Alberto Scigliano, “Simile di Solima ai fati. La «grand narrative» biblista nella cultura ottocentesca”. Milano: FrancoAngeli, 2020. 269 pp.
L’opera e il pensiero dell’intellettuale Joseph Salvador (1796-1873) hanno avuto un’importante fortuna, spesso dimenticata o accantonata dalla storiografia. Il volume di Alberto Scigliano, Simile di Solima ai fati. La «grand narrative» biblista nella cultura ottocentesca, restituisce parte del valore di questa ricezione, tenendo conto di contesti differenti. La monografia è la rielaborazione dalla ricerca condotta dall’autore in occasione della tesi di dottorato. Scigliano ha conseguito il titolo di Philosophiæ Doctor in Storia dell’Europa dal Medioevo all’età contemporanea, all’Università degli Studi di Teramo e, attualmente, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria.
La prima parte del volume si concentra sulla ricostruzione della genesi del topos seicentesco della respublica hebraeorum. Il discorso introduttivo è funzionale alla presentazione del profilo biografico, dell’opera e del pensiero dello storico di Montpellier. La prospettiva adottata mette in risalto il suo contesto storico-culturale e situa la lettura politologica del testo biblico al centro dell’analisi. In particolare, vengono presentate e contestualizzate le opere di Salvador con trama politica: Loi de Moïse au système religieux et politique des Hébreux (1822), riedita con ampliamenti sei anni dopo con il titolo Histoire des institutions de Moïse et du peuple hébreu e Paris, Rome, Jérusalem ou la Question religieuse au XIXe siècle, (1860). Questo permette all’autore – così come al lettore e alla lettrice – di affrontare con maggiore cognizione, nei capitoli successivi, la sfaccettata ricezione dei paradigmi veterotestamentari salvadoriani nel corso dell’Ottocento. In particolare, è la prima ricezione dell’opera dello storico a occupare le pagine del secondo capitolo, in cui sono presi in considerazione sia l’ambiente francese cattolico ed ecclesiastico sia l’incontro con il paradigma illuminista e il circolo dei sansimoniani. Il terzo capitolo propone delle ipotesi sull’influenza che potrebbe aver avuto il pensiero di Salvador nella letteratura e nella saggistica francese. L’autore ipotizza l’influenza delle sue letture veterotestamentarie sull’esponente del romanticismo letterario Victor Hugo, sul pioniere del romanzo realista Honoré de Balzac, sull’orientalista e antiquario James Darmesteter e, infine, sullo storico Anatole Leroy-Beaulieu. Scigliano suggerisce di considerare un’influenza maggiore delle idee mosaiste salvadoriane di quella che gli studi sinora condotti hanno mostrato. Il panorama italiano è lo sfondo in cui appare una interessante fortuna del pensiero dello storico francese. La costruzione dei discorsi legati al riscatto nazionale viene letta con la lente di una particolare influenza dell’opera di Salvador. Il quarto capitolo è dedicato alla ricostruzione della lettura politica del testo biblico nell’ambiente letterario e politico dell’Italia risorgimentale. Scigliano propone alcune ipotesi suggestive sulle influenze di Salvador in Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti e Niccolò Tommaseo. Il loro ricorso all’esempio biblico, alla nazionalità archetipica di Israele, appare mutuato da una particolare interpretazione della produzione di Salvador. Le opere e il pensiero degli intellettuali italiani di origine ebraica, quali David Levi, Elia Benamozegh e Marco Mortara, sono presi in considerazione nel quinto capitolo in riguardo all’esemplarità di Israele di matrice salvadoriana che si incontra nella loro riflessione di stampo politologico e filosofico. La immagini e i propositi di Salvador sono stati per lungo tempo considerati spia di un possibile pensiero sionista. L’autore, nel sesto e ultimo capitolo, ricostruisce la genesi di quello che potremmo considerare una strumentalizzazione, voluta o meno, del pensiero salvadoriano. Scigliano propone alcune ipotesi sulle motivazioni che hanno spinto parte della storiografia a leggere le opere di Salvador con un marcato accento proto-sionista e, tramite l’analisi dettagliata di quello che chiama “un equivoco lungo un secolo” (225), tenta di sciogliere l’annoso dilemma sul presunto proto-sionismo di Salvdador.
In generale, il volume ripercorre un capitolo importante della storia della ricezione di Salvador e tiene conto di una prospettiva storico-intellettuale e storico-culturale. Dal tema seicentesco della respublica hebraeorum alle letture dei paradigmi veterotestamentari di Salvador, il libro ripercorre la Wirkungsgeschichte, la storia degli effetti, dell’opera di Salvador e propone diverse teorie sulle modalità con le quali le sue idee hanno giocato un ruolo prominente e sono state pervasive nella costruzione di riflessioni sulla filosofia della storia, sulla politica radicale e nell’ampio panorama che ha visto l’ascesa del sionismo. Un libro che parla di idee, come sottolinea l’autore stesso in apertura e in chiusura, le quali sono state spesso dimenticate nel panorama storiografico che, invece, deve molto alla figura – finalmente riscoperta – di Joseph Salvador.