Il potere in Sicilia si può definire come risultato di un progetto compiuto di microfisica. Uno dei pochi modelli teorici che possa rispondere in pieno alla descrizione delle forme assunte dal
potere nell'isola è infatti quello delineato da Michel Foucault, perché ciò che si è realizzato nell'esperienza locale è stato proprio un processo di adesione diffusa ad una forma socialmente
riconosciuta di potere. Tale processo si è realizzato escludendo ogni possibilità di proposta alternativa, attraverso il rafforzamento di tutte le relazioni sociali che concorrono al mantenimento
di uno status. Questo processo richiede anche l’elaborazione di una visione culturale, intesa come prodotto complessivo della società, che comprenda la visione generale del potere e
definisca dei limiti di azione alle forme di dominio. Una visione culturale che si è realizzata nel sostegno all'affermazione violenta di interessi specifici, nella giustificazione delle forme di
sopraffazione e di esclusione, che ha contribuito a definire i confini dell'azione e a costruire il consenso. Spesso il potere dell'isola è stato presentato secondo uno schema semplicistico in cui
l'organizzazione criminale Cosa Nostra è stata considerata il fulcro dell'azione di un potere in grado di opporsi a tutte le altre forme di regolamentazione locale. La stessa idea di
un'organizzazione che si opponeva al potere statale è stata prodotta all'interno di questa visione. Quello mafioso non è stato però l'unico potere che ha agito sul territorio dell'isola, anzi
inizialmente ha riprodotto schemi generali che altre strutture avevano già utilizzato [1]. Il dominio, l'espressione pura dell'esercizio del potere,
però è stato esercitato in Sicilia dall'organizzazione criminale in modo inflessibile, fino all'estremo della selezione biologica, della pena di morte comminata secondo rituali precisi, in genere
in seguito all'isolamento sociale del condannato.
In questo quadro uno degli aspetti determinanti delle forme di dominio è stato proprio il controllo territoriale, ciò che secondo il modello classico è il fondamento dell'azione del potere delle
istituzioni. La sintesi ultima del modello mafioso, il problema principale delle organizzazioni, era il controllo del territorio, la capacità di conoscere tutto ciò che avveniva e di presentarsi
come riferimento per l'esercizio di forme di decisione, dalle attività economiche all'espressione della rappresentanza politica. Tale presenza capillare su tutto il territorio di forme rispondenti
alle gerarchie di controllo non si è realizzata solo attraverso la rottura del monopolio della violenza armata, è stata il risultato di molti anni di costruzione di un delicato equilibrio tra
interessi differenti che ha di fatto determinato gran parte della storia dell'area. Lo spazio sociale siciliano è oggi il frutto di complesse relazioni di potere capaci di condizionare in modo
capillare i percorsi soggettivi degli abitanti, le aspirazioni individuali e gli interessi espressi dai gruppi sociali. La partecipazione ideale di tutte le componenti di una società giustifica
infatti l'operato di quelle espressioni di azione individuale che avvengono nel solco del potere, che rimane quindi una categoria più ampia che riesce a contenere in sé anche i comportamenti
soggettivi. Si tratta della capacità pervasiva di estendersi a tutti gli aspetti della società attraverso il riconoscimento diffuso, cioè alla scelta di partecipare alle dinamiche che alimentano il
potere e riconoscere l'autorità di chi lo esercita secondo quelle forme. Il potere siciliano si è sviluppato in un quadro di consenso diffuso per i princìpi che ne giustificavano l'essenza; tutta
la società locale ha partecipato al permanere di una cultura costruita sulla visione positiva dell'esercizio del dominio e sull'esclusione del diverso. Foucault, nel ragionamento sulle dinamiche di
affermazione del potere, sembra sottendere alla definizione di microfisica una partecipazione soggettiva ad un'idea istituita socialmente, descrive cioè una forma di adesione individuale diffusa
capillarmente. Secondo quel modello il potere è legato all'affermazione di principi identitari, in un processo in cui l'ordine sociale è parte integrante del modo in cui anche gli individui
riconoscono sé stessi. La cultura siciliana, come insieme della produzione sociale, si è contraddistinta proprio per una difesa generalizzata delle gerarchie sociali, economiche e politiche,
prodotte in quelle dinamiche di potere. La forma di controllo praticata in quel contesto potrebbe quindi essere sintetizzata nel puro esercizio di dominio, nella sua forma più scarna, cioè nella
sopraffazione o coercizione fisica, nella limitazione all'azione, nel controllo sulle pratiche quotidiane di esistenza.
