web, per un totale di circa cento fotografie. La sezione si intitola "Turkish genocide by Armenians. These pictures are from Armenian oppressions of 1914-1916", e mostra, attraverso una vera e propria forma retorica di odio per il nemico, una struttura ricorrente, ancora una volta fin dalla propaganda della prima guerra mondiale: prima le fotografie di bande e gruppi armati armeni; poi la sezione più ricca, quella delle vittime, turche, di atrocità (molte di queste foto sono le stesse già viste nel sito precedente); infine le armi sequestrate agli Armeni, i simboli del nazionalismo e altre vittime di atrocità, immagini tratte dalle pubblicazioni di propaganda già citate e in particolare da The Aspirations and Revolutionary Movements: photographs and documents, Album n. 1 e 2, 1916, già visto. Seguono, come nel sito precedente, le immagini degli scavi che hanno portato alla luce resti di ossa umane, in diverse zone della Turchia.

Un altro sito dedicato esclusivamente al negazionismo contro il genocidio armeno è "Armenian Issue"[52], in turco, inglese, francese e tedesco, con i consueti numerosi contributi integrali di autori negazionisti (questo sito è in effetti molto simile al precedente, sia come impostazione che come contenuti). Alla voce "Album", si apre una sezione fotografica molto simile a quelle dei siti precedenti, ma organizzata in modo più curato: tutte le immagini, più di 130, sono ritagliate in modo da eliminare qualunque riferimento visivo a pubblicazioni o didascalie precedenti; le foto sono cliccabili e in questo modo si accede ad un formato più grande, completo di didascalie e, in alcuni casi, riferimenti di origine della fotografia. Le fotografie sono ordinate anche qui per argomento: raccolta e sequestro delle armi, vittime e atrocità, (anche qui questa è la parte più corposa), simboli del nazionalismo armeno ed esempi di "mistificazioni" sul genocidio (questa è forse la sezione più interessante rispetto ai siti precedenti, in quanto più articolata e ricca di materiali provenienti da fonti diverse), e ancora una volta, immagini degli scavi in Turchia che hanno portato al ritrovamento di resti di ossa umane.

Il ricorrere alla struttura accusatoria delle pubblicazioni illustrate, che nella seconda metà del Novecento terminano sempre con un richiamo all'attualità degli scavi e dei ritrovamenti di ossa, o dell'attivismo armeno degli anni Settanta, ci dice quanto la modalità di comunicazione dell'epoca ottomana influenzi ancora oggi la lotta politica che vede, da un lato, la rivendicazione armena del genocidio, e il negazionismo turco dall'altra.

Questa insistenza nel ribadire e riutilizzare le stesse ragioni e immagini dell'epoca ottomana è estremamente significativo, in quanto segnale delle difficoltà dello stato turco nell'affrontare la questione armena, ma anche dell'oblio in cui tale questione è rimasta per cinquant'anni. Lo stesso oblio che ha permesso di "sclerotizzare" i modelli iconografici e comunicativi degli Armeni come terroristi e pericoli per la sicurezza della "patria", un'immagine che nasce all'epoca del sultano Abdul Hamid II (1876-1908), con le attività politiche clandestine armene. Essa si rafforza poi all'epoca dei Giovani Turchi (1908-1918) e del genocidio, per non subire più nessun tipo di evoluzione.

Sembra quindi che i siti e le pubblicazioni citati siano collegati tra loro, non solo nell'uso delle immagini di accusa contro gli Armeni, ma soprattutto nella logica per cui, per rispondere alle accuse di genocidio, ci si scaglia contro il proprio accusatore utilizzando i suoi stessi argomenti. Le fotografie sono, in quanto registrazione "obiettiva" della realtà, prove a sostegno della propria tesi, per cui non c'è bisogno di altri riferimenti: esse parlano "da sole".

