Suddiviso in tre capitoli e tre appendici, il corposo volume porta un notevole contributo alla storia della didattica di una disciplina particolarmente delicata per il periodo e per il contesto presi in esame. L'autrice, dottore di ricerca in Scienze della pedagogia ora in forze all'Università di Macerata, vi presenta i risultati di una lunga ricerca sulle fonti e pubblicazioni ministeriali, sulle riviste specialistiche, e su un'ampia bibliografia di riferimento, arricchita dalle indicazioni di metodo apprese grazie ad alcuni soggiorni presso l'Institut National de Recherche Pédagogique di Parigi.
L'insegnamento della storia nelle scuole elementari e medie (inferiori e superiori) del Regno d'Italia è passato al vaglio nel secondo e nel terzo capitolo, entrambi molto ampi e densi. Come afferma Roberto Sani nella Prefazione, la storia dell'insegnamento "in atto" è materia sostanzialmente nuova nel nostro paese. Riprendendo indicazioni già proposte, tra gli altri, dagli storici dell'educazione, dalle pionieristiche indagini sulla costruzione del sistema scolastico nazionale e dalle prime incursioni della gender history negli stessi campi, Ascenzi affronta il suo tema da una pluralità di punti di vista. Alle disposizioni ministeriali e alle indagini volte a recuperare la realtà viva della quotidianità scolastica, si intrecciano considerazioni sul mercato del libro e le strategie editoriali; sul rapporto tra "discorso storico" per la scuola e riflessione scientifico-metodologica interna alla comunità degli storici professionisti; sull'insoluto dilemma della conciliazione tra educazione etico-civile e rigorosa conoscenza del passato. La storia della didattica è dunque inquadrata in una prospettiva molto più ampia, senza per questo rinunciare ai suoi interrogativi e alle sue distinzioni.
Non di scuola, in primo luogo, si deve parlare, bensì di scuole, dato che anche l'insegnamento della storia serviva la causa dell'offerta formativa diversificata con cui gli eredi della Legge Casati si rivolgevano a ceti sociali diversi, e ai due diversi generi.
Non solo la storia per le elementari - comprensibilmente, la meno accurata sul piano scientifico, e la più puramente "edificante" per temi e impostazione - era cosa piuttosto diversa rispetto alla storia per i gradi medio-superiori. Ai futuri "tecnici" non si impartiva tanto la storia politico-diplomatica - dominante nei corsi liceali - quanto quella economica e sociale - pressoché ignota agli studenti della scuola classica. Alle donne - in origine confinate tra scuole elementari e scuole normali - non si offriva altro che la storia d'Italia, e a lungo praticamente solo quella risorgimentale.
Ferma un po' ovunque la centralità - educativa e ideologica - della recente storia nazionale (messa in discussione solo da ministri provenienti dalla storiografia professionale come Michele Amari, ma senza durevole successo), permanevano ovunque anche altri numerosi problemi di fondo, nei quali si rispecchiavano tanto una certa "improvvisazione pedagogica" - la storia, del resto, non aveva a differenza di altre discipline una lunga tradizione scolastica - quanto le ricadute di un'equivoca distinzione tra la storia scolastica e la storia "alta": edificante la prima, rigorosa la seconda.
L'autrice mostra molto bene e con dovizia di materiali ed esempi quanto si rivelò difficile per i vari ministri, consiglieri, ispettori, direttori, insegnanti e pedagogisti dell'epoca sciogliere certi nodi, con conseguenze talvolta di lungo periodo sulla didattica della storia nelle scuole italiane. La storia per la scuola deve essere generale, europea, nazionale o locale? In quale misura è opportuno intrecciare le quattro dimensioni? E le diverse tematiche, dalla politica all'economia al "cammino della civiltà"? La conoscenza della storia antica è possibile e consigliabile per chi non studia il latino e il greco? Quanta e quale storia si deve insegnare al popolo, quanta e quale alle élites? A scuola si deve interpretare anche qualche documento e spendere qualche parola sulle metodologie della ricerca, o ci si deve limitare a sollecitare un esercizio di memoria? E ancora: fin dove lo Stato può dettare le regole sulle modalità dell'insegnamento e sulla scelta dei testi? La memoria locale sarà utile o nociva alla costruzione della memoria nazionale? L'accentramento didattico è conseguenza necessaria dell'accentramento amministrativo?
Più di metà del volume è stato destinato a tre utili appendici. Le prime due presentano i Programmi di storia per le scuole elementari e le scuole secondarie, comprese le Istruzioni volonterosamente impartite dagli organi centrali ad un ceto di insegnanti a lungo sprovvisto di un forte profilo e di saldi curricula. La terza appendice consiste invece in un utilissimo Repertorio dei manuali di storia per le scuole elementari e secondarie italiane dell'Ottocento che in duecento pagine presenta i titoli disponibili sul mercato tra 1800 e 1900, e contribuisce a mettere in luce le eredità e permanenze dell'offerta formativa preunitaria (Cantù, La Farina, don Bosco), una certa dipendenza rispetto a testi ed autori stranieri (Goldmith, Lamé-Fleury, poi Duruy), la singolare compresenza di volumi progressivamente più ambiziosi sul piano scientifico e cronologico - a firma spesso di docenti universitari ed eminenti intellettuali come Ricotti e Bonghi - e testi che riproducevano, non solo per le scuole elementari, l'abusato corredo aneddotico e biografico raccomandato da alcuni dei massimi pedagogisti del secolo.