Le recenti rivolte giovanili nelle banlieue francesi hanno riacceso il dibattito sui problemi delle periferie urbane e messo in luce la condizione di disagio sociale che spesso le caratterizza. Nel caso francese lo stato marginale in cui vivono gli abitanti delle periferie si è rivelato insopportabile soprattutto per i più giovani, delusi dalla mancata corrispondenza fra il mito del progresso nutrito dalla città contemporanea e le occasioni quotidiane per realizzarlo. È risultata così evidente al mondo intero la geografia urbana della marginalità e della violenza che, sebbene poco conosciuta e localizzata in alcune aree, da oltre un ventennio caratterizza la Francia[1].
Ma ciò che colpisce e che preoccupa nell’esplosione della situazione francese è la consapevolezza della sua esportabilità, giacché le banlieue di Parigi, Lione o Bordeaux, non sono che l’emblema di uno sviluppo che coinvolge in modo differenziato le società occidentali, che investe in modo diseguale le diverse aree al loro interno, con evidenti squilibri fra centro e periferia in termini di benessere e di opportunità (qui ci riferiamo in particolare ai sistemi urbani, ma su scala allargata analoghi squilibri di risorse, anche se dal carattere meno conflittuale, persistono fra città e campagna, pianura e montagna, contribuendo ad una stratificazione della popolazione in termini di opportunità ambientali o di milieu). Squilibri di risorse fra centro e periferia ai quali si sommano, in misura crescente nelle città globalizzate, differenziazioni o discriminazioni su base etnica.
L’accoglienza riservata agli immigrati stranieri, importati in modo massiccio dai principali paesi europei a partire dal secondo dopoguerra, non è stata, a ben vedere, molto generosa. In quegli anni anche gli Italiani parteciparono numerosi a questi spostamenti interni all’Europa, alla ricerca di un lavoro che rendesse la loro vita più dignitosa. E gli Italiani, insieme ai lavoratori greci, spagnoli, portoghesi, oltre che yugoslavi, tunisini, marocchini, turchi, contribuirono prima alla ricostruzione post-bellica, poi a colmare le crescenti carenze di manodopera di determinati settori manifatturieri e dei servizi, e a contenere la progressiva erosione della popolazione che si manifestava in modo già evidente in alcuni paesi, fra i quali, in primo luogo, la Francia. Nonostante il ruolo fondamentale ricoperto da questi lavoratori[2], che scontavano la fatica di allontanarsi dai luoghi nativi e dagli affetti per contribuire alla crescita del benessere negli Stati europei che trainavano la ripresa economica, il sistema di accoglienza riservato loro comprendeva, il più delle volte, abitazioni fatiscenti, quando non vere e proprie baraccopoli, marginalità sociale, malattie [3].
In Francia è stato proprio il piano per l’abbattimento delle bidonville che si erano estese in modo preoccupante attorno ai grandi centri urbani, avviato negli anni Sessanta del Novecento, a generare i quartieri popolari caratterizzati dalle “torri” e dalle “barre”, per riferirsi al modo in cui qui sono chiamati i grandi edifici di edilizia residenziale pubblica, a seconda che si estendano in senso verticale oppure orizzontale, costruiti nelle aree periferiche delle principali città, spesso in prossimità delle concentrazioni industriali. L’ammassamento degli stranieri in questi quartieri non è avvenuto, quindi, in modo spontaneo, ma è derivato, al contrario, dalla politica di attribuzione degli alloggi sociali attivata dall’Amministrazione pubblica. Mentre, grazie ad un migliorato livello di vita, gli affittuari francesi si allontanavano dalle periferie per occupare abitazioni e zone migliori, nelle banlieue trovavano posto gli sfollati dalle bidonville e i nuovi immigrati arrivati negli anni Settanta, soprattutto famiglie numerose di origine maghrebina [4].
Si gettarono così le basi, a partire dal secondo dopoguerra, anche attraverso le politiche di accoglienza ed inclusione attuate dagli Stati, di una situazione che ha portato gli immigrati stranieri ad alimentare le nuove sacche di marginalità e povertà, dopo il progressivo assorbimento degli squilibri interni. In anni più recenti i paesi europei divenuti per ultimi meta di immigrati, come ad esempio l’Italia, hanno ripercorso a loro volta gli stessi errori, nonostante le difficoltà pagate attraverso l’esperienza migratoria dei propri lavoratori.
