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Anna Rossi-Doria, Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle donne

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Il volume di Rossi-Doria raccoglie undici scritti di storia politica delle donne, redatti dall’a. tra 1983 e 2006. Suddivisi in due parti intervallate da una pagina bianca, espressione fisica del silenzio a cui allude il titolo (p. X), gli scritti hanno diversa natura (saggi storici, l’introduzione ad un programma, la relazione a seminari, due recensioni), sono legati dal filo conduttore del silenzio femminile, spiegato nelle sue molteplici forme, e si propongono la costruzione e la trasmissione della secolare tradizione del pensiero politico femminile.

Il filone storiografico seguito, chiaro sin dal titolo, è quello della «storia politica delle donne», che è poi l’indirizzo con cui in Italia è nata la «storia delle donne», negli anni ’70, grazie agli studi pionieristici di Franca Pieroni Bortolotti e di Paola Gaiotti De Biase. Negli anni ’80, quando Rossi-Doria vi si avvicina, questa corrente conosce un momento di marginalizzazione (pp. XV-XVI), per poi riemergere con forza negli anni ’90 (cfr. i lavori di Maria Casalini) e procedere a vele spiegate oltre i confini (cfr. Annale ISFAR 2009).

La periodizzazione scelta è molto ampia, dal ’700 di Rousseau, de Gouges e Wollstonecraft all’attuale battaglia per i diritti umani, così come il contesto, internazionale, l’ordine, tematico.

La prima parte ricostruisce, attraverso una scrupolosa indagine del rapporto donne-istituzioni, i nodi teorici delle battaglie femminili per l’accesso alla politica e insieme gli ambigui quanto radicati ostacoli che il pensiero politico oppone a questa inclusione. Emergono così due persistenze insite nel moderno concetto di democrazia: che «l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica […] [è] un elemento costitutivo delle categorie di “cittadino” e di “politica”» (p. 109) e «che il carattere esclusivamente maschile di quelle categorie viene celato da definizioni di individuo e di cittadino […] apparentemente universali» (p. 110). Da qui muove la battaglia per i diritti delle donne, i cui punti cardine sono «la denuncia di questo falso universalismo e la rottura di divieti rigidissimi relativi alla possibilità per una donna di essere un individuo» (p. 110), dunque il rifiuto della contraddizione apparentemente insanabile tra uguaglianza (essere cittadini) e specificità femminili (essere madri) (pp. 116, 199). Ma in ciò questa battaglia trova anche il suo punto debole: la tendenza a soffocare individualità diverse all’interno di un’identità collettiva di donne. Il riferimento esplicito è alla maternità.

L’intreccio tematico emerge in tutta la storia della lotta per diritti delle donne. Emerge nelle leggi di tutela (primo saggio), varate a difesa prima della moralità della donna e poi della sua missione di madre; nella battaglia suffragista (secondo e terzo saggio), che appoggiandosi all’idea di «superiorità morale» della maternità (pp. 61, 119) ha rischiato «di tornare drammaticamente a quel determinismo naturale contro cui il femminismo era nato» (p. 107) e finito per avere un esito «parziale e contraddittorio» (p. 108); emerge nella concessione-conquista del diritto di voto (quarto saggio), e di seguito nella Costituzione, che sancisce la «discrasia tra uguaglianza nella sfera pubblica e inferiorità nella sfera privata» (p. 200) anteponendo la «capsula d’acciaio» della famiglia (p. 207, Rossi-Doria cita A.C. Jemolo) ai diritti delle donne. L’intreccio tematico, di cui sopra, seguita nella battaglia per il riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani (quinto saggio): nonostante gli importanti risultati – dall’approvazione della Cedaw nel 1979 alla Dichiarazione di Pechino del 1995 (pp. 224-239) – questa lotta si ingolfa, infatti, sulla questione della violenza domestica (verifica del «Pechino+10» del 2005, pp. 239–240). Infine i due nodi si rintracciano nella storia del femminismo italiano degli anni ’70 (sesto saggio), che per primo affronta lo iato uguaglianza-differenza «partendo […] dai limiti culturali del concetto di uguaglianza come uniformità» (p. 200), per poi piombare in una profonda crisi sul tema dell’aborto, di fronte al quale si scontrano autodeterminazione, «soprattutto nel campo della sessualità e della riproduzione», e «la necessità politica […] di tornare alla separazione tra personale e politico» (p. 262).

Nella seconda parte, molto breve, Rossi-Doria fornisce una spinta ulteriore e inedita allo scopo del libro. Mette a disposizione la sua esperienza di insegnante di storia delle donne (primo scritto) e, facendo il punto da un lato su difficoltà e risorse del rapporto con le studentesse e dall’altro sulle «debolezze e contraddizioni» insite nella disciplina (p. 276), sottolinea l’urgenza «di rimessa in discussione delle categorie e delle periodizzazioni della storia generale», già teorizzata da anni (p. 279). Seguono due studi più “teorici”: L’eccesso femminile (secondo scritto) e Il tempo delle donne (terzo scritto). In essi vecchi pregiudizi trovano concrete interpretazioni. Mi riferisco ad esempio alla lettura dell’eccesso femminile come espressione di protesta nei confronti di una vita non scelta (p. 284) e a quella del tempo delle donne come tempo (ancora) da costruire. In chiusura, due recensioni, una al testo Non credere di avere dei diritti (quarto scritto) e una al numero di «Memorie» dedicato a Il movimento femminista degli anni 70 (quinto scritto), entrambi usciti nel 1987: importanti riferimenti bibliografici e, attraverso la critica di Rossi-Doria, metodologici.