Il problema però diventa più complesso se si considerano tutti i tentativi di produrre letture alternative della socialità nell’isola, dalle esperienze intellettuali a tutto ciò che
l’associazionismo antimafia ha prodotto nel corso di un sessantennio di attività. La cultura è diventata spesso un luogo di conflitto per l’affermazione del potere, proprio come conseguenza del
fatto che il suo ruolo diviene essenziale, soprattutto per il mantenimento del delicato equilibrio che si crea tra le espressioni più evidenti di controllo e la diffusione del consenso.
Negli ultimi anni nell'isola sono in atto diversi processi di trasformazione, che hanno modificato, soprattutto sul piano economico, il funzionamento della società locale. Si tratta di un mutamento
che interessa anche le forme del potere e contraddice la visione prodotta nella cultura locale di un'opposizione centro-periferia tra gli interessi della regione e lo stato. Lo spazio del potere si
è costituito infatti in Sicilia nella frattura che si è creata tra l’esercizio di controllo delle forme istituzionali e la società locale [2]. La
diffusione capillare, estesa a tutto il sistema sociale della presenza del rischio, nel momento in cui si era realizzata una sostanziale alleanza tra interessi dominanti, locali e nazionali, ha
contribuito poi alla stabilità del potere. Un processo analogo, di diffusione di forme di paura, si sta realizzando attualmente tramite la proposizione di relazioni di potere inedite per la società
locale.
Emergenza permanente e gestione del territorio
La società siciliana è cambiata profondamente dalla metà degli anni Novanta; si è concluso quello che può essere definito un grande laboratorio di applicazione di metodi di controllo sociale che ha
coinvolto tutti gli aspetti della società dell'isola. Un fenomeno autoregolato che ha rappresentato il modello secondo cui si sono sviluppate le relazioni di potere e che ha raggiunto probabilmente
il suo culmine alla metà degli anni ’80. Tutti gli attori della società locale sono stati coinvolti in un complesso sistema di interrelazioni di cui l’azione sul territorio era l’espressione più
evidente. Un'espansione che si è realizzata con modalità peculiari, ma all’interno di una tendenza generale delle economie mediterranee, in cui la sovrapposizione dell’azione di grandi interessi
economico-finanziari e di emergenze di controllo sociale e ambientale ha caratterizzato i processi di insediamento [3]. Tale sistema si è tradotto in
pratica nell'edificazione delle città e degli insediamenti industriali realizzate tramite interventi straordinari sempre connessi a necessità ambientali inderogabili o a problemi sociali la cui
soluzione era diventata urgente. Il risultato dei molti anni di vita di tale sistema caratterizza ancora oggi uno schema di uso del suolo che ha comportato un'esplosione incontrollata di nuove
espansioni urbane nelle città e un avanzamento delle aree di insediamento per il turismo balneare lungo tutta la linea di costa. In questo quadro il potere era rappresentato dalla convergenza di
sfere di interesse differenti; politica, imprenditoria e organizzazioni criminali agivano quindi ognuna per i propri interessi, realizzando però una sostanziale stabilità locale, una forma di
gestione del territorio costruita su livelli sovrapposti.
