Abbiamo incontrato Serge Noiret, coordinatore del WWW Virtual Library History Central Catalogue, in occasione di una lezione su La storia, le fonti, la rete, tenuta presso il Dipartimento di discipline storiche di Bologna il 17 maggio 2006. La seguente conversazione è in gran parte basata sulle tematiche affrontate nel corso della lezione.
In un intervento pubblicato sulle pagine virtuali di «Storicamente», ormai più di un anno fa, Alessandro Cristofori faceva notare che «il problema della definizione dell’informatica umanistica come disciplina autonoma ha suscitato negli ultimi anni un vivace dibattito a livello internazionale»; e tuttavia, se «sull’opportunità di dare all’informatica umanistica uno statuto autonomo il consenso pare ormai acquisito», è «sui contenuti della disciplina che permangono ancora significative divergenze» [1]. Ora, allo stato attuale dei lavori, possiamo considerare la situazione sostanzialmente immutata?
Sì, credo che il problema centrale dell’informatica umanistica continui a consistere nel fatto che ancora non esiste come ambito disciplinare ben definito. Non esistono, cioè, almeno in Italia, dei corsi universitari, né una preparazione specifica, né manuali di base, soprattutto per quanto riguarda l’informatica umanistica di storia.
Nell’arco di questa nostra conversazione, potremmo provare allora a tracciare, per lo meno a grandi linee, un bilancio di ciò che Internet, o il Web, offre attualmente alle discipline umanistiche, e in particolare alla storia...
Va detto innanzitutto che Internet è un medium di comunicazione di massa che non si esaurisce nel Web, poiché esisteva già prima del Web. Quest’ultimo - com’è noto - è un’applicazione di Internet nata nel 1993, costituita da un insieme in continua espansione di siti, e permessa dalla connessione di diversi ambienti digitali. Se volessimo descrivere brevemente il Web, potremmo immaginarlo come uno spazio tridimensionale, composto da uno spazio visibile, che è quello offerto dal browser, uno spazio logico, costruito attraverso i links, che offre la spina dorsale dell’ipertesto, e uno spazio agito, che consente l’interazione. È proprio questa possibilità di interazione a connotare il Web, a renderlo unico: a differenza degli altri media, infatti, il Web non solo è un ipermedium, un medium verso il quale convergono tutti gli altri media; ma anche un medium interattivo, che permette all’utente di intervenire, a volte perfino di modificare i siti che visita, e insomma di partecipare attivamente alla produzione culturale.
Circoscrivendo il nostro campo d’osservazione alla storia e al lavoro dello storico, due sono le domande più immediate: che cosa può trovare sul Web, nel momento della ricerca, lo storico? E come trovare e utilizzare le risorse della rete?
La rete è una fonte instabile: non è detto che ciò che puoi trovare oggi, lo potrai trovare anche domani, e soprattutto che lo potrai trovare nelle stesse identiche forme o con contenuti invariati.
Questo è evidentemente il primo problema che incontra chi fa ricerca storica sul Web, anche se ormai esistono in molti paesi industrializzati dei progetti internazionali di gestione dei contenuti
di rete, che vengono quindi archiviati e possono essere recuperati sia in una prospettiva di conservazione che di accesso. La risposta alla prima domanda, dunque, presuppone già una certa
conoscenza della rete, di ciò che si può trovare e soprattutto di quello che non si può trovare.
Per quanto riguarda la seconda domanda, ritengo sia sufficiente agire con la ‘mente’ dello storico e in base alle necessità proprie della ricerca storica. Sebbene i materiali on line siano spesso
privi di un contesto filologico, poiché non sono stati creati a fini storiografici, non per questo vanno ignorati. Piuttosto, quando ricorriamo al Web per fare ricerca, è indispensabile adottare un
metodo critico appropriato.
D’altra parte, è ciò che lo storico deve fare a prescindere dalle fonti che intende utilizzare; o più precisamente, ogni tipo di fonti richiede un peculiare e adeguato approccio critico. Torneremo in seguito su tale questione metodologica. Per ora, è forse il caso di accennare a una strategia di ricerca che sembra particolarmente efficace nel Web, quasi fosse connaturata nel concetto stesso di navigazione in rete: ne hanno già segnalato le potenzialità Stefano Vitali [2], recentemente, e prima ancora Carlo Ginzburg [3]. Mi riferisco alla serendipity...
