In questo breve saggio vorremmo suscitare alcune suggestioni per la ricerca nell'ambito della storia della “comunicazione dal basso” in Italia
concentrandoci su alcuni emblematici casi di radio libere e di tv di strada, dagli anni ’70 ad oggi. Si tratta di esperienze che hanno intrapreso coscienti e consapevoli percorsi di scoperta del
senso profondo del comunicare contrapponendosi alle dinamiche del dominio e della “trasmissione”. Ci riferiremo in particolare al pensiero e all'impostazione critica di Danilo Dolci per precisare
l'entità e le possibilità messe in campo da queste proposte.
Vorremmo partire dalla definizione di «comunicazione dal basso» per proporre subito alcune precisazioni e puntualizzazioni fondamentali, in quanto l'espressione può risultare ambigua e non
pienamente comprensibile. È importante chiedersi se possa esistere una «comunicazione dal basso» contrapposta quindi ad una «comunicazione dall’alto» o se piuttosto essa non sia un'espressione
mistificatoria e poco chiara dal punto di vista epistemologico.
Trasmettere e comunicare nel pensiero e nell'azione di Danilo Dolci
Non si tratta di una riflessione velleitaria e neppure formale ma di un nodo concettuale di centrale importanza per una piena comprensione storica del fenomeno e che vorremmo sviluppare riprendendo
alcuni elementi che emergono dal pensiero e dall'azione di Danilo Dolci, uno dei principali fondatori della cultura non-violenta in Italia. Fu una personalità che, pur non ricevendo grandi
attenzioni in Italia all'epoca del suo operare nella dimenticata Sicilia (dagli anni ’50 alla fine del secolo appena trascorso) riuscì a costruire una rete di collaboratori, intellettuali e non,
che si interrogarono in profondità sul senso del comunicare e sulle sue implicazioni sociali, politiche e quindi umane. Nella sua ultima opera, Comunicare, legge della vita, la bozza di
manifesto che egli propose sul tema del comunicare venne sottoscritta da decine di intellettuali di ogni parte del mondo, da Noam Chomsky a Rita Levi Montalcini, contribuendo a rinforzare il
dibattito critico mondiale su queste tematiche. Egli fu poi educatore instancabile che in Sicilia fondò centri di studio e scuole per concretizzare il suo metodo educativo e critico.
Egli attivò inoltre nel 1970, in Sicilia, Radio Libera Partinico per denunciare i ritardi dello Stato nel portare soccorso alle popolazioni terremotate del Belice. Fu una delle prime significative
esperienze di radio libere in Italia, se si escludono i limitati e temporanei tentativi provenienti dal mondo dei radio-amatori negli anni ’50. Così ne parla Carlo Gubitosa, giornalista freelance,
attivista e studioso della comunicazione dal basso in Italia:
Il 25 marzo 1970 è una data che segna un punto di non ritorno nella storia della comunicazione italiana: in quel giorno intorno alle 19.00 circa, per la prima volta, il segnale di “Radio Libera Partinico” rompe il monopolio di stato sulle trasmissioni via etere con un forte messaggio di denuncia del potere mafioso e clientelare che aveva attinto a piene mani dai soldi destinati alla ricostruzione della Valle del Belice dopo il terremoto del 1968 [1].
Tale emittente restò attiva per 27 ore prima di venire oscurata dalla polizia postale, ma da questo breve periodo di azione come illustrò nel settembre 1970 a sei mesi di distanza Franco Alasia, un collaboratore all'iniziativa, scaturirono dei primi importanti risultati per la rinascita di quelle zone devastate: «La pressione esercitata nei giorni 25 e 26 marzo [...] ha avuto nel complesso notevole ripercussione. Giornali e televisioni in Italia e all'estero, si sono largamente interessati sui problemi della zona terremotata (...)» [2]. In uno dei testi che vennero letti alla radio nel breve periodo di attività dell'emittente è detto significativamente:
Questa è la radio della nuova resistenza: abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati. La voce di chi è più sofferente, la voce di chi è in pericolo, di chi sta per naufragare, deve essere intesa e raccolta attivamente, subito, da tutti. (...) Vogliamo che la cultura locale si sviluppi, si apra, si costruisca giorno per giorno sulla base della propria esperienza [3].