Il controllo territoriale esercitato dalle organizzazioni mafiose si collocava all'interno di questo processo, perché garantiva anche la stabilità politica e consentiva interventi di emergenza; i
grandi investimenti edilizi e la costruzione delle strutture militari internazionali, la costruzione di unità delle imprese fordiste e l'insediamento di grandi poli di terziario si collocavano,
ognuno in modo diverso, nella trama di relazioni locali. La definizione di fenomeno autoregolato sembra l’unica in grado di chiarire le modalità con cui si è realizzato l'intero processo, perché la
sostanziale omogeneità di intervento è stata il frutto di una complessa interazione tra poteri diversi la cui fisionomia non era stabile. Si è riproposta in parte la contrattazione tipica delle
dinamiche di potere delle società mediterranee, con aspetti del tutto peculiari connessi alla nascita di nuovi settori economici e ad una notevole dinamicità dei tessuti locali, costantemente
sottoposti a formule di rinnovamento [4]. Come nella maggior parte delle società mediterranee, la presenza di diversi poteri rendeva la contrattazione
il principale luogo della decisione, ponendo le basi per l'affermazione di processi di trasformazione a dimensione variabile che colpivano di volta in volta settori differenti della
popolazione.
Lo studio dell'andamento dell'economia locale dal dopoguerra riesce a spiegare la peculiarità delle dinamiche di potere locale. Si evidenzia infatti una costante presenza di esperienze localizzate
di ristrutturazione dei tessuti economici in tutta l'isola, dalla grande industria al settore terziario [5]. I tessuti urbani inoltre raccolgono adesso
forti investimenti diretti a forme di accumulazione flessibile secondo un modello che non si può più definire peculiare. Un'immagine che, anche se del tutto antitetica a quella classica di un
territorio sottoposto a fenomeni stabili prodotti da una società statica, rappresenta un'area in cui prevalgono gli interventi localizzati, privi di ricadute diffuse. Gli investimenti si sono
indirizzati in diversi settori e in aree specifiche dell'isola stimolando periodi di intenso dibattito sulle possibilità di sviluppo, alternati a grandi dibattiti sui problemi sociali e ambientali
conseguenti le crisi di settore. La vicenda dei poli chimici, forse la più nota, sembra riassumere in sé tutte le contraddizioni di questa esperienza. Presentati come l'unica grande possibilità di
sviluppo dell'isola, i grandi poli industriali hanno ormai esaurito la propria funzione, lasciando una pesante eredità ambientale [6].
Si può sostenere che tutto quel sistema, basato su un equilibrio precario, si è dissolto nella prima metà degli anni ’90, dopo una stagione che sul versante dell'analisi sociale è stata segnata da
una recrudescenza del conflitto armato. Alla fine degli anni ’80 l'intero schema è entrato in crisi a causa del tracollo di tutto il funzionamento del sistema politico-economico di cui aveva fatto
parte, affrontando una tumultuosa fase in cui si sono sovrapposti il conflitto militare della mafia con gli apparati dello stato e il collasso economico del sistema pubblico italiano. In quella
fase si è evidenziata la dipendenza di tutto il sistema di potere dell'isola dalle variabili esterne, dall'intervento pubblico e dai flussi commerciali e finanziari internazionali. Mentre alcune
delle esperienze politiche, che all'inizio degli anni Novanta erano emerse come originali, nell'arco di pochi anni hanno esaurito il proprio ruolo, finendo spesso col collocarsi nell'alveo della
politica nazionale. Negli ultimi anni, infine, il dibattito sulla gestione del territorio sembra essere scomparso dalla visibilità pubblica.
Territorio e rappresentanza
Il territorio dell'isola è oggi fortemente caratterizzato dai riflessi di una fase complessa di interventi in cui è possibile individuare i contorni del fenomeno autoregolato che ne ha determinato
le linee di sviluppo, nonostante il fatto che, dalle differenti zone di espansione delle città alle permanenze di aree industriali dismesse, i risultati non sembrino in genere una peculiarità
assoluta.