...ovvero alla possibilità, o alla capacità, di scoprire, un po’ per caso e un po’ per abilità, cose che non si stanno cercando. In effetti, è abbastanza frequente viaggiare nel Web senza sapere con precisione cosa si cerca, ma trovando comunque qualcosa che ci serve, o che ci fornisce idee, spunti, informazioni utili. In altri termini, il Web permette di trovare cose pertinenti alla ricerca che si sta svolgendo anche in modo più o meno casuale, non sistematico. Rimane fondamentale, però, sapere che tipo di contributi il Web offre al lavoro dello storico. Sostanzialmente, tali contributi possono essere raggruppati in tre distinte categorie: servizi (anche per la didattica della storia), storiografia, e fonti.
Partiamo dai servizi: potrebbe illustrarci qualche esempio?
Uno dei principali servizi a disposizione sul Web è costituito dall’insieme dei portali utili per scoprire siti di storia: molti sono portali generici, ma esistono anche diversi portali che
presentano strumenti di ricerca specifici per la storia, le discipline umanistiche in generale o le scienze sociali. È il caso del progetto World Wide Web Virtual Library History Central Catalogue,
nato all’Università del Kansas nel 1993 poco dopo la prima biblioteca elettronica con materiali storici chiamata Carrie
(<http://vlib.iue.it/carrie/index.html>) e grazie alle intuizioni del medievista Lynn H. Nelson. Dall’aprile 2004 il WWW-VL
History Central Catalogue (<http://vlib.iue.it/history/index.html>) è stato transferito presso il dipartimento di storia e la biblioteca dell’Istituto universitario europeo di Firenze
[4]. Oppure, per fare altri esempi, è il caso di Humbul Humanities Hub
(<http://www.humbul.ac.uk/history/>), di Renardus (<http://www.renardus.org/>), di Clio (<http://www.clio-online.de/>), o di Sosig ( <http://www.sosig.ac.uk/>),
acronimo di Social Science Information Gateway, portale dedicato espressamente alle scienze sociali.
Un servizio di cui nessuno che si occupa di storia può fare a meno è fornito da Matrix - Matrix esiste davvero, non solo nei film! -, un supercomputer dell’Università di Chicago. Una delle sue
applicazioni è l’History Network (<http://www.worldhistorynetwork.org/dev/>), un sito che comprende soprattutto delle
liste di discussione specializzate, e offre quindi la possibilità di dialogare direttamente tra storici e di ricevere informazioni pertinenti per la ricerca e l’insegnamento della storia.
Un altro tipo di servizi, e sicuramente il più utilizzato, è rappresentato dalle banche dati bibliografiche. Tra gli innumerevoli opac e meta-opac, ne citiamo uno per tutti: il Karlsruher Virtueller Katalog (<http://www.ubka.uni-karlsruhe.de/kvk.html>), nel quale confluiscono cataloghi di
biblioteche di lingua tedesca e molti opac di biblioteche nazionali di vari paesi.
Esistono inoltre delle enciclopedie interattive: la più nota è probabilmente la Wikipedia
(<http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale>), che alcuni hanno definita attendibile quanto l’Enciclopedia britannica … anche se molte precauzioni devono essere prese prima di utilizzare
contenuti disponibili ormai in molte lingue, tra le quali l’italiano, e di servirsene in ambito storiografico.
Si può considerare un ulteriore servizio - sebbene, forse, ancora scarsamente sviluppato - anche l’e-learning?