Conclusioni

La costruzione del nemico nel caso del genocidio armeno è un'operazione che si sviluppa nell'arco di un ventennio e attraversa regimi diversi, in modo coerente e continuativo: il nemico armeno è identificato dal sultano Abdul Hamid II con l'intera etnia presente nell'impero, attraverso alcuni attivisti politici. Le rivendicazioni di autonomia amministrativa da parte di alcuni rappresentanti delle comunità armene si confondono, nella rappresentazione hamidiana, con l'azione politica clandestina e con le operazioni di sabotaggio e terrorismo di alcuni gruppi e bande armate. Il regime rivoluzionario dei Giovani Turchi, risultato della reazione a quarant'anni di regno di Abdul Hamid, riprenderà i temi della stessa propaganda che un tempo combatteva, sottolineando la pericolosità dell'Armeno come elemento destabilizzante, insidioso e inaffidabile, a causa dei suoi rapporti privilegiati, da un punto di vista economico, diplomatico e culturale, con i paesi europei. Le immagini di propaganda risultano coerenti con questa continuità: sono sempre fotografie di armi, o meglio di veri e propri arsenali, che si ritrovano sia nei giornali occidentali "controllati" da Abdul Hamid, sia nella propaganda della prima guerra mondiale prodotta dal governo dei Giovani Turchi e rivolta ai governi occidentali. Da un regime all'altro la struttura della propaganda assume connotati sempre più "industriali" e "organizzati", tanto che, con i Giovani Turchi, si può parlare di vera e propria politica di comunicazione attraverso l'uso delle immagini, ma non solo: la cura della comunicazione non si limita alla diffusione delle immagine, bensì comincia nella fase di produzione, che come abbiamo visto prevede la "commissione" di fotografie da parte di un ente apposito.

Un altro elemento importante da sottolineare nell'analisi della costruzione del nemico e della rappresentazione del corpo del nemico ucciso, è la netta differenza tra immagini della violenza politica e di quella genocidiaria: se la violenza genocidiaria è caratterizzata da segretezza e rapidità delle operazioni di massacro, con assenza totale di rituali quali processi ancorché sommari, alle impiccagioni degli oppositori politici si dà massima risonanza, anche attraverso le immagini, in modo da amplificare la funzione di deterrente e di condanna esemplare, già presente nell'esecuzione pubblica; si tratta di una rappresentazione estremamente ritualizzata, in cui la presenza di rappresentanti delle autorità ribadiscono la funzione di messaggio politico. Quest'uso opposto (assenza per le vittime civili/grande quantità per gli oppositori politici) lascia intendere però che le foto degli impiccati, benché indiscriminate rispetto all'etnia e relative a obiettivi immediati lontani dalla politica genocidiaria, siano complementari alle azioni di violenza etnica in corso: esse contribuiscono alla costruzione di quel nemico che aiuta il consenso verso la politica genocidiaria, portata avanti in modo silenzioso e non propagandato. La produzione e circolazione di questo materiale ci dicono anche quale fosse il livello di tollerabilità della violenza nell'impero ottomano, in un'epoca di grande caos e smobilitazione, quando la consapevolezza della fine, con le perdite territoriali sempre più gravose proprio in quelle aree balcaniche dell'impero da cui proveniva la classe dirigente al potere, rendeva urgente trovare un nemico su cui riversare le paure dovute alla perdita di identità. Ma queste immagini parlano anche dei rapporti internazionali in corso all'epoca, della nascente "ideologia umanitaria", una delle caratteristiche della propaganda della prima guerra mondiale, per cui le vittime civili diventano protagoniste, da una parte e dall'altra, della brutalità del nemico: in questa logica si devono leggere le reazioni di sdegno dell'Occidente, a cui pure molte pubblicazioni erano esplicitamente indirizzate. D'altra parte, i Giovani Turchi si rivolgevano con queste immagini a quei governi occidentali che fino ad allora avevano ampiamente sfruttato la debolezza dell'impero, con un messaggio di sfida teso all'affrancamento e all'autonomia, nel mostrare come il governo al potere fosse in grado di gestire in modo forte la pur grande instabilità interna.

Le immagini dei corpi dei nemici politici uccisi durante il regime dei Giovani Turchi sembrano avere lo stesso obiettivo "conservativo" dei massacri hamidiani: questi ultimi tendevano infatti a mantenere la situazione politica interna stabile, senza una reale volontà di sradicamento radicale dell'etnia armena, quale fu poi il risultato del genocidio. Le immagini del nemico politico ucciso servono come strumento "punitivo", per riportare la vita politica nei ranghi del potere costituito, che non tollera deviazioni.