La maggior parte dei grandi problemi della popolazione locale sembra derivare dalla mancata risoluzione di una contraddizione di fondo, che ha visto la regolamentazione dei poteri passare
attraverso una forma di astrazione dell'intervento materiale. Non si è trattato solo dell’eccessivo spazio assunto dalle promesse di intervento tipiche di tutti i poteri meridionali, ma anche di
riuscire a definire l'effettiva ricaduta delle proposte di trasformazione che sono state presentate con regolarità per tutte le aree di maggiore rischio. Un aspetto tipico delle società
mediterranee è infatti quello di compensare l'assenza di interventi regolati con forme di contrattazione locale in cui l'intervento diretto – l'edificazione di abitazioni è l'esempio classico – è
gestito da forme di autorità locale. Nel caso siciliano tale sistema ha collocato le organizzazioni mafiose anche nell'area di frattura tra l'intervento pubblico e la regolazione autonoma.
Nel complesso oggi si inizia a delineare una trasformazione conforme alla visione politica che si è imposta con il dibattito neoliberista, un modello che favorisce cioè la riduzione di importanza
del ruolo delle organizzazioni e dei progetti di ampio respiro politico a favore dell'iniziativa economica, in genere individuale. I modelli della rappresentanza locale seguono questo indirizzo,
componendo una specifica azione locale imperniata sulla mediazione degli interessi più che sulla loro espressione diretta. La tendenza alla costruzione di un legame territoriale con un elettorato
personale ha prodotto però in Sicilia anche uno scollamento effettivo dall’idea del cambiamento nelle forme di gestione del territorio. Mentre il problema del ruolo dei voti gestiti dalle
organizzazioni mafiose è diventato un argomento scomodo in campagne elettorali con distinzioni politiche troppo vaghe tra i candidati, le varie inchieste istituzionali fanno emergere un modello in
cui il potere si determina ancora attraverso il controllo capillare della società e dell'economia. Sembra si sia affermato, in sintesi, un modello organizzativo costruito direttamente allo scopo di
intercettare i flussi di denaro pubblico che vede nella politica locale una variabile che solo in alcuni casi è organica, in altri viene considerata ininfluente. L'idea che sembra emergere dal
quadro che vanno costruendo le svariate indagini è quella di un'organizzazione criminale che non è più interessata a intrattenere relazioni di mediazione con altri poteri, quanto piuttosto ad avere
referenti diretti nelle istituzioni [7]. È una novità che sottende ancora un forte potere locale, ma comporta la riduzione delle classiche relazioni
con i poteri esterni. La mafia si è mantenuta sempre sull'intreccio di poteri di differente natura che erano interessati al mantenimento del ruolo delle organizzazioni criminali. Se scompare questo
modello di relazione basato sulla mediazione tra mafia, politica e affari, il potere dell'organizzazione criminale diviene molto labile, più esposto all'azione repressiva degli apparati dello stato
e troppo legato al ruolo individuale di alcuni personaggi. Sembra quindi che l'organizzazione mafiosa sia oggi più debole che in passato.
Di fronte a questa novità lo spazio della politica sembra però disgregato dall'impatto che i processi di globalizzazione hanno prodotto sull'organizzazione quotidiana dei luoghi di vita. È uno
spazio ormai confinato ad ambiti ristretti privi di un reale ruolo di rappresentanza di istanze locali, più organizzati su un modello di riproduzione del consenso che sulla ridiscussione delle
pratiche quotidiane. Le nuove organizzazioni politiche sembrano individuare nel territorio una variabile meno importante, possiedono un forte radicamento nelle periferie delle maggiori città che
però proviene dall'azione di personaggi periferici, non riconosciuti da un consenso territoriale diffuso.
