Storicamente. Laboratorio di storia

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Scipione Guarracino, Mediterraneo. Immagini, storie e teorie da Omero a Braudel

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Il volume, che esce per la collana Sintesi, offre un’ottima guida alle molteplici letture e interpretazioni del Mediterraneo succedutesi nel tempo, da Omero in poi. Sebbene il titolo faccia di Braudel il punto di arrivo, in realtà i nove capitoli che compongono il saggio – e le diverse note bibliografiche di sintesi che accompagnano ciascun paragrafo – dimostrano chiaramente che il contesto storiografico di riferimento va ben oltre Braudel. Le letture raccolte e sintetizzate da Guarracino, infatti, spaziano dalla letteratura alla poesia, dalle cronache ai saggi, lungo una linea che va da Omero ai contemporanei offrendo un quadro succinto, ma completo – ed alle volte devo dire sorprendente per le scelte fatte dall’autore – della cultura del Mediterraneo e del ruolo centrale rivestito da questo mare nell’immaginario e nella pratica intellettuale di quei popoli che attorno alle sue coste hanno vissuto e vivono tuttora.

La struttura del saggio è appunto di lunga durata: l’autore ha raccolto il materiale intorno a nove temi, che corrispondono ad altrettanti capitoli in cui le partizioni cronologiche classiche si mischiano perdendosi (1. Mediterraneo: le evocazioni del nome; 2. Mediterraneo e geografia; 3. La costruzione del Mediterraneo; 4. Il mare dei viaggiatori, dei mercanti dei coloni, dei cittadini; 5. L’unità politica e religiosa; 6. Interpreti e testimoni; 7. Lontano dal Mediterraneo e oltre; 8. Invasioni, convivenze, fusioni; 9. Mediterraneo perduto, rimpianto, evocato).

Alcune idee 'forti' attraversano il testo. Risulta infatti chiaro che l’autore fa sua la visione di un Mediterraneo come luogo di incontro tra culture, anche nello scontro dei conflitti. Dal punto di vista geografico, G. definisce come propriamente mediterranea la fascia costiera ed isolana, separando nettamente la cultura dei popoli degli entroterra asiatici, europei ed africani, e scartando quindi anche la visione di una civiltà mediterranea da cui sarebbe sorta l’Europa. Viceversa egli legge questa pretesa come un’appropriazione indebita da parte della cultura Europea (e poi anche Statunitense) di un patrimonio che fa parte della storia di più civiltà, non esclusivamente europee, quelle bizantina ed islamica tra le altre.

L’autore sottolinea il rapporto ambivalente delle popolazioni costiere con il mare, che spesso diventa ostile, sia da un punto di vista naturale, sia da un punto di vista umano: da qui alcune posizioni teoriche – di autori antichi e successivi – sulla necessità di costruire le città a una certa distanza dalla costa, e anche, di riflesso, una letteratura di estrazione colta che ha valutato negativamente il ruolo dei mercanti e dei commerci marittimi. Il capitolo che mi è parso più debole è quello relativo all’unità politica e religiosa (cap. 5). In apertura G. sembra aderire all’idea focalizzata da Dotoli che «La vicenda storica del Mediterraneo è storia di uomini, di popoli, di gruppi, non di imperi e di grandi stati» (p. 73). Tuttavia egli dedica gran parte del capitolo stesso all’impero romano, che unificò politicamente e culturalmente proprio quella estesa regione che l’a. identifica con “il Mediterraneo” andando addirittura ben oltre quei confini nel periodo della sua massima espansione. La scelta parrebbe dunque contraddire, almeno parzialmente, questa visione. La trattazione del passaggio da un impero politeista a uno monoteista e cristiano mi pare un po’ schematica: cristianesimo ed ebraismo sono dati come due sistemi religiosi indipendendenti fin dalla comparsa di Paolo, quando invece il dibattito sul “parting of the ways” è assai acceso e complesso. L’espansione del cristianesimo si è senz’altro giovata dell’unità politica imperiale, ma non si spiega se non si approfondisce nello stesso tempo la forte espansione dello stesso ebraismo. L’ostilità nei confronti dei cristiani diviene un enigma (cfr. p. 80) se appunto non la si colloca, tra le altre cose, proprio all’interno di una crescente insofferenza imperiale per diversi culti stranieri – come l’ebraismo, ma anche i culti egiziani – che non si riuscivano a inserire nel quadro del culto imperiale, il quale tollerava le religioni periferiche, ma al tempo stesso pretendeva un’adesione all’interno di un più complesso sistema religioso imperiale.

Il testo è senz’altro una guida molto utile, sia per insegnanti di scuola media secondaria, sia per corsi universitari del primo triennio, per i temi trattati e per l’approccio di lungo periodo e multidisciplinare, che non sempre caratterizza saggi italiani di questo genere.