Le banlieue o cité, come vengono anche indicate le periferie in Francia, dagli anni Novanta sono state investite, in un crescendo di preoccupazione da parte dell’opinione pubblica francese, da fenomeni di progressiva etnicizzazione. È probabilmente in questa luce che possono essere letti diversi processi concatenati, quali l’incremento fra gli abitanti delle periferie di sentimenti di solidarietà e riconoscimento su base etnica, la rappresentazione sempre più diffusa, fra la popolazione generale, di questi quartieri quali luoghi in cui si intrecciano immigrazione, marginalità, violenza, ed una politica sociale caratterizzata da un insieme di provvedimenti rivolti a settori specifici della popolazione, che hanno contribuito alla stigmatizzazione dei soggetti che volevano aiutare.
La stessa evoluzione semantica del termine “banlieue”, che oggi non evoca più in Francia semplicemente la periferia, quanto i quartieri caratterizzati da difficoltà di ordine economico e sociale, cela l’intreccio fra le cause e gli effetti dei processi che hanno portato alla situazione attuale. Come ha osservato Costa-Lascoux [5], se il cambiamento di senso ha accompagnato fenomeni di concentrazione della popolazione immigrata (o di origine immigrata, intendendo in tal caso i cittadini francesi che abbiamo una discendenza straniera, e in particolare, africana) negli alloggi popolari e di acuirsi del disagio sociale per l’aggravarsi della disoccupazione nell’ultimo decennio del Novecento, esso è stato accentuato da politiche sociali indirizzate agli immigrati, politiche che hanno cercato di tutelare “la differenza” dedicandovi dei budget, creando delle strutture e formando personale specializzato. L’attenzione dedicata dai poteri pubblici ai particolarismi culturali e alle solidarietà comunitarie ha però legittimato, più o meno inconsciamente, l’affermarsi del concetto di etnicità, poi amplificato dai media [6]
Affrontando la questione da una diversa prospettiva si potrebbe altrimenti osservare che la banlieue (nell’accezione semantica oggi in uso) è emersa, quale sistema spaziale dotato di senso, in modo analogo ad altre formazioni geografiche, come effetto – necessariamente provvisorio, anche se durevole – di un processo di riduzione della complessità ambientale [7]. Processo che, in termini generali, origina dagli attori (che in questo caso sarebbero principalmente rappresentati dai poteri pubblici e dai media), i quali nel mettere in atto le loro strategie di intervento in un determinato territorio si trovano a confrontarsi con un numero di possibilità di azione piuttosto elevato ed operano in condizioni estremamente opache, dato che la progressiva territorializzazione (l’azione dell’uomo sul territorio che produce incorporazione nel medesimo di valori, attributi, ecc.) accresce la complessità dell’ambiente. Per orientarsi in tale complessità gli attori, per interpretare e usare il territorio, devono perciò trasformarlo, attraverso la mediazione del senso, in un ambiente a complessità ridotta [8].
Quindi, se la nuova realtà etnica francese, nonostante tutti i tentativi, anche di tipo legislativo, di negarne o ridimensionarne la valenza pubblica, è un fatto ormai evidente, quello che allo stesso tempo viene denunciato da diversi studi che cercano di decostruire tale realtà, è che la classificazione e la categorizzazione degli attori, attuate ad un livello centrale, stanno alla base dell’organizzazione del territorio e delle relazioni sociali che si è imposta in questi anni [9].
Il paradigma centro-periferia (il centro che produce la periferia) sembrerebbe quindi mantenere, nonostante la crisi irreversibile e profonda che lo caratterizza e la necessità di una sua utilizzazione in termini rinnovati [10], una cerca rilevanza, perlomeno nel caso francese e per le ragioni finora illustrate, per una interpretazione in chiave geografica degli squilibri nelle città contemporanee e dei processi di segregazione sociale e spaziale dei poveri e degli immigrati messi in atto al loro interno. Sebbene per la Francia sia stata rilevata, pur in presenza di una nutrita serie di studi e monografie sui quartieri di immigrati, la difficoltà di una generalizzazione dei risultati all’intera struttura urbana delle grandi città [11], non si può negare che le cité siano diventate, in modo assai diffuso, dei luoghi di vera e propria relegazione, anche se il problema sociale di cui sono l’emblema non può essere unicamente confinato al loro interno.