La lettura degli andamenti elettorali locali indica che la Sicilia è per tradizione una regione con un elettorato filo-governativo; solo in pochi casi, tra cui quello dello scorso anno, le elezioni
locali non hanno espresso una maggioranza in linea con quella del governo nazionale. Il particolare andamento delle oscillazioni politiche italiane degli ultimi quindici anni ha portato però un
grosso bacino elettorale centrista a stabilizzarsi, fornendo le basi per la formazione di un ceto politico forte. L'episodio più eclatante di consenso è stato espresso durante le elezioni politiche
del 2001 quando tutti i collegi elettorali ad elezione diretta nell'isola (61) vennero attribuiti alla coalizione di centro-destra. Un'affermazione politica che avrebbe dovuto incidere sulla
relazione tra ceto politico e società locale proponendo una sostanziale identità di vedute tra elettori e ceto dirigente. Il risultato a pochi anni di distanza è invece poco chiaro, non sembra
esistere infatti una linea politica locale, mentre l'assenza di un progetto di qualunque natura ha quasi annullato quegli aspetti dell'autonomia locale che avrebbero dovuto caratterizzare gli
interventi pubblici in materia di investimenti economici. Il tutto in una fase di relativa stabilità per quanto riguarda la longevità degli esponenti di spicco del ceto dirigente.
Gli effetti della globalizzazione sull'economia locale
La visione del tessuto economico dell'isola che emerge dalla lettura dei dati forniti negli ultimi cinque anni dall'ISTAT e dallo SVIMEZ [8] è desolante: l'industria non è più rilevante nell'insieme delle attività, la produzione di manufatti è esclusivamente artigianale; non esistono nell'isola stabilimenti con più di 500 dipendenti (fig. 1); le strutture create per la ricerca sono bloccate da una cronica carenza di fondi e materiali; l'agricoltura è tornata ad essere il primo settore per produzione di beni, ma attraversa una crisi profonda da almeno un decennio, contrastata solo dalla ripresa della produzione di vini di qualità. L'intera isola vive su un modello economico di una disarmante fragilità, il cui punto di forza sul piano finanziario e dell'occupazione sembra essere il terziario.
L'immagine dell'ipermercato è quella che sintetizza meglio un insieme di cinque milioni di abitanti indaffarati a sopravvivere intorno all'attività di compravendita. I processi di globalizzazione
hanno infatti investito con violenza un sistema locale che non sembra ancora in grado di riconvertirsi verso la valorizzazione delle enormi ricchezze naturali, archeologiche, storiche e artistiche
che contraddistinguono il territorio siciliano. Da qualche anno ormai si susseguono su tutto il territorio della regione le inaugurazioni di grandi poli di distribuzione commerciale, ipermercati,
sedi di catene internazionali. Il ceto imprenditoriale locale è stato però falcidiato dalla crisi internazionale, tutti i settori dell'economia sono in contrazione e la disoccupazione è aumentata,
mentre riprende il fenomeno delle migrazioni verso il nord del paese di giovani in cerca di occupazione. È una nuova migrazione interna (che interessa almeno 350.000 giovani ogni anno secondo le
stime dei sindacati) caratterizzata da una forte precarietà che non rientra nelle vecchie categorie statistiche, animata da giovani che lavorano per periodi brevi nelle città del nord del paese
senza riuscire in alcun modo a ricollocarsi sul mercato del lavoro.
La migrazione temporanea su scala nazionale di una quota consistente di manodopera giovanile non viene rilevata dal dibattito politico, mentre da poco tempo alcune ricerche sono riuscite a
quantificare il fenomeno e a porre il problema dei riflessi che potrà avere sulle società meridionali [9].
L'idea di sviluppo economico contrassegnata dall'epoca dei grandi poli chimici ha lasciato solo grandi sacche di disoccupazione (fig. 2) e un
inquinamento che verrà smaltito in alcuni secoli. Gli impianti degli altri settori sono in fase di dismissione da alcuni anni o sostengono stancamente ritmi produttivi ridotti. L'edilizia infine,
il settore che ha tenuto in piedi l'economia delle città per quattro decenni, dopo anni di forte contrazione è in leggera ripresa.