La continuità nel proporre l'immagine del "nemico armeno" giunge fino ai nostri giorni, come dimostrano le pubblicazioni e i siti web dell'attuale Repubblica Turca: immagini della prima guerra mondiale sono utilizzate per rispondere alle rivendicazioni di riconoscimento del genocidio da parte armena, in un riutilizzo dell'immagine di propaganda che, se da un lato vuole prima di tutto concentrare l'attenzione sulla polemica politica internazionale attuale, allo stesso tempo rimanda inevitabilmente a un immaginario iconografico che si trascina da più di un secolo. La costruzione del nemico passa quindi attraverso il recupero di materiale che già al momento della sua produzione aveva lo stesso scopo, in un processo senza fine di rivendicazione da una parte e negazionismo dall'altra, tipico delle questioni irrisolte.

Infine, lo stesso materiale fotografico fin qui illustrato ci permetta di capire quanto l'utilizzo dell'immagine come strumento efficace di comunicazione politica fosse determinante nell'ottica di un regime totalitario, ciò che poi sarà confermato nel corso del secolo, in altri contesti: la questione armena nel suo complesso, certo più ampia e complessa di quello che qui abbiamo solo per larghi tratti accennato, è stata anche un'"operazione mediatica", nella misura in cui la sua stessa nascita è stata sollecitata in funzione di obiettivi diplomatici internazionali.

Note

[1] Nell'estate 1894, nella regione di Sassun, tra il lago di Van e la regione di Harput, i contrasti tra combattenti armeni e gruppi armati curdi esplode in un massacro di popolazione armena, sostenuto dalle regolari truppe governative. Tra l'ottobre e la fine di dicembre 1895, nelle province di Trebisonda, Erzurum, Bitlis, Van, Harput, Diarbekir, Sivas, Aleppo, Adana e Ankara, le autorità ottomane favoriscono lo scontro armato, sfruttando l'attivismo di alcuni gruppi armati per attaccare interi quartieri armeni, con massacri e saccheggi. La procedura è la stessa in ogni occasione: la popolazione musulmana è aizzata contro quella armena, spesso sono fornite armi; i massacri cominciano nella tarda mattinata, nei bazar e nei mercati, poi nei quartieri, massacrando la popolazione e passando poi al saccheggio di abitazioni e negozi. Nel 1896, i massacri continuano nelle province di Mush, Aleppo e Adana; a Van, il partito armeno clandestino Dashnak organizza una difesa armata che risponderà agli attacchi governativi, che non riesce però a evitare la distruzione quasi totale della comunità armena: i soli quartieri che si salvano sono quelli in cui sono presenti delegazioni estere. La regione di Van sarà percorsa dalle violenze e dai saccheggi di bande di curdi armati dal governo ottomano. La stima delle vittime, alla fine del biennio 1894-96, raggiunge le 200.000 persone. Inoltre, circa 100 000 persone saranno costrette a convertirsi alla religione islamica e altre 100.000, donne e ragazze, rinchiuse negli harem. Le comunità armene delle regioni orientali sono state decimate, le attività economiche distrutte; molti armeni di questa zona emigreranno in Transcaucasia, in Europa occidentale e negli Stati Uniti.

[2] J.N. Jeanneney, Storia dei media, Editori Riuniti, Roma 1996, p. 105

[3] Yves Ternon, Les Arménien. Histoire d'un genocide, Editions du Seuil, Paris (1977) 1996, p. 144. Edizione italiana : Rizzoli 2003.

[4] Victor Bérard, La politique du Sultan (Paris 1897), pp. 282, 290 in Vahakn Dadrian, The History of the Armenian Genocide. Ethnic Conflicts from the Balkans to Anatolia to the Caucasus, Berghahn Books, Providence-Oxford 1995, p. 77

[5] La richiesta di riforme amministrative da parte armena e l'intervento delle nazioni europee nel dibattito tra comunità armene ottomane e governo di Costantinopoli a questo proposito sono alla base della nascita della questione armena, che dal 1878 al 1923 sarà costantemente presente sul tavolo delle discussioni diplomatiche europee; non si giungerà mai a una soluzione concreta e anzi la posizione delle comunità armene diventerà nel corso dei decenni sempre più difficile, fino a culminare nel genocidio del 1915-16.