Al termine di questa lunga premessa vorremmo prendere in considerazione la città di Nizza, prossima ai nostri confini nazionali e a lungo meta di importanti flussi transfrontalieri e migratori anche dall’Italia. Nizza, in realtà, è principalmente nota quale centro principale della Costa Azzurra, destinazione turistica per eccellenza del sud della Francia, piuttosto che per le sue caratteristiche di città d’immigrazione (naturalmente non solo italiana) e per i suoi quartieri “difficili”. Aspetti che, peraltro, vengono celati il più possibile, con strategie diversificate, allo sguardo superficiale del turismo di massa. Fra i quartieri sensibili della regione, l’Ariane, i cui principali squilibri saranno di seguito evidenziati, per cercare di cogliere più da vicino, e in riferimento ad un caso concreto, alcuni degli aspetti peculiari che caratterizzano le periferie francesi, è senza dubbio un caso emblematico, che colpisce fortemente chiunque osservi Nizza appena al di là della rappresentazione patinata proposta allo sguardo del visitatore di passaggio.
E’ il turismo, dunque, l’elemento centrale su cui si basa la costruzione dell’identità nizzarda e della sua cultura locale, a partire dai fasti ottocenteschi dei soggiorni climatici invernali, dai quali ebbe origine l’invenzione, nel 1887, della denominazione “Costa Azzurra”, coniata da Stephen Liégeard, che svernava abitualmente a Cannes, per designare la dolcezza del clima di questi luoghi in opposizione alle temperature più rigide dell’Europa continentale. E’ solo dagli anni Sessanta del Novecento, con l’avvento del benessere diffuso e la trasformazione della clientela turistica, che il turismo estivo ha superato, per dimensioni, quello invernale e Nizza è diventata, da antica capitale del turismo climatico d’inverno, la “capitale di una Costa Azzurra ormai sinonimo di sole e di piaceri balneari”[12]. Si è intensificata in quegli anni una politica del marketing territoriale, nell’accezione che conosciamo oggi, che ha portato ad un crescendo di attenzione verso le caratteristiche locali da offrire ai mercati globali, dalle bellezze del territorio, esaltate dalle strategie di promozione mediatico-pubblicitaria, agli aspetti tradizionali, a volte reinventati ad esclusivo uso turistico [13].
[[figure caption="Veduta della Vieux Nice, www.nice-coteazur.org"]]figures/2006/02giardini/02giardini_2006_01.jpg[[/figures]]Ed è proprio a partire dagli anni Sessanta, terminata la fase della ricostruzione post-bellica, che si è assistito, in Francia, ad una nuova ripartizione spaziale della popolazione immigrata, sulla base delle trasformazioni urbane e industriali in atto nel paese. La regione Provence-Alpes-Côte d’Azur, le cui trasformazioni in quegli anni sono state, come abbiamo visto, in gran parte legate al crescente sviluppo dell’industria del turismo, nel censimento della popolazione del 1975 risultava terza per numero di stranieri, dopo le regioni parigina e del Rodano, e prima per numero di naturalizzazioni. A Nizza, su una popolazione totale di 437 mila persone, gli stranieri a quella data erano 38 mila e fra essi gli italiani, con oltre 14 mila presenze, rappresentavano ancora il gruppo più numeroso, seguiti da algerini, spagnoli e portoghesi[14].
Tuttavia, a quella data, gli italiani non erano più considerati “immigrati” in senso proprio nella zona di Nizza, non solo per la nuova posizione assunta dai lavoratori della Comunità Economica Europea dopo l’entrata in vigore, nel 1968, della libera circolazione della manodopera all’interno dei paesi aderenti, ma in particolare perché, come si legge in un documento ufficiale di quegli anni, sebbene “una minoranza fra loro formi un gruppo che conserva un certo numero di caratteri che permettono di distinguerla ancora come specifica, (essi) presentano delle attività molto diversificate nel tessuto economico del Dipartimento, un insediamento disperso, una distribuzione significativa dei redditi e un eccellente equilibrio fra i sessi. Di fatto, la maggior parte degli italiani, non riconosce più, in modo caratterizzato, la propria appartenenza ad un gruppo. E lo stesso è per il gruppo degli spagnoli, meno importanti per numero”[15]. La denominazione di “lavoratori immigrati” restava invece una prerogativa dei gruppi che mostravano ancora un basso equilibrio fra i sessi, in particolare i tre gruppi nazionali provenienti dal Maghreb (algerini, marocchini e tunisini), i portoghesi e i gruppi più piccoli di jugoslavi, turchi, ecc.[16].