Si evidenzia, in sintesi, una peculiarità storica del sistema economico siciliano che si ripropone in forme inedite; la società locale possiede infatti grandi risorse e una solida presenza di capitali che potrebbero essere indirizzati ad investimenti, ma non realizza grandi esperienze sul piano della produzione. Gli enormi flussi finanziari transitano attraverso le maglie del sistema locale, in un contesto in cui la ridotta regolamentazione pubblica e l'intervento dei fondi per lo sviluppo producono solo arricchimento individuale per un persistente ceto molto ristretto. La Sicilia fornisce ancora grandi ricchezze individuali, mentre si esasperano le condizioni di vita della maggior parte della popolazione urbana. Adesso alcuni centri minori, come ad esempio quelli dell'area della provincia di Enna o di quella di Ragusa, diventano trainanti sul piano dei modelli di investimento economico, definendosi come gli unici in grado di individuare nuove modalità di intervento pubblico (Fig. 3) (Fig. 4). Mentre le città maggiori, Palermo polo amministrativo dell'isola, e Catania polo finanziario e commerciale, sprofondano nei sistemi di economia informale, gli unici in grado di contenere la perdita spaventosa di potere d'acquisto degli introiti medi degli abitanti del sud Italia. Come un modello classico di sviluppo industriale fordista ha lasciato solo gravi problemi ambientali, così i modelli recenti sembrano andare nella stessa direzione, contribuendo al depauperamento delle risorse dell'isola (Fig. 5) (Fig. 6).
Transizione politica e trasformazione economica
È finita l'epoca della mattanza, da tempo ormai le grandi città siciliane non sono più scenario della guerra aperta tra clan rivali, quello scontro che ha portato ancora tra la fine degli
anni Ottanta e i primi anni Novanta a contare centinaia di vittime tra i gregari delle organizzazioni mafiose nelle grandi città dell'isola. L'epoca della transizione politica italiana è stata
vissuta così in Sicilia; adesso, dopo gli attentati, gli arresti eccellenti e i grandi processi è scomparsa l'attenzione dei grandi media. Con il ridimensionamento delle politiche antimafia, alla
fine degli anni Novanta sembra essersi chiusa definitivamente anche la stagione dell'autonomia. La politica siciliana, se ci si riferisce all'azione del governo locale, non possiede il ruolo di
perno di grandi decisioni, non esprime originalità organizzativa e non è presente nel panorama nazionale con una propria identità. Soprattutto a causa della crisi della rappresentanza politica che
si avverte nella società italiana, non sembrano chiari neanche gli orientamenti generali della società locale. Il dibattito sul ruolo geopolitico dell'isola o sui nuovi problemi dell'economia è al
momento relegato allo spazio della ricerca scientifica; i grandi progetti sociali sono scomparsi da tempo e l'assenza di nuove politiche economiche sembra un problema proposto solo da strutture
sindacali che non trovano interlocutori.
In questo quadro di crisi generale però stanno mutando radicalmente la struttura economica e le relazioni di potere della società locale, secondo uno schema che riproduce i modelli di potere
globale che si affermano in tutta l'Europa.
In questo mutamento vengono coinvolte le forme di dominio locale, compresa la struttura delle organizzazioni mafiose che ne è stata parte essenziale. Il fenomeno non interessa solo lo spazio che
acquistano le organizzazioni criminali nelle fasi di crisi economica, cioè quello spazio naturale di consenso sociale che si crea nelle aree di povertà intorno alle organizzazioni che riescono a
garantire traffici illeciti. La novità risiede nell'ingresso di strutture internazionali anche sul territorio locale, mentre in passato, nonostante una forte integrazione economica con il mercato
internazionale, la mafia aveva mantenuto uno statuto di organizzazione intimamente legata ai successi dell'economia dell'isola. Era un potere esclusivo e necessario al funzionamento
dell'organizzazione che mirava al controllo capillare del territorio. Le organizzazioni criminali sopravvivono però di traffici economici e adesso, come in altre fasi della sua storia, la mafia
siciliana sta cercando di collocarsi nei settori nodali dell'economia per inseguire i grandi flussi finanziari, anche se questa scelta comporta una relazione di tipo nuovo con altre organizzazioni,
una cessione di porzioni di controllo del territorio locale. Il nuovo scenario che si prospetta è ambivalente: la mafia siciliana organizza o partecipa a enormi traffici globali, indirizzandosi
soprattutto al mercato di esseri umani oltre che ai settori tradizionali; l'organizzazione perde però in modo irreversibile ampie fette di controllo territoriale, cedendo spazio alle organizzazioni
straniere o all'azione di controllo statale, ed è costretta ad inseguire forme di accordo e consenso politico che si rivelano molto labili.