Ecco quindi emergere concretamente quanto Danilo Dolci e i suo collaboratori intendono per comunicazione: la bi-direzionalità, la possibilità aperta a tutti (anche ai contadini delle zone più
povere d'Italia e a coloro che solitamente non hanno possibilità di esprimersi) di parlare, di farsi ascoltare e ottenere risposta: «La voce di chi è più sofferente (...) deve essere intesa e
raccolta attivamente» [4]. Questo pensiero appare chiaro ed evidente nelle sue opere, in particolare nel testo Dal trasmettere al comunicare,
pubblicato nel 1988 [5] e in Comunicare, legge della vita, edito nel 1997 [6].
Egli sostiene che la comunicazione debba essere sempre un processo bidirezionale in cui non vi sia una emittente attiva e un ricevente passivo, in cui non vi sia dunque un "alto" e un "basso".
Spiega infatti:
Ma una delle falsità più diffuse e sconvolgenti nelle più diverse lingue (...) è chiamare comunicazioni le trasmissioni. Il trasmettere è uno spedire che sovente ignora chi riceverà. Il comunicare presuppone partecipazione personalizzata, attiva nell'esprimere e al contempo nell'ascoltare, nel ricevere [7].
E ancora ribadisce «Prima di "criticare la cultura di massa da destra o da sinistra" è fondamentale, prioritario, riconoscere quanto sia falso indicare i media unidirezionali come strumenti di un
"processo di comunicazione"»[8]. Condividendo pienamente le affermazioni di Danilo Dolci riconosciamo quindi una
certa difficoltà nell'utilizzo dell'espressione «comunicazione dal basso» intendendo appunto la comunicazione come un processo sempre bidirezionale, di «reciproco adattamento creativo» e che quindi
non prevede gerarchie di "bassi" e "alti".
Riteniamo però che tale espressione abbia un'utilità provvisoria, “di lavoro”, nel permettere di focalizzare e spiegare l'oggetto della nostra ricerca, funzione che ne giustifica in qualche modo
l'utilizzo in questo contributo. La ricerca che stiamo sviluppando è infatti intenzionata a focalizzare l'attenzione, per quanto possibile, sulle possibilità di un uso veramente “comunicativo” e
“comunicante”, cioè bidirezionale, di alcuni media comunemente invece utilizzati in maniera uni-direzionale e massificante per poter quindi tracciare possibili percorsi per una storiografia di tale
utilizzo. Ci interessa dunque un modo di praticare media che possiamo definire, per comodità, “dal basso” in quanto tali strumenti vengono in questi casi adoperati per comunicare, per interagire in
maniera bi-direzionale, multi-direzionale e non secondo canali unici e prestabiliti. Queste tensioni ad una comunicazione bidirezionale in Italia sono state in parte praticate nelle esperienze di
alcune radio libere negli anni ’70, nelle prime esperienze di tv via cavo e comunitarie, nel fenomeno della comunicazione su Internet sviluppatosi a partire da metà degli anni ’90 e, per quanto
riguarda la nostra ricerca, nel caso delle tv di strada.
Potere e dominio
A questa prima importante precisazione sui significati e gli usi di "trasmettere" e "comunicare" si può accostare utilmente un altro chiarimento che ci proviene sempre dalla riflessione di Dolci:
il differente senso delle parole “potere” e “dominio”. In particolare nella sua opera Comunicare, legge della vita egli propone un capitolo introduttivo intitolato Anatomia
lessicale-concettuale dove invita a scendere nei significati di alcune espressioni quali "comunicare", "dominio", "potere", "interesse", "autonomia", ecc. per poterne chiarire le possibilità
di utilizzo e i tentativi invece di mistificazione e di falsificazione che con un loro uso improprio possono affermarsi. Distingue dunque tra “potere” e 'dominio' evidenziando che
Come sostantivo, potere indica «potenzialità», «forza», «virtù», «facoltà di operare», «attitudine ad influenzare situazioni», «quanto è consentito dalla volontà e dalla disponibilità del soggetto». Imparare ad esprimere il potere personale è per ognuno un bisogno, pratico ed intimo, a diversi livelli, connesso all'esigenza di essere creativo [9].
