Storicamente. Laboratorio di storia

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Paul Oldfield, “Urban Panegyric and the Transformation of the Medieval City”

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Paul Oldfield, “Urban Panegyric and the Transformation of the Medieval City, 1100-1300”, Oxford, Oxford University Press 2019, VI-216 pp.

C’era proprio bisogno di un nuovo libro per farci capire che le città occidentali cambiano tra il 1100 e il 1300? Non c’è il rischio di avere di fronte l’ennesimo saggio, banale, che si appiattisce sulla favola nota: le città acquistano considerazione tra gli intellettuali perché l’economia urbana si espande? Sappiamo già come finisce questa storia: ci bastano le folgoranti intuizioni di Pirenne, di Lopez, di Le Goff. E invece no. Questo piccolo libro è un prodotto originale e raffinato. L’a. affronta la questione dal lato culturale, e ci mostra quanti testi, finora considerati in maniera isolata l’uno dall’altro, siano in realtà connessi con un profondo cambiamento della mentalità. Quindi: sì, sappiamo già come finisce la storia, e poi sì: è l’economia a innescare il mutamento; però il modo attraverso il quale gli intellettuali misero la città al centro del loro interesse, l’intensità stessa di questo interesse e il suo perché sono aspetti rimasti fino a oggi un po’ sfocati, studiati soprattutto nelle ricostruzioni del pensiero di grandi autori, nella trattatistica teologico-filosofica. Mancava invece uno strumento che ci facesse comprendere la pervasività del genere e le sue molteplici manifestazioni, anche le meno illustri. A fornirci questo strumento è uno specialista di storia italiana (in particolare meridionale). Paul Oldfield – senior lecturer presso l’università di Manchester – è noto soprattutto per le sue monografie: City and community in Norman Italy (Cambridge 2009) e Sanctity and pilgrimage in medieval southern Italy: 1000 - 1200 (Cambridge 2014). Non sorprende, dunque, che le fonti riguardanti la Penisola abbiano un ruolo un po’ prevalente all’interno del volume che qui si recensisce.

Parlavamo di un genere di fonte (un quellengattung, se ci avvaliamo della precisione lessicale teutonica), ma quale? È su questo punto che Oldfield dispiega tutta la sua libertà euristica (capitolo 1: The Sources: An Overview). Esiste infatti un genere letterario abbastanza codificato e già ampiamente indagato, la laus civitatis: un componimento perlopiù in poesia destinato alla descrizione encomiastica di una precisa città. Oldfield allarga la propria indagine sull’elogio della città, fino a comprendere tutti i testi connessi con il tema urbano, anche se non sono esclusivamente dedicati alla città: dalla storiografia all’omiletica, dal romanzo cortese all’epica, dalla trattatistica all’agiografia. Vi sono, non c’è dubbio, alcuni autori destinati a tornare più volte nel libro (Bonvesin da la Riva, Salimbene de Adam, Luciano da Chester, William FitzStephen, solo per citarne alcuni), ma il trattamento delle fonti è piuttosto corale e non si può dire che i capitoli siano dedicati ciascuno a una fonte diversa. La genericità di definizione che ha permesso all’a. di ampliare lo spettro delle sue fonti è tutt’altro che un limite, piuttosto è il modo più idoneo per far comprendere la risonanza del ‘tema cittadino’ nello spazio pubblico medievale. Quest’attenzione alla risonanza dei testi è l’elemento di gran lunga più innovativo nell’analisi dello studioso (capitolo 2: Interpretation and Audience). Non dobbiamo esagerare nel ritenere che i modelli letterari condizionino la realtà rappresentata: le descrizioni e gli elogi delle città possono costituire una fonte per la storia urbana e non solo della sua rappresentazione intellettuale. D’altra parte, seguendo la circolazione, la disseminazione dei vari testi e il loro divenire a propria volta modelli, comprendiamo come certe immagini della città siano divenute, tra i secoli XII e XIII, veicoli efficaci di nuovi valori (e nuove egemonie culturali) nell’ambito di una audience molto più vasta rispetto a quella dei secoli precedenti.

L’a. non si sottrae comunque a un’analisi erudita, e più convenzionale, sulla ‘tipizzazione’ dell’elogio o del biasimo verso la città (capitoli 3, 4: The Holy City; The Evil City: Urban Critiques). Nel farlo, tuttavia, mette in evidenza come essa venga sempre più spesso descritta come il luogo di esercizio di una nuova etica laica della socialità (su questo, in particolare il capitolo 5: The city of Abundance. Commerce, Hinterland, People). Perfino la critica, il biasimo, deriva da un confronto con un passato perduto che viene proposto come modello. Siamo dunque ancora nell’ambito di un impiego pubblico, politico, progettuale del tema cittadino. L’elogio della città era spesso un mezzo attraverso il quale il paesaggio urbano poteva essere risemantizzato (capitolo 6: Urban Landscapes and Sites of Power). È dunque indispensabile leggere la retorica urbanistica, oggetto di tanti investimenti da parte dei regimi politici basso medievali, attraverso la lente dei testi dedicati alla città; occorre, insomma, mettere in connessione i monumenti con i documenti, quasi che i secondi costituiscano un Baedeker in grado di esplicitare il messaggio delle muraglie, altrimenti mute. Fondamentale risorsa nella risemantizzazione dello spazio urbano e nella costruzione di una retorica civica era il passato romano, o quello mitico, comunque connesso con il patrimonio letterario dell’Antichità. Provvedersi di interpreti capaci e originali di quella eredità divenne, attorno al XII secolo, una priorità per le varie comunità cittadine, specialmente per quelle italiane. Il proliferare delle scuole fu anche il risultato di una doppia esigenza: da una parte, come si diceva, procurarsi degli interpreti efficaci della nuova retorica civica; dall’altra (e questo è l’aspetto più nuovo della proposta di Oldfield) offrire a quella retorica una cassa di risonanza maggiore allargando il pubblico potenziale (capitolo 7: Education, History, and Sophistication).

È certo un caso che i capitoli del volume siano sette, come le arti liberali insegnate nelle scuole medievali. Mi pare tuttavia che il capitolo finale, dedicato sia all’educazione urbana, sia al ruolo dell’urbanità nell’educazione, rappresenti il coronamento ideale del progetto dell’a.: comprendere cioè non soltanto il messaggio del singolo testo, ma anche la sua risonanza nello spazio pubblico contemporaneo. La città è trattata in questo libro più che altro come una metafora potente: una transumptio, per usare i termini di Boncompagno da Signa, un intellettuale di scuola ben presente tra le fonti di Oldfield. Il panegirico della città può diventare un progetto di vita sociale, un progetto politico, quindi. Il volume va molto al di là di quanto promette nel titolo: si tratta di una proposta interpretativa forte, da raccogliere e sviluppare, vorrei ricordarlo, anche grazie alla grande quantità di dati e di intuizioni che questo libro mette generosamente a disposizione.