L’e-learning, ovvero la didattica on line, è un servizio che ha sicuramente grandi potenzialità di evoluzione, tanto da rappresentare un ambito a sé, una quarta categoria che si va a sommare alle tre indicate in precedenza. Fra l’altro, le lezioni a distanza erogate attraverso il Web, se costruite con modalità proprie, potrebbero contribuire a risolvere alcuni problemi delle università italiane e in particolare delle facoltà umanistiche: in primo luogo, quello della scarsa frequenza alle lezioni dal vivo, poiché i corsi on line potrebbero raggiungere almeno una parte di quegli studenti che, per vari motivi, non possono seguire l’abituale didattica in aula. È vero che i docenti universitari appaiono ancora piuttosto restii a sperimentare forme di insegnamento mediate dal computer e della rete. Credo tuttavia che la pressione delle nuove generazioni di studenti potrà essere decisiva nel far superare al corpo accademico tale ritrosia. Anche perché - per rimanere nel campo delle discipline storiche - stanno già proliferando sul Web materiali storiografici alternativi, cioè non accademici, spesso discutibili: la compresenza di oggetti storiografici amatoriali, divulgativi e scientifici nella rete di storia è un fatto ormai sedimentato. Questo ci obbliga a essere consapevoli che la storia in rete è anche nelle mani di chi non appartiene agli ambienti degli storici di professione e che il sapere storico viene già e verrà comunque prodotto in rete, anche se le comunità accademiche continueranno a latitare. In Italia l’apporto storiografico scientifico in rete non viene direttamente dalle sedi universitarie ma dalle società di storici e da gruppi di accademici che hanno creato dei siti web pionieristici come Reti medievali (<http://www.retimedievali.it/>), la Sissco (<http://www.sissco.it/>), o la Sisem (<http://www.stmoderna.it/aspfiles/index.asp>).
Ci stiamo così addentrando nel secondo ambito di contributi che la rete mette a disposizione di chi è interessato alla storia: qual è il panorama della storiografia digitale?
Ho tracciato recentemente un quadro della “nuova storiografia digitale” - intesa come un particolare genere storiografico che senza l’utilizzo della rete non potrebbe esistere - analizzando i
progetti più innovativi, realizzati da alcuni storici statunitensi [5]. Tra questi, Robert Darnton con il suo studio sugli albori della comunicazione politica
contemporanea nella società parigina di fine XVIII secolo (An Early Information Society: News and the
Media in Eighteenth-Century Paris, <http://www.historycooperative.org/journals/ahr/105.1/ah000001.html>) e Edward L. Ayers con un lavoro dedicato al topos per eccellenza della
storiografia americana, la guerra civile (The Valley of the Shadow. Two Communities in the American Civil War,
<http://valley.vcdh.virginia.edu/>). Apparse in rete tra il 1999 e il 2000, si tratta di due opere pionieristiche: la prima sfrutta la multimedialità, mettendo in relazione il testo del
saggio con diverse tipologie di documenti, come l’iconografia urbana della Parigi del Settecento o le canzoni politiche dell’epoca, interpretate per l’occasione da una cantante d’opera; la seconda
introduce un grado maggiore di complessità nell’elaborazione di una storiografia digitale, sia attraverso uno stretto rapporto tra libro, CDROM e sito, sia proponendo sul sito vere ricostruzioni
storiche in movimento (per esempio, gli spostamenti virtuali dei reggimenti nordisti e sudisti direttamente evidenziati sulla mappa del territorio).
Altre esperienze interessanti si sono avviate nel campo della storia urbana e sono state promosse ancora dall’«American Historical Review» - si pensi al saggio di Ethington su come accedere alla
storia urbana di Los Angeles [6]. Un campo, questo della storia urbana, che probabilmente si presta in modo particolare al formato digitale, poiché esso
consente di proporre elaborazioni che sarebbero irrealizzabili su supporti tradizionali.
Ma si noti che questa “nuova storiografia digitale” americana ha coinvolto soprattutto storici accademici, molto più propensi a utilizzare le risorse delle rete rispetto ai loro colleghi europei,
tanto da dar vita anche a una cooperativa: l’History Cooperative (<http://www.historycooperative.org/>), che finora ha
promosso due importanti progetti. Uno, in collaborazione con l’American Council of Learned Societies (<http://www.acls.org/>), è l’History e-book (<http://www.historyebook.org/index.html>), una biblioteca digitale, accessibile con un modesto pagamento, che
offre non solo la digitalizzazione di libri fuori dal commercio e dai diritti d’autore, ma anche una cosidetta Frontlist, ovvero libri che recepiscono l’idea di una storiografia espressiva
attraverso le proprietà mediatiche del web. L’altro, in collaborazione con l’American Historical Association
(<http://www.historians.org/index.cfm>), si chiama Gutenberg e-prize
(<http://www.historians.org/prizes/gutenberg/index.cfm>) e raccoglie una selezione delle migliori tesi di dottorato.
