Stefano Colavecchia, “Alberico Gentili e l’Europa. Storia ed eredità del pensiero di un esule italiano nella prima età moderna”, Macerata, EUM-Edizioni Università di Macerata, 2018, 226 pp.
Alla consistente storiografia più o meno recente su Alberico Gentili (San Ginesio 1552 – Londra 1608) si aggiunge ora la monografia di Stefano Colavecchia, pubblicata all’interno della nuova collana del Centro Internazionale di Studi Gentiliani.
Risultato della revisione e dell’ampliamento della tesi di laurea dottorale, il libro segue le complesse vicende umane e scientifiche del giurista, esule religionis causa, dall’Italia dell’ultimo quarto del Cinquecento fino all’Inghilterra elisabettiana e dei primissimi anni del regno di Giacomo I. Quanto già da tempo noto alla storiografia italiana e straniera, analizzato e discusso con attenzione, è approfondito e integrato con nuovi elementi di conoscenza e con la formulazione di nuove ipotesi di lavoro per proseguire la ricerca.
Nel primo capitolo (Medici, giuristi, esuli. L’eresia di una famiglia) Colavecchia delinea il contesto e ripercorre cause e motivi per cui Matteo, medico, padre di Alberico nonché del più giovane Scipione (altro noto giurista), decise di separarsi dal resto della famiglia e di lasciare l’Italia nel 1578, peregrinando tra Padova, la Carniola austriaca, alcune città del Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca (dove Scipione si fermò), per approdare infine con il solo Alberico in Inghilterra nel 1580. Fu dall’estate del 1580 che Alberico, avendo già conseguito in Italia il titolo di doctor utriusque iuris e avendo già iniziato la sua carriera di giurista pratico, entrò in contatto con il più importante e influente circolo politico e culturale inglese della corte di Elisabetta I, in una Londra da qualche tempo residenza di altri italiani esuli in quanto eretici per la Chiesa cattolica romana. I tentativi di Alberico di ottenere una cattedra presso l’università di Oxford furono però resi vani sia a causa di diverse impostazioni metodologiche con i giuristi oxoniensi, sia per accese discussioni con i teologi puritani, che accusavano gli italiani di essere papisti. Per questi motivi Alberico ritenne di dovere lasciare l’Inghilterra nell’estate del 1586. Lo fece seguendo l’ambasceria inglese inviata presso la corte del duca di Sassonia per ottenere la mobilitazione di truppe a sostegno degli ugonotti. In Germania Alberico fu anche a Wittenberg, dove poté riabbracciare il fratello Scipione e incontrare nuovamente il filosofo Giordano Bruno. Riapertasi la possibilità della cattedra a Oxford, Alberico rientrò in Inghilterra e ricevette la nomina a professore regio di diritto civile nel giugno 1587, carica che occupò ininterrottamente fino al 1605. In quell’anno decise di lasciare la cattedra per accettare l’incarico di avvocato dell’ambasciata di Spagna presso la Corte dell’Ammiragliato di Londra: una scelta a favore della cattolica monarchia spagnola che costò ad Alberico, di nuovo, violente contestazioni da parte dei puritani.
Perseguitato, Gentili, come eretico in Italia dalla Chiesa cattolica romana e attaccato ripetutamente dai puritani inglesi come papista (avendo peraltro aderito alla Chiesa anglicana): un apparente paradosso che stimola Colavecchia a concludere il primo capitolo con dense pagine (Contro il fanatismo: valor civile della religione e pratica della tolleranza, pp. 48-79) sulla necessità di ricostruire le caratteristiche dottrinali e teologiche dell’eresia di Alberico attraverso l’analisi dei suoi lavori. In primis il De papatu Romano Antichristo (alla data della pubblicazione del libro di Colavecchia ancora manoscritto, ma nel frattempo edito a cura di Giovanni Minnucci), steso in una prima redazione tra il 1580 e il 1585. Se la critica radicale al papato romano era articolata in argomentazioni volte a rifiutare e a ribattere le accuse di papismo rivolte ad Alberico dai teologi puritani, l’opera rivela peraltro come nel suo pensiero non vi sia contraddizione o alternatività tra una visione teologica e una giuridica del mondo.