La produzione del territorio
La definizione di uno specifico spazio di azione del potere è uno dei temi classici della geografia politico-economica, introdotto con la nascita della stessa disciplina. Il tema è stato poi
recepito in diversi ambiti come un principio di delimitazione, in cui spesso era la presenza di un potere a definire i confini dell'analisi territoriale [10]. I processi di globalizzazione hanno però modificato radicalmente i confini dello spazio del potere secondo un'ottica tradizionale e prodotto anche stravolgimenti in campi in cui si
erano ormai consolidati modelli di analisi. Il ruolo delle forme di potere nella costruzione del territorio e degli spazi di vita emerge chiaramente nella lettura dell'evoluzione delle città e
nell'organizzazione delle relazioni tra centro e periferia interne alla Sicilia. L'evoluzione delle città ha risentito della geografia del potere, dell'impatto che le decisioni hanno avuto sulla
distribuzione della popolazione, sul tenore di vita degli abitanti e sulla qualità dell'ambiente. Da diversi anni ormai si sta realizzando anche un processo di eliminazione dello spazio pubblico,
in linea con le tendenze generali delle città investite dai processi di globalizzazione. La scomparsa dello spazio pubblico si è realizzata anche attraverso l'eliminazione materiale dei luoghi di
aggregazione che hanno prima perso la propria funzione, poi sono stati sostituiti o occupati da nuove strutture [11]. Le politiche territoriali e gli
investimenti locali si sono caratterizzati per una sovrapposizione di interventi, che ha prodotto un territorio disgregato, difficilmente fruibile e inadatto alla costruzione di forti legami
sociali. La distribuzione della popolazione è cambiata nel corso dell'ultimo ventennio, seguendo uno schema economico rigido, in cui le periferie hanno offerto l'unica possibilità di insediamento
anche per la popolazione storica, fortemente colpita da processi di impoverimento. La tesi di Bauman è che l'ordine sociale sia cambiato in un modo che non corrisponde alle previsioni dei
pianificatori, nonostante il fatto che gli interventi sulle grandi aree metropolitane siano stati indirizzati al riequilibrio dei problemi della popolazione. Nel caso siciliano, la visione del
territorio è stata assente dalla programmazione generale delle linee di sviluppo e lo spazio urbano è stato considerato per decenni un semplice sfondo per investimenti edilizi. I modelli urbani
realizzati non sembrano affatto rispondere ad una progettualità generale, mentre gli investimenti assumono grande importanza. I processi di accumulazione flessibile invece sono espressioni naturali
in questo quadro, così la rivalutazione fondiaria dei centri storici ha prodotto nuovi flussi finanziari che non hanno avuto ricadute locali e i nuovi insediamenti sono stati realizzati secondo un
principio di segregazione che di volta in volta serve a scopi diversi. Sono aumentate le forme di espressione dell’insicurezza urbana che producono aree in cui gli abitanti cercano di escludersi
dal contesto urbano attraverso la chiusura fisica degli spazi, introducendo anche strutture urbanistiche che prima erano estranee al modello locale. Il fenomeno più evidente rimane però quello
della segregazione sociale su ampia scala, sancito dal permanere di aree delle città estranee al contesto politico-sociale. I grandi quartieri nati dalle espansioni degli anni ’70 e ’80 oggi
presentano ancora gli stessi problemi che hanno caratterizzato le prime fasi di impianto. La popolazione è di fatto esclusa dallo spazio sociale della città di appartenenza, subisce una pesante
stigmatizzazione e vive in aree in cui la qualità della vita è ampiamente al di sotto della media nazionale. La presenza ingombrante di queste realtà si traduce in forme di radicamento territoriale
del potere di scambio, una contrattazione parcellizzata dell'azione politica in cui l'insieme delle necessità della popolazione alimenta un potere limitato nelle sue espressioni. Il territorio
delle periferie è scandito dalla presenza di confini interni, accessi regolati esclusivamente da una mobilità veicolare e caratterizzati dalla funzione prevalente di dormitorio. In questo quadro le
periferie delle città siciliane rientrano in pieno nella categoria delle città dell’emergenza, realizzate in conformità a legislazioni di intervento straordinario [12]. Nel complesso si tratta di una condizione che alimenta la paura ed esaspera le difficoltà di costruzione di legami all'interno di un tessuto urbano sconnesso. Le città dell'isola
sono costantemente attraversate da spinte centrifughe difficilmente contenute da interventi privi di programmazione che sembrano rispondere solo al mantenimento delle relazioni di potere.