E ancora «Il potere personale o di gruppo, come la libertà, valorizza la propria forza vitale fin dove inizia la profonda necessità dell'altro, degli altri, e in collaborazione con l'altro. Quando pretende sottomettere l'altro, diviene dominio» [10]. Il dominio dunque si configura come la «malattia del potere» [11], come un uso improprio delle potenzialità dell'essere umano. Si tratta di una prospettiva che, al di là dei vocaboli, vuole ribaltare un’immagine e un quadro affermato della realtà che riserva a pochi la possibilità di trasmettere unidirezionalmente per dominare e a tanti non riconosce il diritto di realizzare il proprio desiderio di comunicare. Come vedremo ad esempio nell'esperienza della tv di strada Disco Volante, emittente realizzata in parte da disabili, la richiesta esplicita di potere («Vogliamo il potere» è uno dei loro slogan) è stata alla radice del loro fare televisione di strada.
La tv del Pratello-Bologna, primi anni '90
Con l'espressione “tv di strada” ci si riferisce ad un complesso di esperienze, sviluppatesi in Italia (ma vi sono analogie con casi esteri, specialmente europei) talvolta accompagnate da intense
riflessioni teoriche e ideologiche che, riprendendo alcune delle idee e delle tensioni alla base dello sviluppo del fenomeno delle radio libere, hanno intrapreso la sperimentazione di nuove forme
di “comunicazione reale” attivando micro-televisioni in svariate località del territorio italiano, sfruttando vuoti legislativi e differenti interpretazioni della materia giuridica relativa. Si
tratta certamente di esperienze di "nicchia" ma che sul piano simbolico e concettuale diventano strumento utile per leggere le più ampie dinamiche della storia e della società contemporanea.
Le micro-tv italiane si propongono sovente come provocazioni a quella che è la struttura dominante del monopolio radio-televisivo, struttura che in gran parte ha assorbito e irrimediabilmente stravolto gli slanci di democrazia provenienti dall'esplosione delle radio libere negli anni ’70 e che ha reso, nel breve volgere di pochi anni, la liberalizzazione dell'etere uno strumento al servizio quasi esclusivo di interessi commerciali e monopolistici. Una prima interessante esperienza, che ha inteso, pur nella sua estrema limitatezza, suscitare un certo dibattito, è stata l'esperienza della tv del Pratello, sviluppatasi a Bologna nel 1992 i cui promotori, in un articolo uscito sulla rivista underground «Decoder» [12] tre anni dopo, sintetizzarono ed espressero in maniera quasi programmatica un progetto di lotta «per la ridiscussione della completa privatizzazione dell'etere pubblico». Così raccontarono nell'articolo:
Si è trattato in sostanza dell'attivazione di una micro-televisione (Prate-Tv) di quartiere allestita e gestita per circa una settimana in occasione della festa del quartiere. Si è potuta allora, pur con tutti i limiti, verificare se non altro la possibilità concreta di un'iniziativa di questo genere. [...] La fascinazione subita in quell'occasione ha fatto sì che nel territorio bolognese si continuasse in seguito a ragionare sulla possibilità di tentare l'apertura di una emittente stabile [13].
Le conclusioni furono così espresse:
Su questa base riteniamo che le reti (di collaboratori alle esperienze di micro-tv; nota del curatore dell'articolo) possano scambiare abbondante materiale: da produzioni, a idee di produzione, a semplici elementi di riflessione: le reti si potranno mettere in rete. Speriamo inoltre che il fiorire di molte esperienze porti alla ribalta la necessità di una ridefinizione del quadro legislativo, che da una singola vertenza si possa passare ad un coordinamento di lotta per la riforma che permetta una ridiscussione dello stato di completa privatizzazione dell'etere pubblico. Nessuno di noi ha risposte e modelli pronti all'uso. La circolazione delle idee è ora necessaria [14].
In questo testo sono espresse alcune delle dinamiche che porteranno poi negli anni successivi ad un fermento più ampio che troverà espressione nel fenomeno Telestreet e in altre esperienze: la necessità di reagire alla situazione drammatica data dalla privatizzazione e dal monopolio dell'etere, anche intervenendo sul piano legislativo; l'importanza del fare rete e della circolazione di idee, circolazione del “saper fare” e dei materiali.
Diffusione di Internet in Italia e logiche della “comunicazione di rete”
La possibilità di far rete ha ricevuto un'amplificazione notevolissima con la diffusione di Internet avvenuta in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’90.