Lo stretto legame tra la dimensione religiosa del pensiero di Alberico, la sua cultura giuridica e teologica, la sua concezione della politica è oggetto del secondo capitolo del libro (Attraverso le guerre. La riflessione politica, religiosa e giuridica). Il problema è approfondito soprattutto attraverso la lettura del De legationibus, dedicato alla figura e alla funzione dell’ambasciatore, pubblicato a Londra nel 1585. Si tratta di uno scritto in cui, dato il tema, è centrale la valutazione della azione politica prudente: per Gentili possibile grazie alla conoscenza della storia e della filosofia. Una questione, quest’ultima, che porta Colavecchia a soffermarsi con nuove domande su un caso editoriale già noto agli studiosi, ovvero la pubblicazione surrettizia londinese nel 1584 dei Discorsi di Niccolò Machiavelli ad opera dello stampatore John Wolfe, nonché al ruolo rivestito in tale impresa da una figura cruciale per la diffusione della cultura italiana rinascimentale e umanista in Inghilterra, il modenese Giacomo Castelvetro, esule a Londra dal 1574.
Nella prefazione anonima, Lo stampatore al benigno lettore, la figura di Machiavelli emergeva in completa controtendenza rispetto all’antimachiavellismo dominante in Inghilterra e in Europa, soprattutto tra i protestanti: non si rivolgeva ai tiranni, ma metteva in guardia i popoli dalle logiche del potere. Che ispiratore dell’anonimo prefatore (cioè, Castelvetro) fosse proprio Gentili è ipotesi formulata da tempo, sulla base del rapporto tra il modenese e i due fratelli Gentili, sul comune coinvolgimento di Castelvetro e Alberico nella missione diplomatica al duca di Sassonia nel 1586, sul fatto che nel 1589 Castelvetro poi finanziò e curò in prima persona la pubblicazione delle De jure belli commentationes di Alberico, ovvero del nucleo teorico dell’opus magnum successivo De jure belli (1598). Oltre tutto ciò, Colavecchia individua una serie di assonanze tra passaggi del De legationibus di Alberico e la prefazione anonima all’edizione londinese dei Discorsi di Machiavelli, che consistono nella interpretazione antitirannica dell’opera del Segretario fiorentino e nell’elogio del suo metodo di studio per la comprensione della realtà politica, la compenetrazione di storia e filosofia. È tale metodo che secondo il prefatore Castelvetro-Gentili consente di distinguere tra tiranno e principe legittimo e a vedere se uno stato è bene ordinato.
Si tratta di una interpretazione di Machiavelli che, per Colavecchia, spiega la convivenza nel pensiero politico di Alberico di due divergenti e ambigue tensioni politiche e ideologiche: una valutazione positiva del modello assolutistico di sovranità da una parte, unita però – dall’altra - alla preferenza per l’assetto repubblicano dello stato in base agli ideali della monarchia limitata. La apparentemente inconciliabile dicotomia in Gentili si può spiegare «in nome di un unico criterio supremo che riposa al fondo di tutta la sua riflessione giuridica, religiosa, politica: la neutralizzazione del conflitto civile e la conservazione dello Stato» (p. 118). Come la lettura di Machiavelli veicolata dalla edizione dei Discorsi, la posizione di Alberico si inseriva a pieno nel dibattito contemporaneo inglese sulla forma di governo, nella tensione tra costituzione mista “repubblicana” e dispotismo, ovvero sulla concezione del sistema politico inglese come monarchical republic. Solo nel 1605, a due anni dall’inizio del regno di Giacomo I, anche a seguito dello sventato ‘complotto delle polveri’ Gentili avrebbe manifestato una chiara opzione per la concezione assolutistica del potere monarchico.
Se la circolazione e la durata del pensiero gentiliano deve molto, indubbiamente, alla sua teoria del diritto di guerra, nell’Europa del Sei-Settecento non ne fu comunque l’unico tramite. Nell’ultimo capitolo (Una rilettura della fortuna gentiliana. Europa e Italia nel Sei e Settecento) Colavecchia ripercorre – anche in questo caso con un’attenta conoscenza storiografica unita a nuovi approfondimenti – le numerose tracce lasciate dalla originale lettura di Alberico del pensiero di Machiavelli «scrutando anche tra le pieghe delle ambiguità degli scritti gentiliani» (p. 173). Seguire tali tracce in Inghilterra, innanzitutto, ma poi anche in Germania e in Italia, consente così di liberare l’opera di Gentili dalla damnatio memoriae nella quale a lungo parve essere stata condannata fino al 1874, quando Thomas Erskine Holland tenne a Oxford la lezione inaugurale sulla cattedra di diritto civile, e poi in seguito fece ristampare il De jure belli.
La storia e l’eredità del pensiero dell’esule Gentili delineate nel libro di Colavecchia intendono mostrarne la peculiarità «come un’inesauribile paradigma di approcci, domande, analisi sulla complessità della vita delle società politiche, delle istituzioni e delle loro molteplici relazioni reticolari sul piano internazionale – tra eguali – e sul piano interno tra le diverse articolazioni della società» (p. 215).