Un dibattito del ‘59
Nel 1959 l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana organizza un convegno di studi intitolato La Resistenza e la Scuola, in cui sono previste tre relazioni. Roberto Battaglia, autore del primo libro organico sul movimento di liberazione in Italia (Battaglia 1953), nel suo intervento si occupa della necessità di inserire l’insegnamento della Resistenza e degli anni che vanno dalla Prima alla Seconda guerra mondiale nel curricolo scolastico. Bisogna infatti sapere che fin dal 1943 con Badoglio i governi italiani avevano deciso dapprima provvisoriamente e poi stabilmente di fissare il terminus ad quem dei programmi di storia alla fine della Grande guerra, in modo da non dover fare i conti con un’uscita dal fascismo che si presentava difficile e con molti elementi di conflittualità e contraddittorietà nella società italiana. Ma più interessanti ai fini del tema trattato in questo saggio sono gli interventi degli altri due relatori, il pedagogista Aldo Visalberghi e il filologo classico Dino Pieraccioni. Questi infatti si riferiscono soprattutto alla legge che aveva appena introdotto nelle scuole secondarie l’insegnamento dell’Educazione civica (per due ore al mese, in carico ai docenti di storia) e alle «non lievi perplessità sollevate dagli insegnanti”. La preoccupazione per Pieraccioni è che la nuova materia non si riduca «‘a una specie di galateo di norme di buon comportamento in pubblico, per la strada, ecc.’”(Pacchi 1959, 84), mentre Visalberghi esprime subito «la necessità di attuare una ‘interconnessione stretta’ tra l’insegnamento della storia e quello dell’Educazione Civica», poiché «altra è la storia che registra un passato imbalsamato, altra è l’educazione civica fatta scaturire dall’osservazione attenta dell’evoluzione storica degli istituti sociali e politici, altra la semplice presentazione e illustrazione di un complesso di norme costituzionali e di diritto ordinario, studiate nella loro statica fissità». Visalberghi è categorico: «Solo un’educazione civica che abbia colto nel movimento concreto della storia il senso effettivo delle norme e degli istituti forma una vera coscienza democratica, mentre il più minuto studio giuridico formale non basterà mai a questo compito» (Pacchi 1959, 85). Peccato che – come già scritto – tale interconnessione dovette rimanere ancora a lungo a carico della scelta e della programmazione anticonformista dei soli docenti illuminati, poiché i curricoli di storia per alcuni anni mantennero il Ventennio, la Seconda guerra mondiale e la Costituzione fuori dai contenuti prescritti nei programmi, nonostante gli appelli come quello formulato dallo stesso Convegno di Firenze [1].
Questa finestra di cronaca di sessant’anni fa non tratta problemi tanto lontani da quelli che si trovano ad affrontare i docenti della scuola primaria di oggi quando si accingono a parlare di Costituzione. Anche oggi la Costituzione è orfana della storia. Attualmente la ragione sta nella scelta – maturata nel primo decennio del nuovo millennio – di “verticalizzare” il programma di storia tra scuola primaria e secondaria, lasciando alla prima lo studio della storia generale fino alla caduta dell’Impero romano d’occidente. In questo modo – di nuovo – una categoria di insegnanti si trova a insegnare la Costituzione nella classe quinta della scuola primaria senza contare su un programma di storia che arrivi a quegli anni.
Tra Cittadinanza, Costituzione ed Educazione civica
Non è qui il caso di fare una storia dettagliata dell’articolazione dei contenuti relativi all’insegnamento della Costituzione nei testi delle riforme della scuola primaria (già elementare) succedutesi negli ultimi vent’anni. Brevemente però può essere di aiuto ricordare che nelle Indicazioni del 2004 (pubblicate durante il mandato della ministra Moratti) l’Educazione alla cittadinanza rientrava insieme all’educazione «stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività» nell’Educazione alla convivenza civile come «attività educativa e didattica unitaria», quindi non affidata a un docente particolare. Nella nuova formulazione delle Indicazioni del 2007 manteneva il nome di Educazione alla cittadinanza ed entrava nei paragrafi introduttivi generali del curricolo, con suggerimenti didattici che da una parte individuavano pratiche a «partire dalla vita quotidiana a scuola» (le pratiche della partecipazione democratica e di autogestione di derivazione deweyana), dall’altra prescrivevano la conoscenza iniziale di alcuni articoli della Costituzione.