[6] L'immagine è conservata presso la Bibliothèque Noubar di Parigi, "Génocide-Dossier de Presse".

[7] L'impero ottomano regolava i rapporti tra gruppi di diversa etnia e religione al proprio interno, attraverso un complesso sistema di comportamenti, regole non scritte, e leggi, che hanno caratterizzato la sua vita per secoli. I cristiani (greci ortodossi; cattolici romani; mekitharisti, gregoriani ed evangelici tra gli armeni; protestanti, maroniti, nestoriani, tra i cristiani di Siria) e gli ebrei, erano considerati parte di minoranze "protette" (dhimmi), ovvero gruppi con cui il conquistatore turco aveva stretto un patto di protezione contro le razzie delle tribù nomadi, in cambio di un tributo. Questa posizione implicava la separazione delle comunità, il loro doversi differenziare, limitando l'assimilazione. Essa inoltre vietava di possedere armi e l'accesso alla vita politica. La discriminazione era sancita dalla legge e dalle tasse: le comunità non-musulmane dovevano versare un'imposta sostitutiva del servizio militare, in quanto non autorizzate a svolgerlo (ma con la mobilitazione generale che precede l'ingresso dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale, questo divieto verrà meno e tutte le etnia subiranno la coscrizione obbligatoria; nel caso armeno questo corrisponderà al primo passo verso il genocidio). La giustizia è amministrata unicamente da tribunali religiosi musulmani, in cui le parti sono tenute a presentarsi accompagnate da due testimoni di fede islamica; la testimonianza di un cristiano non è considerata valida contro quella di un musulmano. In pratica, molte di queste regole non venivano applicate; ma erano comunque parte di una mentalità diffusa, sempre presente nelle pratiche fiscali e giuridiche.

[8] Dashnak, dalla parola dashnaktsutiun (federazione), "federazione rivoluzionaria armena", partito fondato a Tiflis, in Georgia, nell'estate 1890, e riunisce piccole organizzazioni rivoluzionarie armeno-russe, con un programma che prevede la lotta armata e riforme per gli Armeni ottomani, senza però parlare mai di indipendenza, ma solo di "federazione di minoranze".

[9] E del negazionismo contemporaneo da parte dello stato turco.

[10] "L'illustrazione italiana", 11 ottobre 1896.

[11] "Le Petit Journal", 15 novembre 1896.

[12] In quanto essa sembrava mettere in pericoli i privilegi accordati ai musulmani, estendendoli a tutte le etnie in un tentativo di riforma dei diritti dei cittadini, e di trasformazione laica dell'organizzazione dello stato.

[13] L'istituzione che raccoglieva i tutori della legge islamica.

[14] British Doxuments on Foreign Affairs, Pt. I, Series B., Vol. 20, Annual Report of Turkey for the Year 1909, in A. L. Macfie The End of the Ottoman Empire, 1908-1923, Longman Ltd, London and New York 1998, p. 47.

[15] Les Vepres Ciliciennes, « Le Journal du Caire », gennaio 1910.

[16] Cfr. Macfie, The End of the Ottoman Empire, cit., pp. 49-50.

[17] Cfr. Macfie, The End of the Ottoman Empire, cit., pp. 39-55 e Erik Zuercher, Turkey. A Modern History, IB Tauris Publishers, London and New York (1997) 2003, pp. 100-104

[18] Dadrian, The History of the Armenian Genocide, cit., p. 182.

[19] "La Domenica del Corriere", 16-23 maggio 1909

[20] Lo sarà direttamente solo a partire dal 1913.

[21] "Le Petit Parisien", "Le Soleil du Dimanche Illustré" 16 maggio 1909, p. 8; "Le Petit Journal" maggio 1909

[22] Ternon, Les Arméniens, cit., p. 238.