Nel dicembre del 1975 la situazione abitativa degli immigrati nel Dipartimento delle Alpi Marittime era ancora drammatica: le bidonville restavano un fenomeno diffuso (nella sola Nizza la Prefettura censiva ufficialmente oltre 2.600 occupanti di baracche, con una situazione particolarmente difficile nel campo denominato “Digues des Français”, che ne concentrava oltre 2.000), ma altrettanto preoccupante era la situazione rilevata nei foyer (sorta di pensionati per singoli) e negli alloggi insalubri occupati dalle famiglie nei centri cittadini. La stima del fabbisogno abitativo per fronteggiare la situazione era imponente: 5.000 posti da realizzare nei foyer-hotel entro il 1980 e oltre 1.000 alloggi popolari per famiglie da erigere nello stesso periodo [17].
L’accelerazione nello sviluppo urbanistico del quartiere Ariane è derivata proprio dagli impulsi di quel periodo, con un picco nella costruzione di alloggi sociali collettivi fra il 1967 e il 1977. Era urgente trovare una collocazione agli sfollati dagli accampamenti di urgenza. Bisognava risolvere il problema abitativo dei lavoratori francesi rimpatriati dall’Algeria dopo l’inizio del processo di decolonizzazione. Andavano rialloggiati gli abitanti espulsi dal quartiere centrale della Vieux-Nice in corso di rinnovamento. Occorrevano soluzioni abitative per il nutrito gruppo di gitani che si era installato all’ingresso Sud del quartiere dando vita ad una sorta di bidonville. Furono così oltre duemila gli alloggi da affittare costruiti in quel periodo secondo la logica dello stipare il più gente possibile [18] . E sebbene l’Ariane possedesse alcuni dei tratti caratteristici di un vero e proprio quartiere: una piazza principale, la chiesa, una folta presenza di piccole case private, l’arrivo massiccio e concentrato di un così vasto numero di immigrati e di poveri, respinti dal centro e concentrati nei brutti e mastodontici alloggi popolari, contribuì alla generazione di una crisi, di un processo di deterritorializzazione, innescato e aggravato dalle gravi carenze nell’organizzazione sociale dello spazio che le autorità cittadine consegnarono a l’Ariane insieme al nuovo parco alloggi.
[[figure caption="Veduta satellitare della zona sud de l’Ariane, con in primo piano i grandi alloggi popolari, www.nice-coteazur.org"]]figures/2006/02giardini/02giardini_2006_02.jpg[[/figures]]Nel 1990, il censimento della popolazione registrava l’evidenza dei problemi cresciuti a l’Ariane. Un’elevata concentrazione di persone di provenienza straniera, in particolare maghrebina (gruppo che rappresentava quasi il 15% degli oltre 13 mila abitanti del quartiere, ma la presenza di stranieri riguardava anche italiani, portoghesi e turchi) e un numero importante di famiglie gitane [19]. Una presenza determinante delle generazioni più giovani (il 43% degli abitanti aveva meno di 25 anni, contro il 27% nella popolazione totale di Nizza). Un tasso di disoccupazione molto elevato (18% contro il 13% nell’insieme del comune). Uno studio recente, della fine degli anni Novanta, ha messo in luce altri aspetti della situazione di svantaggio che caratterizza il quartiere. La sua cattiva reputazione, spesso amplificata dalla stampa, tanto che l’Ariane è conosciuto e usato come termine di paragone nell’intera regione per operare dei confronti con la peggiore situazione presente fra i quartieri in difficoltà. Il conseguente etichettamento che colpisce in modo pesante l’insieme dei suoi abitanti, ostacolando l’affrancamento dalla marginalità anche dei più capaci. Le carenze del sistema scolastico (l’unico istituto del quartiere, classificato come “stabilimento sensibile”, accoglie quasi il 60% di allievi provenienti da un tessuto sociale sfavorevole, con una quota di stranieri superiore al 44%). Infine, la presenza di bande di giovani teppisti, che, sebbene stimati come poco numerosi, minano la condizione di sicurezza del quartiere, contribuendo con i loro atti violenti, all’allontanamento dell’insieme della popolazione cittadina [20].