E in Italia? Abbiamo qualche esperienza analoga?
Premesso che, nonostante gli esempi citati, anche negli Stati Uniti lo sviluppo della “nuova storiografia digitale” si è attualmente un po’ arenato, in Italia non sono ancora visibili grandi
risultati in tale direzione. Semmai, le esperienze più significative sono prodotte non dai contemporaneisti - che, nel sito della Sissco, a metà del 2006 hanno proposto di offrire ai loro soci di
pubblicare in una biblioteca digitale (<http://www.sissco.it/saggi/>) versioni PDF di libri o saggi senza un preciso piano editoriale
- ma dai medievisti, come nel caso di Retimedievali (<http://www.retimedievali.it/>), o dai modernisti, con i saggi resi disponibili
nel sito di Storia moderna (<http://www.stmoderna.it/aspfiles/saggi.asp>).
Diverso invece è il discorso per quanto riguarda le riviste storiografiche on line, che sono piuttosto diffuse anche nel contesto italiano, con differenti tipologie di fruizione. In linea di
massima, si possono distinguere due modelli di fruizione: uno è quello anglosassone (si pensi al Project Muse,
<http://muse.jhu.edu/journals/>), basato su aggregatori commerciali di riviste cartacee che vengono messe in rete e sono ‘scaricabili’ a pagamento. L’altro modello, continentale e francese
(si pensi a Persée, <http://www.persee.fr/>, a Revues, <http://www.revues.org/>,
o a Cairn, <http://www.cairn.info/accueil.php?PG=START>), è invece basato su portali che propongono riviste
consultabili in rete, in modo gratuito o, solo parzialmente, a pagamento. Ma esistono anche singoli progetti interamente digitali e gratuiti: per l’Italia, oltre a «Storicamente», possiamo
ricordare «Storia e futuro» (<http://www.storiaefuturo.com/>) o «Cromohs» (<http://www.cromohs.unifi.it/>), tutte riviste in un singolo sito e non aggregate dai portali di editori come Rivisteweb (<http://www.mulino.it/rivisteweb/index.php>) per le riviste del Mulino o il sito della Franco Angeli Riviste (<http://www.francoangeli.it/riviste/Default.asp>).
Va ribadito, inoltre, che la storiografia presente in rete spesso non è una storiografia controllata dagli ambienti accademici o da gruppi di storici professionisti, ma una storiografia amatoriale. E non sempre i risultati sono deprecabili: anzi, in alcuni casi si tratta di siti di buon livello. Ne è un esempio Trento in Cina (<http://www.trentoincina.it/>), realizzato da due ingegneri italiani che hanno recuperato, digitalizzato e contestualizzato documenti del padre, marinaio sull’incrociatore Trento, salpato nel febbraio 1932 per raggiungere Shangai. In generale, il panorama storiografico sul Web è dunque molto vario e complesso. Alle esperienze fin qui indicate, si possono aggiungere sia i numerosi siti a carettere divulgativo, sia quelli dedicati alla memorialistica, a metà strada tra l’elaborazione storiografica e la raccolta di fonti, come il sito dell’Archivio diaristico nazionale (<http://www.archiviodiari.it/>) di Pieve Santo Stefano (Ar).
Eccoci, dunque, al capitolo relativo alle fonti: anche da questo punto di vista il Web offre allo storico varie opportunità?
Non c’è dubbio, se non altro per la possibilità di consultare sia archivi ‘inventati’, nel senso che non esistono in alcun luogo fisico, come il September 11 Archive (<http://www.septembereleven.net/index.html>), che testimonia come gli storici del domani dovranno confrontarsi quasi esclusivamente con le fonti
digitali; sia archivi di meta-fonti, che raccolgono cioè riproduzioni digitali di documenti realmente conservati, rendendoli quindi più facilmente accessibili, come l’American Memory (<http://memory.loc.gov/ammem/index.html>), o il francese Gallica (<http://gallica.bnf.fr/>), o, in Italia, gli archivi audiovisivi delle Teche Rai
(<http://www.teche.rai.it/>) e dell’Istituto Luce (<http://www.archivioluce.it/>), o i molti progetti digitali della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (<http://www.bncf.firenze.sbn.it/progetti/index.html>).