Nel 2008 interveniva una nuova torsione legislativa e queste attività didattiche erano sancite con la legge 169 del 30 ottobre come insegnamento non disciplinare con il nuovo nome di «Cittadinanza e Costituzione». I contenuti di questo insegnamento venivano poi ridefiniti ancora una volta nel 2012 rimanendo comunque simili a quelli delle Indicazioni del 2007. La mancanza di un docente di riferimento e di attribuzioni orarie specifiche hanno fatto sì che questi insegnamenti nella pratica abbiano occupato e occupino ancora oggi un ruolo marginale nell’equilibrio dei contenuti trasmessi a scuola [2]. È però interessante notare che nelle Indicazioni i riferimenti all’insegnamento della Costituzione segnalino in particolare gli articoli 2, 3, 4, 8 e poi saltino direttamente agli articoli successivi al 13, istituendo quindi una gerarchia tra i contenuti “costituzionali” da insegnare in questa età. Non è la sede per analizzare queste scelte, ma occorre almeno notare la mancanza dell’articolo 11 (ripudio della guerra), un tema importante che dal 1991, l’anno della Prima guerra del Golfo, non sembra trascurabile nelle competenze di cittadinanza globale auspicabili per le giovani generazioni.
Una caratteristica accomuna tutte queste scelte curricolari: la conoscenza della Costituzione che viene consigliata e richiesta nella scuola primaria non passa attraverso la conoscenza storica. Nessun rimando anche implicito nelle diverse trattazioni ufficiali suggerisce di mostrare i principi nella loro genesi storica o di contestualizzarne i temi nella temperie della Seconda guerra mondiale e del passaggio dal fascismo alla Repubblica. D’altronde ciò è comprensibile, visto che quel periodo storico è uscito dai contenuti previsti per quella fascia di età e attribuiti a quella tipologia di docenti. L’unica tenue apertura ai contenuti della storia contemporanea ha il carattere del confronto a partire dalla trattazione della storia generale, citato tra i «Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola primaria»: «Comprende aspetti fondamentali del passato dell’Italia dal paleolitico alla fine dell’Impero romano d’Occidente, con possibilità di apertura e di confronto con la contemporaneità» (MIUR 2012, 53). Un po’ poco rispetto al curricolo che tra il 1996 e il 2004 prevedeva lo studio del Novecento in quinta classe.
Come si insegna oggi la Costituzione: qualche esempio dai sussidiari
Se queste sono le indicazioni che si trovano nei testi ministeriali, qual è la situazione reale che si realizza nelle classi? Cioè, in anni in cui si è fatta sempre più labile la prescrittività dei contenuti didattici citati nelle Indicazioni (un tempo “programmi”), e nei quali la riorganizzazione didattica è sempre più legata alla retroazione di prove di valutazione nazionali come i test Invalsi, come è possibile avere una percezione abbastanza realistica di come viene trasmesso un contenuto didattico preciso e concreto come la Costituzione? L’oggetto che viene in nostro aiuto per questa panoramica è certamente il sussidiario. Il libro di testo infatti, cercando una mediazione tra le indicazioni ministeriali e la cultura didattica dei docenti in servizio (che sono i decisori delle adozioni), opera una sintesi che possiamo provvisoriamente considerare indicativa della fenomenologia che si dispiega nelle scuole.
La formula più comune attraverso cui viene affrontata la Costituzione è quella dei precetti del diritto in sé, in astratto. Gli articoli vengono cioè presentati come elementi giuridici e si prova a spiegare in cosa consistano aprendo tutt’al più similitudini con la vita di relazione del bambino nella scuola o nel suo ambiente di vita. Nel peggiore dei casi questo studio si riduce a precettistica con domandina finale a risposta multipla stile invalsi, ma anche quando è più articolato questo approccio ipostatizza le caratteristiche giuridiche del dettato costituzionale, che nella scuola primaria diventano immediatamente astrazioni etiche quasi atemporali, strumenti di educazione morale (ad esempio: Floreale 2019).