La rete Internet, nella sua accezione profonda di luogo di comunicazione e di scambio reciproco, attecchì inizialmente, oltre che nell'ambito della ricerca universitaria e nel mondo delle imprese,
proprio nel contesto delle cyberculture italiane, già avvezze all'uso di BBS [15] e, pur in maniera assai limitata, di sistemi videotel [16].
A riguardo nacque presto una riflessione sull’uso interattivo dei nuovi media che avrebbe potuto coinvolgere e trasformare in qualche modo anche strumenti tradizionali come la televisione.
Esemplare a riguardo è stata l’esperienza di Virtual Town Television [17], una BBS-televisione interattiva in rete telematica, fondata nel 1994 da Tommaso
Tozzi e altri hacker-artisti nell'ambito dell'iniziativa «Strano Network». Da alcuni dei fondatori e collaboratori di questa esperienza è poi nata nel 2005 Virtual Town TeleVision, telestreet
realizzata insieme agli studenti dell’Accademia delle arti di Carrara.
Specie nell'ambito della pratica sperimentale e avanguardistica non si possono trascurare le svariate esperienze raccontate in maniera esaustiva da Tatiana Bazzichelli in Networking Art,
un’efficace storia, forse la prima, del networking artistico in Italia, dove vengono presentate svariate esperienze che negli anni ’90 elaborano proprie riflessioni e sperimentazioni sull'uso
alternativo e 'comunicativo' dello strumento video, nell'ottica del «Do your own television».
Dalle cyberculture e dal mondo hacker e artistico le profonde potenzialità comunicative esprimibili attraverso la rete Internet e la sua integrazione con altri media si espandono poi,
negli anni successivi, quando la rete diventa uno strumento diffuso sempre più in tutta Italia, pur continuando a mantenere profonde disuguaglianze e disparità nella sua distribuzione quantitativa
e qualitativa. Sono in questo caso le politiche commerciali dei grandi providers, i processi di liberalizzazione delle telecomunicazioni e il boom della Net Economy a fare da molle
potenti, anche se spesso labili ed effimere.
Nel nuovo millennio si diffonde quindi l'imperativo della banda larga quale strumento sempre più utile per comunicare contenuti multimediali attraverso la rete.
Seppur promossa, tale tecnologia, in particolare dai grandi produttori di contenuti multimediali e dalle varie imprese di telecomunicazioni, con l'intenzione di trasmettere contenuti a pagamento e
sovente con l'intento di trasformare la rete in una sorta di grande televisione mondiale, la banda larga è stata usata fin da subito con particolare intensità da tutte quelle persone connesse in
rete e intenzionate a scambiare orizzontalmente contenuti e materiali, spesso autoprodotti.
Così i blog sono diventati serbatoi di materiali anche multimediali, quali video immagini e suoni e i programmi peer to peer [18] hanno
conosciuto una diffusione sempre più ampia. Al giorno d’oggi esistono enormi raccoglitori di materiale video autoprodotto, come ad esempio YouTube, con milioni di utenti che mostrano come si stia davvero affermando una nuova realtà di elaborazione e trasmissione dei contenuti la quale, anche se non necessariamente è
comunicazione [19], rivela comunque un profondo cambiamento in quelli che sono i rapporti di produzione e consumo di informazioni: è significativo a riguardo
che si sia gradualmente affermato, a livello culturale, il concetto di Pro-Sumer [20].