L’Ariane, questa lingua di terra ai bordi del fiume Paillon, che si spinge, al margine Nord orientale di Nizza, fra i territori dei comuni di Saint André de la Roche e La Trinité, è infatti molto poco frequentata dal resto della popolazione nizzarda. Allo stesso tempo la sua esistenza sembra quasi negata dall’insieme delle istituzioni della città, in particolare nella rappresentazione pubblica di Nizza, della sua storia e delle bellezze del territorio. Così, ad esempio, la mappa della città offerta dall’Ufficio del Turismo, anche nella versione più estesa disponibile, è “tagliata” all’altezza del boulevard de l’Ariane, la principale strada di accesso al quartiere. Nelle riviste più attente alla tradizione locale il tema dell’immigrazione straniera, quando è trattato, si concentra sui gruppi meno problematici fra quelli presenti: i russi, ricchi possidenti di lussuosi alloggi in città, gli italiani, dei quali si ricordano le usanze dell’inizio del Novecento, gli armeni, di cui si rievoca il genocidio perpetrato nel 1915 [21] . Inoltre, le numerose pubblicazioni su storia e tradizione locale di Nizza ignorano l’Ariane, così come le questioni sociali che attanagliano alcuni quartieri della città [22]. In una dichiarazione rilasciata dal Sindaco di Nizza alla rivista Région citoyenne, a proposito dell’inclusione de l’Ariane fra i quartieri denominati come “Zona Franca Urbana” [23] egli dichiarava che “la metastasi non deve superare il boulevard Pasteur” (arteria viaria situata fra l’Ariane e il centro cittadino)[24]. Una metafora spaziale estrema, che la dice lunga sui sentimenti che generano gli impulsi alla rimozione dei quali abbiamo accennato.
[[figure caption="Alloggi collettivi sulle rive del Paillon"]]figures/2006/02giardini/02giardini_2006_03.jpg[[/figures]]Gli interventi messi in campo a l’Ariane negli ultimi anni fanno però registrare alcuni segnali positivi, come rilevato da parte di componenti del mondo associativo, fortunatamente vitale all’interno del quartiere [25]. Da un lato si punta al rafforzamento delle attività culturali nelle strutture esistenti. Fra queste un ruolo importante è rivestito dal Teatro “Lino Ventura”, una sala da 700 posti, abbinata ad uno studio di registrazione, costruita all’inizio degli anni Novanta e recentemente ristrutturata. Sorto con l’ambizione di attirare a l’Ariane un vasto pubblico dall’esterno e di favorire la mescolanza delle persone, il Teatro ha dovuto in parte ridimensionare i propri obiettivi finendo con l’offrire una programmazione settoriale, rivolta a pubblici diversificati [26]: una proposta di musica rap, raï, flamenco, bene accolta dagli abitanti del quartiere e di musica classica, rock, jazz, fruita principalmente da un pubblico esterno, attirato anche grazie alle precise rassicurazioni in merito al servizio di vigilanza predisposto attorno al teatro [27]. Contemporaneamente ha dovuto svolgere, spesso oltrepassando la propria vocazione originaria e per supplire alla carenza di strutture pubbliche, una serie di servizi per la cittadinanza del quartiere, dall’offerta di spazi per le recite e saggi di danza dei bambini e ragazzi, alla messa a disposizione dei locali per lo svolgimento di incontri pubblici e riunioni [28]. D’altro lato, proprio per colmare le carenze di spazi collettivi, gli interventi nel quartiere mirano anche alla creazione di nuove strutture. L’“Espace Django Reinhardt”, un grande centro multifunzionale con sale attrezzate per l’arte, lo sport, la musica, è stato aperto nel 2003 nel cuore de l’Ariane ed è prevista l’inaugurazione, nel 2006, del Centro socioculturale “Bon Voyage”.
Meno significative risultano invece le azioni per fronteggiare la disoccupazione. Al fine di sostenere lo sviluppo del tessuto economico e migliorare il livello di occupazione nel 1997 l’Ariane è stata inclusa fra le Zone Franche Urbane (ZFU), istituite con una legge nazionale del novembre 1996 di rilancio delle aree degradate. Fra le altre cose, la normativa intende intervenire per la ricostituzione del mercato fondiario e immobiliare nei quartieri disertati dai potenziali acquirenti. Allo stesso tempo contiene misure per il miglioramento delle istituzioni scolastiche. Sul fronte occupazionale la norma prevede agevolazioni significative, in termini di sconti sui versamenti fiscali e della contribuzione sociale, per le nuove imprese create nelle Zone Franche, che impieghino almeno il 20% di lavoratori residenti nel perimetro dell’area [29]. Su questo versante, tuttavia, i dati non sono molto confortanti. Secondo uno studio del 2001, nonostante il numero elevato di imprese impiantate a l’Ariane dopo la sua classificazione come Zona Franca Urbana, il numero di occupati nel quartiere è divenuto proporzionalmente meno importante, tanto da far ritenere che le agevolazioni concesse abbiano sì avvantaggiato il sistema economico delle imprese, ma senza costituire uno stimolo efficace alla creazione di nuovi posti di lavoro [30].