In altri casi - molto meno frequenti però - gli autori dei testi provano ad uscire dalla strettoia di tipo etico-normativo per usare la storia, paragonando gli elementi della Costituzione italiana agli elementi delle raccolte di leggi delle civiltà antiche. Il curricolo di studi sulla storia antica (da quindici anni l’unico attribuito alla scuola primaria) diviene quindi il terreno dove andare a cercare le “occasioni” per parlare di Costituzione. Però il risultato lascia molto a desiderare.
Ad esempio, lo studio la democrazia ateniese è l’occasione per mostrare che la Costituzione italiana non è diretta ma rappresentativa, fa parte delle costituzioni “moderne” e che quindi il diritto di voto si estende a categorie di persone a cui era interdetto in passato. Una comparazione a scavalco di duemilacinquecento anni, però, produce quasi sempre esiti imprecisi, talvolta semplicistici e talaltra errati. Così, quest’idea di ampliamento del diritto di voto si scontra con la legge restrittiva operante in Italia sull’acquisizione della cittadinanza, per cui non solo tanti stranieri che da anni vivono in Italia, ma anche tanti ragazzi e ragazze nati e cresciuti qui non possono votare una volta raggiunto il diciottesimo anno di età ma devono iniziare le pratiche per il riconoscimento della cittadinanza (sempre che le famiglie non abbiano interrotto per vari motivi la residenza in Italia). Di questa contraddizione “moderna” non fa menzione alcun sussidiario, mentre invece sono comuni gli errori: «Ad Atene il diritto di partecipare al governo era negato a molte persone (donne, stranieri, schiavi...); negli stati moderni, invece, ne hanno diritto tutti coloro che hanno raggiunto la maggiore età» (Sussidiario delle discipline 2019); oppure «Un’altra differenza fondamentale tra la democrazia ateniese e quella italiana sta nel fatto che in Italia possono votare [...] tutti i cittadini che abbiano compiuto i 18 anni, uomini e donne. Ad Atene invece non tutti erano considerati cittadini: gli stranieri, gli schiavi e le donne erano esclusi da questa categoria e non potevano quindi partecipare alla vita politica della polis» (Fontolan, Banderali 2018). Un altro testo definisce la democrazia ateniese «democrazia incompleta» (Puggioni, Branda 2019a), trasmettendo così una misconcezione che pone il presente al termine dalla storia, come realizzazione della “completezza”, cioè della perfezione, esito di una storia delle idee di tipo finalistico-evolutivo.
Altri temi che si offrono a questa dubbia comparazione sono riferiti al codice di Hamurrabi e al risarcimento citato in esso dovuto da chi cava un occhio (ad esempio Puggioni, Branda 2019b e Girotti et al. 2019). Il paragone è con l’articolo 3 della Costituzione che considera i cittadini «uguali di fronte alla legge» mentre nel Codice babilonese esistono pene diverse se il reato viene commesso verso gli uomini liberi, i semiliberi o gli schiavi. In realtà è l’esistenza della schiavitù nel mondo antico la vera differenza con il presente, mentre il diverso valore della persona legato al reddito sopravvive anche nella nostra società (il cosiddetto «danno patrimoniale da lucro cessante», patito ad esempio dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, dipende dal reddito della persona deceduta). [3].
L’antico Egitto viene scelto per mettere in evidenza il carattere avanzato della sua organizzazione sociale rispetto al genere, ma poi si accenna al fatto che i diritti delle donne in Italia non sono stati una conquista semplice, fermandosi però alla soglia di quello che sarebbe stato un interessante approfondimento.
Un altro testo, dell’editrice di area cattolica La Scuola, decide di aprire una finestra di comparazione a partire dall’articolo 8 sulla libertà religiosa (Floreale 2019). La scelta però crea solo fraintendimenti, poiché il riferimento alla Costituzione viene occasionato dalle persecuzioni romane a danno delle prime comunità cristiane: sembra quasi che i redattori della Costituzione redigendo l’articolo pensassero ai martiri cristiani, mentre erano le discriminazioni e le persecuzioni fasciste a danno degli ebrei e di altre comunità religiose che erano nella mente dei padri costituenti al momento della redazione di quell’articolo.