Nascita e sviluppo del circuito Telestreet
Queste possibilità tecnologiche costituiscono alcuni degli ingredienti di base per progetti, come quello delle tv di strada italiane, intenzionati a generare e sperimentare forme di reale
comunicazione attraverso i media. In particolare in Italia molte di queste esperienze si sono sviluppate attraverso il progetto Telestreet [21], nato nel
corso del 2002 con l'intenzione di costituire una rete, un network (non nel senso dei network commerciali) di micro-emittenti locali (i territori di riferimento sono la strada, al massimo il
quartiere) accomunate dal rifiuto di logiche commerciali e dall'intenzione di costruire spazi aperti di discussione e confronto, nuove piazze dove sperimentare democrazia. Caratteristica essenziale
di questo network è appunto la possibilità di condividere attraverso Internet e la banda larga i contenuti video prodotti dalle varie emittenti permettendone la redistribuzione e la libera
ritrasmissione da parte di qualunque altra telestreet. Il progetto nasce sulla spinta di Orfeo tv e del gruppo di mediattivisti che
vi ruota attorno, tra cui si distinguono personalità quali quelle di Franco Berardi e di Giancarlo Vitali, che avevano in passato sviluppato e sostenuto esperienze di radio libere, in particolare
Radio Alice a Bologna nel ’77. Nel 2002 i manifesti e i documenti programmatici che spiegarono e lanciarono pubblicamente l'idea del circuito avevano come esplicita intenzione la volontà di
contrastare il “regime mediatico” costituito dalla tv di Stato e dalle tv private, in particolare quelle dipendenti dal presidente del Consiglio [22]. Così si
legge in uno dei primi «fogli di agitazione»:
Tutti sanno che in Italia si è instaurata una dittatura televisiva. Grazie al dominio del mediascape un mascalzone si è impadronito del potere politico. E grazie al potere politico alimenta il suo sistema di potere comunicativo. Non c'è via d'uscita. Molti temono che sia destinato a dominare in eterno. Invece non è così. Perché la televisione è morta. L'energia della comunicazione sociale si sta trasferendo in un'altra direzione. La direzione è quella della rete. Ma la maggioranza della popolazione italiana riceve dallo schermo televisivo una parte dominante dei segnali che influenzano il cervello sociale. Dentro quello schermo noi dobbiamo portare il messaggio, e interconnetterlo con la rete. Il nostro compito nell'immediato futuro è quello di connettere il circuito delle produzioni audiovisive con un reticolo territorializzato (quartiere per quartiere) di microtrasmettitori a corto raggio. E dunque, per prima cosa, occorre costruire questo reticolo. Lo chiameremo TELESTREET [23].
Le tv di strada, seguendo l'iniziativa di Orfeo Tv, cominciarono a trasmettere utilizzando, per quanto riguarda l'aspetto tecnologico, i “coni d'ombra”, ristretti spazi dell'etere non sfruttati da altre emittenti a causa di barriere naturali o artificiali, ma che per le limitate emissioni delle telestreet che interessavano l'area di un quartiere o di una strada erano più che sufficienti. Parallelamente, sul piano giuridico e legislativo tali iniziative si appoggiarono a buchi nelle leggi sulle telecomunicazioni, in quanto da esse non erano mai state previste attività di trasmissione per ambiti così ristretti. Come spiega Fabrizio Manizza, uno dei fondatori della tv di strada di disabili, Disco Volante, di Senigallia:
Si trattava di sfruttare i “buchi” negli apparati di controllo del potere mediatico e televisivo, per avviare delle pratiche alternative e assolutamente libere da controllo. Questa strategia trova del resto oggi attuazione, in forme ogni volta originali, in diversi campi del sapere e della produzione/riproduzione della vita materiale. Nel caso delle telestreet i “buchi” che si potevano sfruttare erano almeno di duplice natura: “buchi” di natura tecnica e “buchi” di natura legislativa [24].
In questo caso la “pirateria”, il ricorrere a buchi e “coni d'ombra”, diventa stratagemma fondamentale di sopravvivenza nelle nuove dinamiche della comunicazione di rete nel mondo contemporaneo
[25].
È proprio il caso della tv di strada Disco Volante forse quello che in maniera più significativa ci permette di evidenziare alcuni interessanti scorci sul tema del rapporto tra
comunicazione-potere-dominio. Particolarmente utili risultano a riguardo alcune considerazioni che la ricercatrice Alessandra Renzi propone nel suo saggio Disco Volante Tv: volontà di
espressione tra cultura e politica [26]. Riconoscendo l'unidirezionalità dell'utilizzo del mezzo televisivo in Italia afferma:
Al contrario, i coni d'ombra delle onde radio italiane rappresentano lo spazio fisico ed il campo sociale metaforico in cui alcuni soggetti che non possono accedere agli spazi televisivi convenzionali si ritagliano a fatica un proprio spazio nell'ambito della comunicazione. Tutto ciò non avviene soltanto per opporsi alla televisione convenzionale, ma piuttosto per creare una nuova dimensione in cui sia possibile affrontare problematiche che altrimenti verrebbero ignorate dal modello dominante [27].