Il peggioramento della situazione occupazionale si rileva anche dall’ultimo censimento generale della popolazione del 1999 [31]. Il tasso di disoccupazione nel quartiere Ariane è passato dal 18% del 1990 al 26% del 1999 (contro il 16% della città di Nizza), con un incremento del 45% che ha riguardato in particolare la componente maschile (a Nizza l’incremento dei disoccupati è stato inferiore al 4%). La popolazione del quartiere ha reagito alla difficoltà di vivere a l’Ariane allontanandosi progressivamente. Fra il censimento del 1990 e quello del 1999 gli abitanti sono passati da 13.219 a 11.624 (meno 12%). In particolare, il 92% del decremento si è verificato nelle fasce di età fino a 45 anni, ad indicare l’emigrazione dei giovani e delle famiglie con bambini. Quelli che sono restati hanno dimostrato con l’astensione massiccia dal voto, nelle ultime tornate elettorali, la propria disaffezione verso una classe politica percepita come lontana, incapace di affrontare e risolvere i problemi di un territorio nel quale convivono degrado urbanistico e disagio sociale.
Le amministrazioni francesi, nazionali e locali, affrontano la complessa problematica delle periferie e dell’inserimento degli stranieri in modo ambivalente e contraddittorio, affiancando le politiche di tipo comune, rivolte alla popolazione generale, ad interventi specifici rivolti ai soli immigrati [32]. Le azioni decentrate rivolte ai quartieri in difficoltà, introdotte a partire dal 1981, sono sì rivolte all’intera popolazione, ma, a causa dei fenomeni di concentrazione degli immigrati (e dei francesi loro discendenti) in questi quartieri, tendono a favorire l’effetto perverso (non voluto dagli estensori del progetto che le introduce) [33] di stigmatizzare le popolazioni che vorrebbero aiutare. Tali azioni, come ha osservato Lepeyronnie [34], sono spesso una derivazione di dispositivi nazionali e l’accesso ai fondi da parte delle municipalità avviene in assenza di una vera analisi dei bisogni, analisi compiuta in molti casi solo a posteriori. Sono esempi di politiche questo tipo la creazione delle ZUP o delle ZFU (Zone Prioritarie e Zone Franche Urbane), per il rinnovamento abitativo e sociale dei quartieri degradati, e delle ZEP (Zone di Educazione Prioritaria), per sostenere l’azione educativa nelle aree con alti tassi di abbandono scolastico. Anche da questo breve esame del caso de l’Ariane, sembra emergere, a nostro avviso, la difficoltà di includere le periferie nel quadro di diritto generale vigente nella nazione francese, con l’effetto di rinnovare il marchio negativo dal quale i soggetti che le abitano faticano ad emanciparsi, cosicché “l’etnicità viene a riempire il vuoto lasciato da una cittadinanza puramente formale quando essa è vissuta in una situazione di «ghetto» o di marginalità. Essa costituisce una sorta di inverso della cittadinanza” [35]. Anche i più recenti progetti sul fronte abitativo si focalizzano sui grandi alloggi popolari degradati con propositi di rinnovamento, ma senza introdurre una logica di dispersione, probabilmente più idonea per affrontare i problemi salienti delle periferie, a cominciare da quello centrale della scuola e della concentrazione del disagio al suo interno. Il noto piano per le banlieue del Ministro della Città Jean-Louis Borloo, che si propone di costruire 200 mila alloggi e di rinnovarne e demolirne altrettanti in Francia entro il 2008, a l’Ariane porterà alla demolizione del vecchio gruppo di alloggi popolari denominato Saint Pierre e alla sua successiva ricostruzione.