Per chiudere questa rapida carrellata cito un altro sussidiario che sceglie di tematizzare l’articolo 11, includendo nella pagina l’immagine di un bunker fascista e citando l’Organizzazione delle Nazioni Unite nata nel 1945 (Valeri et al. 2019). Nonostante i riferimenti evidenti a quel contesto storico novecentesco, non prende corpo la fatica concettuale di dire che questo articolo e l’Onu nascono “proprio” dopo l’esperienza della seconda Guerra mondiale, come reazione ad essa; sembra quasi che tale esplicito riferimento - che potrebbe aiutare a comprendere - venga percepito dagli autori del testo come troppo ardito da presentare ai nostri bambini e bambine di 11 anni.
Perché capire la genesi di una legge ci aiuta a comprendere la legge
Eppure la genesi di una legge ci aiuta a capire il senso di quella legge. Conoscere il contesto storico che ha accompagnato la nascita della Costituzione aiuterebbe moltissimo a capire il significato dei suoi articoli e a considerarla un prodotto della storia, non qualcosa di staccato da essa. La nostra Costituzione nasce a valle di vent’anni di dittatura fascista, al termine della guerra mondiale che ha prodotto più morti nella storia, specialmente tra i civili, a dieci anni dalle leggi razziali contro africani ed ebrei. Solamente la conoscenza di questi elementi può guidare un bambino o una bambina di oggi a comprendere il significato degli articoli scritti dagli uomini e dalle donne che avevano faticosamente condotto l’Italia fuori da quel periodo tremendo della storia. Solo riprendendo in mano i testi che ci raccontano la genesi della Costituzione possiamo illuminarne la genealogia dei temi e dei princìpi.
Certo, il curricolo di storia antica cui le scuole primarie sono legate limita fortemente l’applicazione di questa prospettiva alla didattica della Costituzione. Quello che si è smarrito con il curricolo di storia generale esteso fino al Novecento è lo sguardo prospettico degli insegnanti, è scomparsa l’idea che nel corso della permanenza nella scuola elementare si sarebbe arrivati a presentare la Seconda guerra mondiale, il fascismo, e quindi la Resistenza. La trasformazione del curricolo ha avuto un effetto di disimpegno rispetto alla storia recente, come se quel periodo storico non fosse più un problema didattico dei docenti della primaria. Nel giro di pochi anni sono scomparse dalle pareti delle aule le linee del tempo del Novecento, la storia contemporanea si è schiacciata sul presente (Gabrielli 2020). Ciononostante credo che solamente infilando gli “occhiali della storia” si possa riuscire a trasmettere il senso e ad avviare la comprensione di ciò che significa la nostra Costituzione.
Guardare la Costituzione con gli occhiali della storia
Prendiamo come guida un bel saggio di Mirco Dondi, La Costituzione repubblicana: i principi dell’antifascismo e il valore umano del lavoro (2008) e proviamo a trarre da esso gli elementi all’origine di alcuni articoli della Carta, illustrandoli ai bambini attraverso documenti il più possibile emblematici ma di tipologie famigliari a scolari di questa età.
Partiamo dall’articolo 3. Dondi scrive:
La Costituzione in alcuni suoi articoli è ridondante, ma le meticolose distinzioni del legislatore servono a rigettare, rimarcandole indirettamente, le violazioni del fascismo. Si osservi, tra gli altri, l’articolo 3; l’incipit è già inequivocabile nella sua universalità “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, ma al legislatore preme che non esistano ragioni di disuguaglianza e allora specifica: “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La casistica enumera le forme delle discriminazioni del fascismo prendendone le distanze (Dondi 2008, 5).
Alla luce di questa riflessione, perché non parlare di tali categorie raccontando in che modo furono discriminate dal fascismo?