La vicenda di Disco Volante è emblematica al riguardo. Essa è nata all'interno di una associazione di Senigallia, Studio Zelig, che promuove l'accesso agli strumenti di espressione e comunicazione da parte delle persone disabili. E quindi vari servizi nascono da queste persone che in tal modo esprimono le loro esigenze e desideri e, ancor più, se stessi tramite uno strumento ordinariamente a loro precluso. E questo nel caso della città di Senigallia è stato recepito in vario modo, talvolta con indifferenza, talvolta con una certa attenzione, come dimostra il caso in cui l'amministrazione comunale cittadina è giunta a rimuovere barriere architettoniche segnalate da un video ideato e recitato da Franco Civelli, una di queste persone disabili [28].
Il caso Disco Volante si rivela inoltre molto interessante perchè questa micro-tv è stata oscurata per un certo tempo (dalla fine del 2003 ai primi mesi del 2005) dai funzionari del Ministero delle Comunicazioni che ne hanno posto sotto sequestro le apparecchiature di trasmissione televisiva ritenendola colpevole di infrangere le norme dell'attuale legislazione radio-televisiva. L'emittente però, dopo un lungo processo è stata riabilitata in quanto «non crea interferenze alle trasmissioni degli impianti soggetti a concessione, andando quindi a collocarsi nei cosiddetti coni d'ombra per il ridottissimo raggio d'azione delle emissioni» (dagli atti processuali). In questo modo, anche a livello politico e non solo culturale Disco Volante ha svolto un ruolo, seppure nei limiti della propria esperienza o forse proprio grazie ad essi, di significativo rilievo. Come dunque riconosce Alessandra Renzi:
Nel complesso, mettendo in rilievo la necessità di nuove pratiche culturali e sociali le televisioni di strada portano alla luce la complessità delle strutture di potere presenti nella nostra società. Da un lato, progetti come Disco Volante evidenziano il problema dell'esclusione di alcune voci dal dibattito sulle norme artistiche, l'azione politica e la rappresentazione nei media; dall'altro, mettendo i media in mano a nuovi gruppi, il loro lavoro intacca le identità cristallizzate, come nel caso delle persone disabili [29].
Appoggiandosi al progetto Telestreet sono nate (o hanno ritrovato impulso) nel giro di pochi mesi svariate esperienze di tv di strada in tutt' Italia, dalle zone periferiche di Milano, Roma e Bologna fino ai piccoli paesi, anche fra le Alpi [30]. Queste esperienze che, nel momento di massima espansione hanno superato il numero del centinaio di “emittenti”, sono poi andate in parte spegnendosi, per vari motivi, primo fra tutti quello della sostenibilità economica; alcune di esse però persistono e continuano nel loro intento di generare spazi e luoghi di comunicazione reale, adattandosi ai cambiamenti tecnologici, sociali, politici e legislativi e cercando di influenzare a loro volta, nel loro "piccolo" tali trasformazioni. Si tratta di esperienze che hanno il merito di scoprire nel locale e nei micro-territori della vita quotidiana trame di relazioni e significati, portando alla luce nello stesso tempo modalità di adattamento creativo a quelle che sono le dimensioni della globalità e dell’interconnessione delle reti in tutto il mondo. Esperienze, se vogliamo, “profetiche” che fanno parte di un lungo percorso che la storia della comunicazione umana ha compiuto, un percorso che, nel caso italiano, ha specifiche caratteristiche e che mostra peculiarità costituite anche, non dimentichiamolo, dalla complessa e articolata geografia dei territori: dai caffè e dalla particolare conformazione urbanistica di Venezia, costituita dai suoi vicoli e ritrovi nascosti arrivando all'utilizzo dei coni d'ombra causati dall'articolata modulazione del territorio, si scopre come si sia generato un "percorso" che la storia ha intrecciato in maniera molto complessa e che in Italia ha assunto forme ed espressioni uniche, che spaziano dalla micidiale situazione di monopolio che perdura nel campo della legislazione radio-televisiva, ancora così “ingessata” e pachidermica, alla capacità di creatività dal basso che si sviluppa nelle periferie e nei luoghi spesso meno ascoltati.
Note
[1] P. Ortoleva, G. Cordoni, N. Verna (eds.), Radio Fm 1976-2006. Trent'anni di libertà d'antenna, Argelato, Minerva, 2006, 105.
[2] Ivi, 107.