In tutta la società dell’isola si evidenzia infine una crescita delle forme di violenza urbana, tipicamente attribuite alla presenza di sacche di esclusione. La perdita di aderenza al territorio
delle forme sedimentate di potere corrisponde anche ad una diffusa percezione di abbandono, di assoluta impossibilità di rappresentanza o di realizzazione delle aspirazioni di vita di una parte
notevole della popolazione locale. Si prospetta quindi una situazione inedita in cui le forme del potere locale si realizzano attraverso la mancanza di spazi di socialità e il distacco dalla
politica. Tali processi corrispondono però ad un aumento delle espressioni della paura urbana, in un quadro in cui non sembrano affermarsi i modelli di controllo delle metropoli globali.
Ciò che è assente in questo quadro è ovviamente la visione dello spazio vissuto dai ceti che subiscono i processi di affermazione del potere. Sembra difficile quindi leggere le modalità con cui la
maggior parte della popolazione dell'isola costruisce le proprie relazioni quotidiane e definisce il proprio spazio di azione.
Bibliografia
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Note
[1] Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, Roma, Donzelli, 1993.
[2] Cfr. N. Recupero, Ceti medi e «homines novi» all'origine della mafia, «Polis», 2 (1987).
[3] Cfr. G. Avallone, Le città meridionali contemporanee tra specificità locali e tendenze generali, in: Associazione Italiana di Sociologia, Giovani Sociologi 2004, Milano, Franco Angeli, 2005, 20-37.
[4] Cfr. S. Butera, G. Ciaccio, Aspetti e tendenze dell'economia siciliana, Bologna, il Mulino, 2002.
[5] Ibidem.[6] Cfr. R. Trimarchi, Territorio e de-industrializzazione in Sicilia. Un contributo alla rilettura del paesaggio industriale nelle aree dimesse, «Annali della Facoltà di Scienze della Formazione – Università degli Studi di Catania», III (2004), 391-41.
[7] Un quadro complesso di tale tendenza è stato presentato a gennaio dal Procuratore Nazionale Antimafia nella sua relazione annuale sullo stato della lotta alle organizzazioni mafiose.
[8] I dati più recenti si possono trovare in SVIMEZ, Rapporto 2006 sull’economia del Mezzogiorno, Bologna, il Mulino, 2006.
[9] Per una breve rassegna si può consultare la sezione dati statistici del sito di documentazione sui fenomeni migratori www.cestim.it.
[10] Cfr. C. Harris, Power, Modernity, and Historical Geography, «Annals of the Association of American Geographers», 81/4 (1991), 671-683.
[11] Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Milano, Bruno Mondadori, 2005.
[12] Cfr. G. Avallone, Città caratterizzate dall’emergenza: note iniziali per uno studio delle realtà urbane del Mediterraneo, in: A.
Angelini (ed.), Mediterraneo. Città, culture, ambiente, governance, migranti, Milano, Franco Angeli, 2007, 144-158.