Ora, assunto che le dinamiche identitarie si dispiegano in rapporto ai luoghi dell’abitare, a partire da una territorialità costruita storicamente dalle pratiche e dai discorsi delle collettività che se ne curano [36] , questa marginalizzazione (che, come abbiamo visto, diventa talvolta negazione) ha riflessi profondi sui processi di costruzione identitaria all’interno di queste aree. Lo studio di Rinaudo ha infatti evidenziato che per i giovani de l’Ariane il proprio quartiere rappresenta il luogo nel quale essi possono sentirsi al riparo dal respingimento e dall’umiliazione che subiscono regolarmente quando “scendono” nel centro di Nizza e allo stesso tempo lo “spazio di appropriazione collettiva per tutti quelli che condividono una stessa identità sociale stigmatizzata: quella di essere «de l’Ariane»” [37]. E’ su questi aspetti di produzione del senso dei territori che forse occorrerebbe indirizzare le politiche, approntando, insieme agli abitanti e con la loro fattiva collaborazione anche nella fase di attuazione, progetti di riabilitazione delle periferie che possano consentire ai giovani di pensare al futuro in relazione all’appartenenza e alla cura del luogo nel quale affondano le proprie radici.
Note
[1] Già nel 1981, infatti, si verificarono i primi disordini nella banlieue lionese di Vaulx-en-Veline. Per una ricostruzione, in italiano, delle vicende che hanno infuocato le periferie francesi, dagli episodi dei primi anni Ottanta alle rivolte dell’autunno 2005, si veda G. Caldiron, Banlieue. Vita e rivolta nelle periferie della metropoli, Roma, Manifestolibri, 2005.
[2] In Francia, ad esempio, alcuni studi stimano che gli stranieri reclutati dopo il 1945 abbiano costruito la metà delle abitazioni e 90 km di autostrade su 100 (cfr. R. Schor, Histoire de l’immigration en France de la fin du XIX° siècle à nos jours, Paris, Colin, 1996).
[3] Per una visione sintetica delle politiche di accoglienza degli immigrati in Europa nel secondo dopoguerra ci permettiamo di rinviare a A. Giardini, Le politiche di accoglienza degli immigrati nei principali paesi europei, in L. Ganapini (ed.), L’Italia alla metà del XX secolo. Conflitto sociale, Resistenza, costruzione di una democrazia, Milano, Guerini e Associati, 2005. Per un esame più approfondito, fra i molti volumi che riflettono sulle problematiche inerenti all’inserimento degli immigrati stranieri nell’Europa del secondo dopoguerra, si segnalano: AA. VV. Italia, Europa e nuove immigrazioni, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1990, K. J. Bade, L’Europa in movimento. Le migrazioni dal settecento ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 2001, P. Basso, F. Perocco, Gli immigrati in Europa. Disuguaglianze, razzismo, lotte, Milano, Angeli, 2003, R. Cohen, Z. Layton-Henry (ed.), The politics of migration, Cheltenham (UK), Massachussetts (USA), Edward Elgar Publishing, 1997, S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, Bologna, Il Mulino, 1994, P. Corti, Storia delle migrazioni internazionali, Roma-Bari, Laterza, 2003, B. Falga, C. Withol de Wenden, C. Leggewie, De l’immigration à l’intégration en France et en Allemande, Paris, Les éditions du Cerf, 1994, D. Lepeyronnie (sous la direction de), Immigrés en Europe. Politiques locales d’integration, Paris, La documentation française, 1992, D. Lapeyronnie, L’individu et les minorités. La France et la Grande-Bretagne face à leurs immigrés, Paris, Presse Universitaires de France, 1993, R. Miles, D. Thranhardt (ed.), Migration and european integration, London (UK), Pinter Publishers Ltd, Cranbury (USA), Associeted University Presses, 1995, W. Muller-Funk (ed.), Nuove patrie, nuovi estranei, Roma-Napoli, Theoria, 1994, S. Sassen, Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Milano, Feltrinelli, 1996.
[4] R. Schor, Histoire de l’immigration en France de la fin du XIX° siècle à nos jours, cit.
[5] J. Costa-Lascoux, L’éthnicisation du lien social dans les banlieues françaises, «Revue Européenne des Migrations Internationales», 17/2 (2001), pp. 123-138.
[6] Ibidem, 123-124.
[7] A. Turco, Lo spazio non regionalizzato: una versione sistemica, in A. Turco (ed.), Regione e regionalizzazione, Milano, Angeli, 1984.
[8] Ibidem.
[9] Fra gli studi che esaminano i problemi delle periferie in termini decostruttivi si possono vedere J. Costa-Lascoux, L’éthnicisation du lien social dans les banlieues françaises, cit., e C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, Paris, 1999.