[23] Cfr. Tessa Hofmann, Geraryer Kutcharian, 'Images that Horrify and Indict': Pictorial Documents on the Persecution and Extermination of the Armenians from 1877 to 1922 in "Armenian Review", Spring/Summer 1992, Watertown, MA, pp. 53-184; le citazioni sono a pp. 94 e 178; e Tessa Hofmann, Armin Wegner, National Academy of Sciences of the Republic of Armenia Institute-Museum of the Armenian Genocide, Erevan 1996.

[24] Deutsche Literaturarchiv Marbach a.N., Bildabteilung, B 78.B III 34, B 78.B III 33.

[25] Cfr. Hofmann, Armin Wegner, cit., p. 13.

[26] Deutsche Literaturarchiv Marbach a.N., Bildabteilung, B 78.B III 21.

[27] Deutsche Literaturarchiv Marbach a.N. /Handschriften Abteilung-Briefe Liste, A: Wegner Armenien, Wegner, Armin T., Prosa, "Armenien".

[28] 17 gennaio 1919, a Otto Steiger, in Deutsches LiteratursArchiv (DLA), Handschriftung Abteilung (HA), Briefe-Liste, A: Wegner-Armenien.

[29] 13 gennaio 1919, a Monsieur Belart, Chemins de fer ottomanes, in ibidem.

[30] Cfr. Hofmann, Kutcharian, 'Images that Horrify and Indict', cit., p. 178.

[31] Sull'ideologia dei Giovani Turchi, cfr. Erik J. Zuercher, The Unionist Factor, Leiden 1984; idem, The Young Turks – Children of the Borderlands?, Turkology Update Leiden Project Working Papers Archive, Department of Turkish Studies, Universiteit Leiden, October 2002; M. Sukru Hanioglu "The Political Ideas of the Young Turks", in idem, The Young Turks in Opposition, Oxford University Press, 1995, pp. 200-212. I suddetti titoli, insieme alla storiografia sugli ultimi decenni dell'impero ottomano, aiutano ad allargare in modo fruttuoso il contesto in cui collocare il genocidio.

[32]  Per l'analisi della composizione etnica e dei riti sociali nel caso delle corporazioni artigiane dell'impero, e per capire come in questo caso si sono evoluti, in termini soprattutto economici, i rapporti tra le etnie, fin dalla seconda metà del XVIII secolo, cfr. Onur Yildirim, Ottoman Guilds as a Setting for Ethno-Religious Conflict: The Case of the Silk-thread Spinners' Guild in Istanbul, in International Review of Social History, vol. 47, part 3, december 2002, Cambridge University Press, pp. 407-422.

[33] Il complesso legame tra ideologia, rivoluzione e guerra che porta al genocidio per eliminare un gruppo, piuttosto che a un massacro per terrorizzare quello stesso gruppo senza volerlo sradicare, anzi, per mantenere lo status quo, è al centro di Robert Melson, Revolution and Genocide, Chicago University Press, Chicago 1992. Cfr. anche Mark Levene, The changing face of mass murder: massacre, genocide, and post-genocide, in Extreme Violence, 'International Social Science Journal', December 2002, N 174, Blackwell Publications/UNESCO, pp. 443-451.

[34] Cfr. Hilmar Kaiser, Dall'impero alla repubblica: la continuità del negazionismo turco, in Marcello Flores (a cura di) Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2001, pp. 89-113.

[35] Mary Graffam, 'Story', p.1, American Board of Commissioners for Foreign Missions (ABCFM) archives, Houghton library, Harvard University, Cambridge, MA; in Suzanne Elizabeth Moranian Bearing Witness: The Missionary Archives as Evidence of the Armenian Genocide, in Richard Hovanissian The Armenian Genocide: History, Politics, Ethics, St. Martin's Press, New York, NY, 1992, pp. 103-128; la citazione è a p.108.

[36] United States National Archives and Records Administration (US NARA), Record Group (RG) 59, 867.4016/269, in Ara Sarafian (ed.) United States Official Documents on the Armenian GenocideVolume Three: The Central Lands, Armenian Review, Watertown, MA, 1995, pp. 19-21.

