Storicamente. Laboratorio di storia

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Cinzia Bearzot, “Come si abbatte una democrazia. Tecniche di colpo di Stato nell’Atene antica”

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Cinzia Bearzot, "Come si abbatte una democrazia. Tecniche di colpo di Stato nell’Atene antica", Roma-Bari, Laterza, 2013, 214 pp.

La riflessione dell’autrice prende le mosse dal giudizio critico di Tucidide (II, 65) nei confronti della generazione politica che giunse al potere ad Atene alla morte di Pericle, quando emersero dal certamen istituzionale spregiudicate figure dagli ambigui contorni politici, né democratici né oligarchici, prive di senso di responsabilità pubblica e di ideali e votate ai più infimi interessi privati, il potere e il guadagno. I ritratti degli uomini che si insinuarono subdolamente nelle maglie istituzionali, pronti a qualsiasi atto illecito e manipolatore (le «tecniche») in grado di assicurare loro una posizione di preminenza politica e di grande vantaggio personale, si intrecciano dunque con la descrizione delle complesse vicende che sconvolsero alla fine del V sec. a.C. un’Atene già martoriata dalla guerra del Peloponneso. Fu Alcibiade, «l’uomo della svolta», a ispirare alla classe politica ateniese quel desiderio di primeggiare che caratterizzerà i politici postpericlei, colpevoli agli occhi dello storico della sconfitta nella guerra e della crisi cittadina, e a inaugurare una condotta politica trasformista in grado di adattarsi opportunisticamente ai cambiamenti in atto. Per la prima volta la democrazia ateniese, ormai orfana della leadership del protos aner e intelligentemente deviata dagli antidemocratici, poteva quindi lasciare spazio a un nuovo modo di intendere l’impegno pubblico, a una democrazia me ton auton tropon (Tucidide VIII, 53, 1) che apriva la strada ai colpi di Stato oligarchici del 411 e del 404 a.C., di cui l’a., seguendo Tucidide, Senofonte e Lisia, ritiene indiscusso protagonista Teramene. In un continuo e ambiguo ridefinirsi delle sue posizioni, egli seppe sfruttare l’appoggio decisivo delle eterie, impegnate a manipolare silenziosamente la vita politica di Atene in sede deliberativa, giuridica e elettorale attraverso minacce e intimidazioni, tentativi di corruzione e irregolarità procedurali, false testimonianze e omicidi. In tal modo Teramene e i suoi seguaci poterono paralizzare preliminarmente una già indebolita resistenza democratica e anzi riuscirono in più occasioni a farsi portavoce delle spinte più demagogiche del potere popolare. L’azione propagandistica degli oligarchici fu particolarmente efficace anche sul piano ideologico, in quanto, proponendo in chiave antidemocratica temi propri della tradizione politica ateniese (l’homonoia, la soteria, la patrios politeia), cui il popolo era sensibile, essi poterono porsi in continuità con la passata stagione politica, sminuendo gli effetti del cambiamento imposto e fornendo persino alle loro azioni una parvenza di legalità che garantisse ai responsabili l’impunità in sede giuridica. Dopo l’abbattimento dei Quattrocento, nel 411 la restaurazione democratica (resa possibile dalla strenua reazione della flotta stanziata a Samo) non poté però consolidarsi definitivamente, segnata com’era dal clima di violenza e sospetto creato nei mesi precedenti dagli oligarchici. La democrazia subì infatti un’ennesima sconfitta con il processo agli strateghi del 406 a.C., in cui i suoi vertici rimasero vittime di un controllo demagogico della giustizia che prefigurava i raffinati metodi poi perfezionati dagli antidemocratici nel colpo di Stato del 404 a.C. Anche in quest’ultima occasione la riproposizione delle tecniche già sperimentate nel 411 a.C. e le trame eversive degli oligarchici e dei loro oscuri agenti prepararono la concreta instaurazione dei Trenta Tiranni, ulteriormente favorita dalla grave carestia in città, dal decisivo intervento militare di Lisandro e dall’ambigua azione di «collaborazionisti» filo-spartani (le cui responsabilità, sostiene l’a., sono state spesso sottovalutate dalla critica moderna). Lo schema circolare della narrazione dell’a., che riflette il quadro evenemenziale presentato dalle fonti, si conclude con il trionfale ingresso in città dei democratici di Trasibulo, il leader incorruttibile profondamente amante della democrazia e artefice di una politica onesta di «perdono» e «riconciliazione» (me mnesikakein), volta alla ricomposizione della frattura civile e al ripristino dell’armonia politica. La «risemantizzazione» in senso democratico dei temi violati dalla propaganda oligarchica e il recupero dei tradizionali valori della patrios politeia clistenica, fondata su principi di uguaglianza, solidarietà comunitaria e condotta pubblica moderata, completano, nella condivisibile lettura dell’a., l’ideale rimozione del ricordo dei traumatici intermezzi oligarchici, permettendo un ritorno al modello pericleo di uno Stato solido e unito che solo la vittoria militare macedone nel 322 a.C. potrà nuovamente abbattere e convertire in regime oligarchico.