[10] F. Boggio, Le relazioni spaziali astratte nello sviluppo e nel sottosviluppo: affermazione in forme materiali, in F. Boggio, G. Dematteis (eds.), Geografia dello sviluppo. Diversità e disuguaglianze nel rapporto Nord-Sud, Torino, UTET, 2002.
[11] E. Preteceille, Segregazione, classi e politica nella grande città, in A. Bagnasco, P. Le Galès (eds.), Le città nell’Europa contemporanea, Napoli, Liguori, 2001.
[12] P. Cuturello, C. Rinaudo, Mise en image et mise en critique de la “Cote d’Azur”. Modes d’articulation du « local » et du «global » dans les reformulations d’identites urbaines, Rappot final de la recherche effectuée pour le compte du Ministère de la Recherche, Décembre 2002, 18.
[13] Ibidem. In realtà la promozione del turismo estivo era già iniziata a Nizza perlomeno attorno al 1920, anche attraverso strategie ricercate (dalla valorizzazione di alcune parti della città, come la Promenade des Anglais, alla invenzione o reinvenzione di tradizioni o attrazioni locali, come il carnevale, le esposizioni internazionali o le gare motociclistiche). A questo proposito Cfr. H. Meller, Nizza e Blackpool: due città balneari agli inizi del Novecento, «Contemporanea», 4/1998.
[14] R. Schor, Histoire de l’immigration en France de la fin du XIX° siècle à nos jours, cit.
[15] Secrétariat d’Etat auprès du Ministere du Travail (Travailleurs Immigrés), Département des Alpes-Maritimes, Programme urbain d’action a moyen terme en faveur des immigrés du Département des Alpes-Maritime (1976-1980), Archives départementales di Nizza, C 2933 DOC, p. 2.
[16] Ibidem.
[17]Ibidem.
[18] C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit.
[19] I riferimenti alla popolazione immigrata in Francia devono tenere conto di alcune importanti questioni, fra cui, in particolare, lo status riservato ai cittadini provenienti dall’Algeria fino al termine del processo di decolonizzazione ed il numero elevato di naturalizzazioni per effetto di una normativa sulla cittadinanza fra le più permissive in Europa.
[20] C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit.
[21] Cfr. la rivista locale Sourgentin, varie annate.
[22] C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit.
[23] Dispositivo introdotto da una normativa francese del novembre 1996 (il cosiddetto Patto di rilancio per la città), che ha selezionato 38 quartieri, particolarmente degradati dal punto di vista occupazionale e ambientale, introducendo vantaggi fiscali rivolti in particolare ai commercianti ed alle piccole e medie imprese operanti in queste aree.
[24] C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit., 42.
[25] Colloquio, nel giugno 2003, con una operatrice dell’Associazione culturale le grain de sable, associazione che lavora in particolare con i giovani del quartiere Ariane.
[26]C. Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit.
[27] Il volumetto di R. Matthey e J-C. Fraicher, 1992-2003. Dix ans de spectacles au théâtre Lino Ventura, ad esempio, si sofferma in varie parti a trattare la soluzione offerta al problema della sicurezza nell’area del teatro, fornendo ogni tipo di rassicurazione ai potenziali clienti.
[28] Colloquio, nel giugno 2003, con il direttore del teatro, Pierre Martinsse.
[29] La zone franche de l’Ariane à Nice: l’état des lieux, Sud INSEE l’essentiel, 3 (1998).
[30] Mairie de Nice, Etude micro économique du quartier de l’Ariane. Decembre 2001, www.nice-coteazur.org.
[31] Ibidem.
[32] Cfr. D. Lepeyronnie (sous la direction de), Immigrés en Europe. Politiques locales d’integration, cit. e D. Lapeyronnie, L’individu et les minorités. La France et la Grande-Bretagne face à leurs immigrés, cit.
[33] R. Boudon, Il posto del disordine: critica delle teorie del mutamento sociale, Bologna, Il Mulino, 1985.
[34] D. Lepeyronnie (sous la direction de), Immigrés en Europe. Politiques locales d’integration, cit..
[35] D. Lapeyronnie, L’individu et les minorités. La France et la Grande-Bretagne face à leurs immigrés, cit., 280.
[36] A. Turco, Abitare l’avvenire. Configurazioni territoriali e dinamiche identitarie nell’età della globalizzazione, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», Roma, Serie XII, vol. VIII (2003), 3-20.
[37]Rinaudo, L’ethnicité dans la cité. Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, cit., 146-147.