[37]Hilmar Kaiser, Le génocide arménien: négation 'a l'allemande', in L'actualité du génocide des Arméniens, Preface de Jack Lang, Comité de Defense de la Cause Arménienne, Edipol 1999, Creteil, pp 75-91; la citazione è a pagina 83.

[38] Si tratta di un libello di quindici pagine in cui viene argomentato il tradimento degli armeni, il loro aver "approfittato" della fiducia concessa dal governo ottomano per lavorare nell'ombra al sabotaggio e all'istigazione alla violenza con società segrete, la loro pericolosità per la sicurezza dello Stato a causa della connivenza con il nemico, che a sua volta aveva sobillato le rivolte armene. In questo modo si avvalorava la tesi del complotto che coinvolgeva l'intera comunità armena, secondo la versione ufficiale del governo ottomano sulla questione armena. Le deportazioni per "motivi di sicurezza" erano quindi più che giustificate, tanto più che tutto si svolgeva in piena legalità e con il rispetto delle proprietà. La copia consultata è conservata presso US NARA, RG 59, 867.4016, College Park, MD.

[39] Il titolo tedesco lascia pensare che questo album sia il risultato della collaborazione con l'alleato tedesco, di cui sopra. Inoltre, la dicitura "Album n. 1", sulla copertina, indica che fosse perlomeno prevista una serie di pubblicazioni sull'argomento. L'esemplare preso in visione è conservato presso US NARA, RG 59, 867.4016/.

[40] Lettera del 19 maggio 1916, US NARA RG 59, 867.4016/280.

[41] Taner Akçam Dialogue across an international divide: essays towards a Turkish-Armenian dialogue, Zoryan Institute, Toronto 2001.

[42] L'esemplare consultato si trova presso la biblioteca della Fondazione Lelio Basso, Roma. Purtroppo la pessima qualità delle immagini non consente qui una riproduzione.

[43] Per un ampio quadro del fenomeno negazionista su Internet, cfr. Gilles Karmasyn, La négation du génocide arménien sur Internet, in Georges Bensoussan, Claire Mouradian, Yves Ternon (éds.) Ailleurs, hier, autrement: connaissance et reconnaissance du génocide des Arméniens, Revue d'histoire de la Shoah-Le monde juif, janvier-aout 2003, nn. 177-178, Centre de Documentation Juive Contemporaine, Paris, pp. 504-550; un saggio in cui si riprendono le linee principali del negazionismo, soprattutto nelle sue manifestazioni a partire dalla fine degli anni Settanta, per poi passare all'illustrazione dei diversi siti, governativi e non, in cui viene presentata la 'questione armena'.

[44] http://www.mfa.gov.tr/, in inglese, in cui sono disponibili numerosi testi negazionisti in formato integrale, come in quasi tutti i siti negazionisti consultati. Tra i testi più ricorrenti: diverse versioni, in inglese o francese di The Armenian Issuein Nine Questions and Answers, originariamente edito dal Foreign Policy Institute di Ankara, nel 1982; The Armenian File, di Kamuran Gurun, un classico del negazionismo pubblicato ad Ankara in una prima versione francese nel 1982; The Story behind 'Ambassador Morgenthau's Story', di Heath Lowry e altri.

[45] La pagina in cui sono presenti le immagini è all'indirizzo http://www.mfa.gov.tr/grupe /eh/eh08/09.htm

[46] Titolo originale: I. Dünya Savasy Sirasinda Ermenilerin Türklere Yaptigi Katliam-Fotograflar.

[47] Titolo originale: Islam Ahalinin Duçar Olduklan Mezalim Hakkinda Vesâike Müstenid Mâlûmat.

[48] Cfr. per esempio le fotografie e le didascalie, pp. 118-120, 124, 126

[49] p. 135; cfr. anche p. 140.

[51] Il meccanismo di confutazione delle accuse e di messa sotto processo delle vittime è tipico delle dinamiche negazioniste; cfr. Lucette Valensi, "Notes sur deux histoires discordantes. Le cas Arménien pendant la Première Guerre mondiale" in François Hartog, Jacques Revel Les usages politiques du passé, éditions de l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris 2001.