È del tutto evidente che la rete permette ai media contemporanei di esprimersi al massimo, poiché è possibile digitalizzare ogni prodotto, compresi naturalmente quelli audiovisivi. Tuttavia, anche
qui, come quando parlavo delle diverse storiografie presenti nella rete, non sempre si tratta di documenti ‘nobili’, architettati con rigore filologico: è un discorso che riguarda soprattutto le
fotografie che si trovano sul Web, che - tranne negli archivi strutturati e catalogati o nei progetti scientifici accademici che descrivono con precisi meta-dati il materiale fotografico
disponibile (si pensi per esempio al progetto Imago, <http://www.imago.rimini.unibo.it/>) - non sono quasi mai archiviate
secondo criteri ‘storiografici’ (autore, luogo, data, ecc.). Ma essendo le fotografie sul Web spesso prive di un apparato filologico di riferimento, lo storico che intende servirsene è obbligato ad
analizzare criticamente i contesti di rete nei quali vengono inserite le fotografie. Le immagini rimangono documenti utili da un punto di vista storiografico; ma acquisisce importanza soprattutto
il sito che le contiene, che rappresenta il contesto che plasma il senso stesso delle fotografie. L’analisi del sito diventa quindi fondamentale per la comprensione delle singole fotografie, e più
in generale di tutti i documenti digitali inseriti nei siti.
Come si possono utilizzare allora le immagini presenti sul Web?
A mio parere, vanno utilizzate dichiarando semplicemente dove si trovano, ma con un approccio critico, che tenga presente che non si possono isolare le immagini dal resto del sito, che tutto il
corredo alle fotografie costituisce un documento per la storiografia. Si tratta di analizzare l’intero contesto di diffusione e comunicazione delle immagini [7].
D’altra parte, come abbiamo già detto, l’analisi di qualsiasi sito richiede l’applicazione di un metodo critico appropriato al medium. A tal fine, già negli anni Novanta sono stati individuati, da
bibliotecari e documentaristi, alcuni criteri analitici e descrittivi fondamentali, come l’accuracy, l’authority, l’objectivity, la currency e la
coverage. In seguito, altri sono stati introdotti e revisionati di recente, nel corso di un’indagine sulla sitografia italiana di storia contemporanea [8]: l’utilizzabilità, la trasparenza, la conservazione e la stabilità dei siti, oltre alla definizione di una grammatica capace di carpire la specifica fisionomia mediatica della
rete e dell’ipertesto. Ma si tratta di un insieme di criteri ancora in via di definizione. Per ora, vorrei concludere con l’invito a pensare il nuovo medium ricorrendo a una semiotica della
comunicazione attraverso la rete, per verificare innanzitutto quanto questo medium possa trasformare il senso di tutti i contenuti che presenta. Torniamo così all’idea che siamo di fronte a un
medium di convergenza degli altri media; e in quanto tale, a un medium che ridefinisce il senso di tutti gli altri media.
Note
[1] A. Cristofori, Informatica umanistica e obiettivi didattici, «Storicamente», 1, 2005,
http://www.s
toricamente.org
/04_comunicare/
formazione
/cristofori.htm.
[2] S. Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Milano, Bruno Mondadori, 2004, 84-88.
[3] C. Ginzburg, Conversare con Orion, «Quaderni storici», n.s., 108, 2001, 905-913.
[4] Su tale progetto, cfr. F. Chiocchetti, Sentieri telematici. Il “WWW Virtual Library History Central Catalogue”, «Contemporanea», 1, 2006.
[5] S. Noiret, La “nuova storiografia digitale” negli Stati Uniti (1999-2004), «Memoria e ricerca», n.s., 18, 2005, 169-185, al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti.
[6] P.J. Ethington, Los Angeles and the Problem of Urban Historical Knowledge. A Multimedia Essay to Accompany the December Issue of The American Historical
Review, published by the historycooperative.org December 2000 http://cwis.usc.
edu/dept/LA
S/history/
historylab/
LAPUHK/
index.html.
[7] Cfr. S. Noiret, Immagini in rete di un’esecuzione: Beit Hanina, Gerusalemme, 8 marzo 2002, «Memoria e ricerca», n.s., 20, 2005, 169-195.
[8] A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo, S. Vitali (eds.), La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti di storia contemporanea 2001-2003, Bologna, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Pàtron, 2004.