Iniziamo dalla “razza”. Perché non raccontare le scelte razziste del regime, le norme che a seguito della conquista dell’Etiopia considerarono inferiori gli africani e quelle che a partire dal 1938 considerarono “razza” gli ebrei e li discriminarono? E per mostrare quanto fosse capillare la scelta razzista potremmo scegliere come documenti da far analizzare proprio dei materiali scolastici. Per il razzismo coloniale è sufficiente l’immagine dell’album da disegno che riproduce un bambino coloniale bianco che dipinge con vernice bianca un coetaneo dalla pelle nera. Per il razzismo antisemita basta far leggere e poi interpretare la storia a fumetti di Assalonne Mordivò che fu pubblicata sul giornalino “il balilla”. Infine si potrebbe completare la serie didattico-documentaria con un modello di dichiarazione di non appartenenza dei genitori alla razza ebraica da compilare nel 1938 per non essere esclusi dalla scuola. Non si tratta di un percorso di conoscenza complesso, ma sufficiente perché dopo di esso risulti più comprensibile la lettura dell’articolo 3 relativamente al lemma “razza”.
Lo stesso percorso dovrebbe essere predisposto anche per le altre categorie elencate. Per comprendere le discriminazioni di “sesso” basterà insegnare che le donne non votavano alle elezioni nonostante che le richieste in tal senso di gruppi organizzati avessero già una storia pluridecennale, e che poterono votare solo una volta abbattuto il fascismo. Inoltre si potrà far leggere e interpretare una delle tante pagine di sussidiario del ventennio nella quale il ruolo femminile veniva considerato ancillare (cosa tra l’altro che non terminò certo con la caduta del regime). Ad esempio un semplice problema di matematica in cui il ruolo della bambina è di cucire le camicie nere dei fratelli e del babbo.
Per le “opinioni politiche” si potrebbe raccontare la storia di Gramsci, uno dei pensatori italiani più famosi nel mondo, morto nelle carceri per la sua opposizione al fascismo, ma anche mostrare una foto di una squadra di picchiatori e raccontare che le azioni di questi gruppi erano finalizzate a impedire con la forza a chi la pensava diversamente di esprimere le proprie opinioni.
Per quanto riguarda le confessioni religiose diverse da quella cattolica, tutelate anche dall’articolo 8, possiamo mostrare il disprezzo del fascismo per la libertà religiosa attraverso una semplice immagine della «Difesa della razza» che riproduca un atto di odio per un simbolo religioso ebraico, come quella sulla copertina del 20 gennaio del 1943 in cui lo stivale di un militare calpesta una stella di David.
Per la spiegazione della libertà linguistica, tutelata anche dall’articolo 6, che in effetti è difficile da comprendere per i bambini di oggi, si può però raccontare la vicenda del confine orientale, della chiusura delle scuole di lingua slovena, ma soprattutto della proibizione decretata dal fascismo di parlare in sloveno anche per la strada e dell’italianizzazione dei nomi. Esistono emblematici documenti scaricabili in rete su questo tema, a partire dal proclama affisso dagli squadristi di Dignano, che minaccia chi canti o parli in lingua slava nei luoghi pubblici.
Dondi poi spiega che
anche l’articolo 16 esprime un diritto ovvio, la libera circolazione e il soggiorno in qualunque parte del territorio nazionale, dal momento che la Costituzione già riconosce “i diritti inviolabili dell’uomo» (articolo 2). Occorreva affermare il rifiuto della pratica fascista del confino di polizia per i reati politici, in conseguenza di questo, circa 17.000 antifascisti erano stati costretti a soggiornare in località sperdute, come Gaeta o a Ponza, senza più avere la libertà di movimento all’interno dello Stato (Dondi 2008, 5).
Quindi in questo senso sarebbe importante raccontare brevemente la storia di persone come Ernesto Rossi e Altiero Spinelli che - confinati nell’isola di Ventotene - scrissero il Manifesto per un’Europa libera e unita, uno dei testi fondanti della futura unità europea, o come Sandro Pertini, confinato a Ponza e poi a Ventotene, o Emilio Lussu, Fausto Nitti e Carlo Rosselli confinati a Lipari ma poi fuggiti...
Come ultimo esempio di questa introduzione alla Costituzione attraverso la storia non si può tralasciare l’articolo 11 che manifesta il ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Come spiegare questo articolo senza presentare le tragedie della Seconda guerra mondiale? Senza raccontare la scelta del fascismo dapprima di invadere l’Etiopia, poi di combattere contro la Repubblica spagnola, quindi di seguire Hitler nel tentativo di conquistare brandelli di Europa, dalla Francia all’Unione sovietica passando per la Grecia e la Jugoslavia? Ma forse è sufficiente mostrare ai bambini di oggi su quali materiali didattici studiavano le generazioni cresciute nel fascismo, nutrite a suon di Educazione militare, marce, bellicismo, militarismo fin nei problemi matematici. Solo così si può capire la scelta di sancire un taglio netto con quel passato introducendo il ripudio della guerra.