[3] Ivi, 38.
[4] Corsivo nostro.
[5] D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Milano, Sonda, 1988.[6] D. Dolci, Comunicare, legge della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1997.
[7] D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare cit., 92.
[8] Ivi, 156.
[9] D. Dolci, Comunicare, legge della vita cit., 3.
[10] Ivi, 4.
[11] Ibidem.
[12] Collettivo Link TV, Katodika: Link Tv, «Decoder», 10 (1994/95), 810-814.
[13] Ivi, 810.
[14] Ivi, 814.
[15] Una BBS (o Bulletin Board System-bacheca elettronica) è un computer che utilizza un software per permettere a utenti esterni di connettersi ad esso attraverso la linea telefonica, dando la possibilità di utilizzare funzioni di messaggistica e file sharing centralizzato. Il sistema è stato sviluppato negli anni '70 e ha costituito il fulcro delle prime comunicazioni telematiche amatoriali, dando vita alla telematica di base.
[16] Sistema di terminali video collegati alla rete telefonica, ora non più utilizzato, utilizzato per ricevere informazioni e usufruire di servizi di messaggistica.
[17] Informazioni essenziali su:
http://www.strano.net
/snhtml/vttv.htm.
Vedere anche T. Bazzichelli, Networking. La rete come arte, Milano, Costlan Editori, 2006 (testo on-line: http://www.
networkingart.eu/)
[18] In inglese significa "da pari a pari", o anche "punto a punto". Si tratta di un sistema per lo scambio di file in Internet, che consente a due elaboratori elettronici di comunicare direttamente tra loro: ogni utente può visionare e scaricare i file presenti sulle memorie condivise degli altri utenti e mettere a disposizione quelli presenti sulla propria macchina.
[19] Lo stesso sito YouTube si definisce con lo slogan «Broadcast Yourself» agganciandosi dunque più alle logiche del broacasting e del 'trasmettere' che a quelle della reale bidirezionalità e dell'interazione comunicante...
[20] Il termine nasce dalla contrazione delle parole inglese producer-produttore e consumer-consumatore; inizialmente venne utilizzato in riferimento alla diffusione di quelle tecnologie come telecamere amatoriali e videoregistratori che permettevano all'utente di produrre direttamente contenuti video.
[21] Informazioni sul progetto Telestreet e la sua storia sono disponibili sul sito www.telestreet.it
Nota: quando nel testo si utilizza il termine Telestreet con la maiuscola ci si riferisce al progetto e al network, quando si usa telestreet con la minuscola ci si vuol riferire alle singole
esperienze di tv di strada.
[22] A riguardo è importante precisare che seppure uno dei motivi principali all'origine dell'esperienza del circuito Telestreet fosse costituito dall'intenzione di denuncia nei confronti del monopolio televisivo berlusconiano, non si può inquadrare il fenomeno Telestreet come espressione di una determinata fazione politica, in quanto al suo interno confluirono una pluralità di motivazioni, orientamenti e intenzioni che si configurarono al di là di qualunque schieramento politico formale.
[23] F. Berardi, M. Jacquemet, G. Vitali, Telestreet. Macchina immaginativa non omologata, Milano, Baldini e Castoldi Dalai, 2003, 25.
[24] T. Bazzichelli, Networking. La rete come arte cit., 246.
[25] A riguardo si legga anche C. Gubitosa, Elogio della pirateria: dal Corsaro nero agli hacker: dieci storie di ribellioni creative, Milano, Altra
economia - Cart'armata, 2005. Testo on-line:
http://www.gugli.it/
elogio_della_pirateria
-carlo_gubitosa.pdf.
[26] A. Renzi, Disco Volante Tv: volontà di espressione tra cultura e politica, «Inchiesta», 152 (2006), 75-80.
[27] Ivi, 75.
[28] Il video, intitolato Barriere, è risultato vincitore del premio Ilaria Alpi 2004, nella sezione dedicata alle tv locali e regionali.
Informazioni su:
http://www.ilariaalpi
.it/index.php?id
_sezione=1&id_
notizia=612.
[29] A. Renzi, Disco Volante Tv cit., 80.
[30] Si consulti a riguardo anche G. Andreucci, Spunti per una storia e una geografia delle Tv di strada in Italia, «Inchiesta», 152 (2006), 116-123.