[52] http://www.ermenisorunu .gen.tr/english/index.html

Bibliografia

Fonti giornalistiche e di archivio citate

“La Domenica del Corriere”

“Illustrazione italiana”

“La Lettura”

“Le Petit Journal”

“Le Journal du Caire”

“Le Petit Parisien”

“Le Soleil du Dimanche Illustré”

American Board of Commissioners for Foreign Missions (ABCFM) archives, Houghton Library, Harvard University, Cambridge, MA

Bibliothèque Noubar, “Génocide-Dossier de Presse”, Parigi

British Doxuments on Foreign Affairs, Pt. I, Series B., Vol. 20, Annual Report of Turkey for the Year 1909

Deutsche Literaturarchiv/Bildabteilung, Marbach a.N.

Deutsche Literaturarchiv/Handschriften Abteilung-Briefe Liste, A: Wegner Armenien, Wegner, Armin T., Prosa, “Armenien”, Marbach a.N.

United States National Archives and Records Administration, Record Group 59, 867.4016/, Washington DC

Bibliografia citata

Akçam Taner, Dialogue across an international divide: essays towards a Turkish-Armenian dialogue, Zoryan Institute, Toronto 2001

Bérard Victor, La politique du Sultan, Paris 1897

Binark Ismet, Archive Documents about the Atrocities and Genocide Inflicted upon Turks by Armenians, Ankara 2002

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Documented Information about the Atrocities Endured by Muslim People, 1919

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Hofmann Tessa, Armin Wegner, National Academy of Sciences of the Republic of Armenia Institute-Museum of the Armenian Genocide, Erevan 1996

Hofmann Tessa, Kutcharian Geraryer, 'Images that Horrify and Indict': Pictorial Documents on the Persecution and Extermination of the Armenians from 1877 to 1922 in “Armenian Review”, Spring/Summer 1992, Watertown, MA, pp. 53-184

Kaiser Hilmar, Dall’impero alla repubblica: la continuità del negazionismo turco, in Marcello Flores (a cura di) Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2001, pp. 89-113

Kaiser Hilmar, Le génocide arménien: négation ‘a l’allemande’, in L’actualité du génocide des Arméniens, Preface de Jack Lang, Comité de Defense de la Cause Arménienne, Edipol 1999, Creteil, pp 75-91

Karmasyn Gilles, La négation du génocide arménien sur Internet, in Georges Bensoussan, Claire Mouradian, Yves Ternon (éds.) Ailleurs, hier, autrement: connaissance et reconnaissance du génocide des Arméniens, “Revue d’histoire de la Shoah-Le monde juif”, janvier-aout 2003, nn. 177-178, Centre de Documentation Juive Contemporaine, Paris, pp. 504-550

Gurun Kamuran, The Armenian File, Ankara 1982

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Melson Robert, Revolution and Genocide, Chicago University Press, Chicago 1992

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Ternon Yves, Les Arménien. Histoire d’un genocide, Editions du Seuil, Paris (1977) 1996

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Valensi Lucette, “Notes sur deux histoires discordantes. Le cas Arménien pendant la Première Guerre mondiale” in François Hartog, Jacques Revel Les usages politiques du passé, éditions de l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris 2001

Yildirim Onur, Ottoman Guilds as a Setting for Ethno-Religious Conflict: The Case of the Silk-thread Spinners’ Guild in Istanbul, in International Review of Social History, vol. 47, part 3, December 2002, Cambridge University Press, pp. 407-422

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Zuercher Erik J., The Unionist Factor, Leiden 1984

Zuercher Erik, Turkey. A Modern History, IB Tauris Publishers, London and New York (1997) 2003

 

Webgrafia

http://www.tbmm.gov.tr /yayinlar/yayin3/atrocity.htm

http://www.mfa.gov.tr/

http://www.mfa.gov.tr/ grupe/eh/eh08/09.htm

http://www.armenianreality.com/ massacres_in_anatolia/images_of_massacres/pictures_of_anatolian
_massacre1.html

http://www.ermenisorunu. gen.tr/english/index.html