Come si vede è sufficiente considerare la Costituzione non una tavola astratta delle leggi, ma il prodotto di uomini e donne che avevano subito il fascismo, sui loro corpi o su quelli degli amici e dei parenti, lo avevano combattuto, e una volta arrivati a sconfiggerlo nel corso della più grande e sanguinosa guerra della storia, avevano tratto conseguenze e insegnamenti per scongiurare il ritorno di quel passato e per costruire un diverso futuro. Solo così si riesce a capire il senso della Costituzione, perché solo comprendendo il significato di quegli articoli nel loro tempo si può provare a renderli nuovamente vivi declinandoli nella società presente.
Bibliografia
- Battaglia, Roberto. 1953. Storia della Resistenza italiana. Torino: Einaudi.
- Dondi, Mirco. 2008. “La Costituzione repubblicana: i principi dell’antifascismo e il valore umano del lavoro.” Storia e Futuro, 18, ottobre 2008
- Floreale, Monica. 2019. Esploramondo, 5. Brescia: La Scuola.
- Fontolan, Anna, Banderali Albertina. 2018. Nati per conoscere, 5. Milano: Mondadori.
- Gabrielli, Gianluca, ed. 1998. L’ Africa in giardino: appunti sulla costruzione dell’immaginario coloniale. Anzola dell’Emilia: Grafiche Zanini.
- Gabrielli, Gianluca. 2020. “Costruire linee del tempo nella scuola primaria”, Novecento.org, 13. http://www.novecento.org/pensare-la-didattica/costruire-linee-del-tempo-nella-scuola-primaria-6193/.
- Girolami Francesca, Calzi Alessandra. 2019. Studio così, 5. Milano: Cetem.
- Girotti Germana, Canali Tiziana e Merlo Donatella. 2019. Cittadini del XXI secolo, 4. Milano: Mondadori education.
- MIUR. 2012. “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione.” Annali della Pubblica Istruzione, LXXXVIII, numero speciale. http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf
- Onb. 1931. Le vacanze dei balilla, 2. Roma: Onb.
- Pacchi, Arrigo. 1959. “Il convegno di Firenze su ‘La Resistenza e la scuola’”. Il Movimento di liberazione in Italia, 55, 83-87.
- Puggioni, Monica e Branda, Daniela. 2019a. Campo base, 5. Firenze-Casalecchio di Reno: Giunti Del Borgo.
- Puggioni, Monica e Branda, Daniela. 2019b. Campo base, 4. Firenze-Casalecchio di Reno: Giunti Del Borgo.
- Sussidiario delle discipline, 5. 2019. Milano: Gaia.
- Valeri Flavia, Tommaso Martina, Bertella Andrea, Gatti Irma, e Sartori Petra. 2019. #Che saperi, 5. Milano: Rizzoli education, Fabbri, Erickson.
- Zammarchi Angelo et al. 1937. Il libro della terza classe elementare: religione, storia, geografia, aritmetica. Roma: La libreria dello stato.
Note
1. L’ultimo passaggio di questa intricata storia recente della Costituzione a scuola è la legge 92 del 2019 che introduce - ma dall’anno scolastico 2020-21 - l’insegnamento trasversale dell’Educazione civica per un’ora a settimana ma senza nessun aumento dell’orario scolastico, affidato, in contitolarità, ai docenti delle stesse istituzioni scolastiche.
2. «Che in questi stessi programmi — conformemente a una ininterrotta tradizione della scuola pubblica fondata nel Risorgimento — trovino il loro svolgimento ordinato gli avvenimenti successivi al 1918 fino ai nostri giorni, almeno fino all’entrata in vigore della nostra Costituzione» (Pacchi 1959, 87).
3. Sesta Sezione Civile della Cassazione, ordinanza n. 6619/18, depositata il 16 marzo 2018.