Elisabeth van Houts, Married Life in the Middle Ages, 900-1300. Oxford: Oxford University Press, 2019. 298 pp.
Il matrimonio nel medioevo è stato spesso studiato privilegiandone la dimensione istituzionale e gli aspetti giuridici, culturali ed economici. Concentrandosi sulla vita coniugale, Married Life in the Middle Ages propone una prospettiva differente. Al centro dell’analisi vi sono infatti il valore sociale e gli aspetti emotivi dell’unione tra uomini e donne, laici o ecclesiastici che fossero.
Elisabeth van Houts ha insegnato storia dell’Europa medievale presso l’Università di Cambridge, e durante la sua pluridecennale carriera di ricerca si è occupata in particolare dello spazio anglo-normanno, con attenzione alle fonti letterarie e storiografiche e, inoltre, di storia di genere per l’età medievale. Domande e riflessioni già presenti nei precedenti studi dell’a. sono applicate in questo libro su una scala più ampia, l’Europa dal X al XIV secolo.
Il volume si apre con un’ampia introduzione (1-25) che ricostruisce le principali questioni e interpretazioni sul matrimonio medievale e permette al lettore di inserire lo studio nell’attuale panorama storiografico.
L’indagine si muove lungo quattro assi di ricerca: il contrasto tra le strategie familiari e la libertà degli individui; il ruolo dei chierici, in particolare quelli sposati; l’azione delle donne, con attenzione agli sforzi volti a ottenere maggiore libertà; la storia delle emozioni, in particolare nel contesto delle regole imposte alle coppie sposate o in procinto di farlo. Queste tracce generali si intrecciano costantemente nelle tre parti in cui è diviso il libro.
La prima parte, Getting Married (capp. 1 e 2), segue le tappe che portavano al matrimonio, concepito come un processo e non come un evento. Sono presi in esame i ruoli delle famiglie, dei signori e delle coppie stesse e l’analisi è condotta sui diversi ceti sociali: nobiltà, élite rurali e cittadine, gente comune. I secoli XI e XII sono individuati come quelli in cui il consenso degli sposi aumentò d’importanza, seppure la libertà di scelta degli individui risulti essere inversamente proporzionale al loro rango sociale. Tramite l’analisi di fonti narrative, l’a. dimostra il ruolo marginale del clero nell’organizzazione dei matrimoni, che invece erano gestiti in ambito familiare. In tale contesto viene messa in luce la capacità delle donne di influenzare la famiglia nella scelta dello sposo e ci si sofferma sugli aspetti materiali del processo matrimoniale, analizzando alcuni oggetti dalla forte carica simbolica come l’anello di fidanzamento e il mantello usato per legittimare i figli avuti prima dell’unione.
La seconda parte, Married Life (capp. dal 3 al 6), è il cuore dello studio ed entra nel vivo del rapporto coniugale. Sono investigate l’intimità, sessuale e amorosa, i rapporti di forza interni alla coppia e la fine del matrimonio con le sue conseguenze. Confrontando fonti archeologiche e narrative l’a. entra nella stanza da letto degli sposi e nota come le élite avessero solitamente una stanza specifica per il letto matrimoniale, visto come proprietà del marito. L’a. sostiene che il controllo del letto esplicitasse simbolicamente il controllo della relazione e vede nelle narrazioni di alcune liti coniugali, come quelle tra il duca di Normandia Riccardo e sua moglie Gunnor, la possibilità per le donne di ricontrattare i rapporti di forza. La sfera sessuale e affettiva è indagata a partire da fonti narrative, in particolare racconti di donne pronte a seguire i loro mariti in viaggio o a lamentarsi della loro assenza. Gli esempi di violenza coniugale ricordano al lettore il sistema patriarcale in vigore ma l’a. si concentra soprattutto sulla possibilità delle mogli di agire all’interno della coppia. L’a. ricostruisce così una società molto meno maschia di quella che si è soliti pensare per questi secoli e mostra il matrimonio come incentrato sulla collaborazione e sulla condivisione delle responsabilità, anche se certo non totale. Il capitolo 5 prende in esame la fine del matrimonio e le possibilità di contrarne di nuovi. L’analisi non porta a definire una tendenza generale, se non quella legata al genere e all’area geografica: le donne che si risposavano erano in numero inferiore rispetto agli uomini e l’area bizantina risulta l’unica ove questa pratica fosse comune. Il rango sociale è tenuto in considerazione. I nuovi matrimoni risultano più frequenti tra i ceti elevati e si nota la scarsa ingerenza dei sovrani, con eccezione di quelli inglesi. Per quanto riguarda i ceti più bassi l’a. si concentra sulle sorti dei figli delle precedenti unioni, portando esempi di affezione familiare. Il capitolo 6 esamina il matrimonio dei chierici, soffermandosi su due aspetti poco trattati nella storiografia contemporanea. Laddove molto si è scritto sui trattati anti-matrimoniali, l’a. si rivolge a quanti difendevano tale istituzione. Sono ricostruite scene quotidiane della vita coniugale dei chierici sposati ed è data attenzione alla difesa del matrimonio in quanto parte della natura umana e dell’ordine divino. Si sottolinea poi la presenza di voci femminili contrarie al matrimonio, tra le quali quella eccezionale di Eloisa.
L’ultima parte, Alternative Living (capp. 7 e 8) presenta le scelte di vita fuori dal matrimonio, con più partner o da soli, allargando maggiormente il confronto con lo spazio mediterraneo. Il capitolo 7 prende in esame la pratica poligamica. Si sostiene che la poligamia avesse l’effetto di marginalizzare ulteriormente le donne, spiegando così le testimonianze femminili a favore della monogamia. La sfera delle emozioni legate alle famiglie poligamiche è investigata facendo uso delle testimonianze dei figli cresciuti in tale contesto; il quadro generale viene poi arricchito dalla comparazione con le società e le tradizioni ebraica e islamica. Il capitolo conclusivo si concentra sulla scelta di non contrarre matrimonio alcuno. L’a. sostiene che il numero di uomini celibi fosse maggiore rispetto a quello di donne nubili e ritorna sull’importanza determinante del rango sociale. Le donne nobili erano parte di strategie familiari complesse e questo limitava la loro possibilità di scegliere una vita fuori dal matrimonio. Al contrario, le donne di basso rango godevano di maggiore libertà e l’a. usa fonti agiografiche per segnalare la frequente presenza di serve nubili. Particolarmente interessante è la riflessione sulla sinergia tra clero e donne che diede la possibilità a queste ultime di negarsi al matrimonio al fine di intraprendere la vita religiosa.
Con Married Life in the Middle Ages, Elisabeth van Houts presenta uno studio di ampio respiro in cui rigore scientifico e nuove prospettive sono tenuti insieme da una scrittura scorrevole e vivida. A guardare la struttura del volume, si mostra chiaro l’intento di proporre una visione del matrimonio medievale in opposizione a quella di George Duby (15-18). Tanto lo storico francese circoscrisse il proprio raggio di studio alla regione francese del Mâcon nel XII secolo, descrivendo un medioevo maschile, fatto di cavalieri, chierici e matrimoni politici, tanto l’a. ha allargato il campo di indagine cronologico e geografico, sottolineando l’azione femminile e applicando gli strumenti della storia delle emozioni. Gran parte delle fonti usate dall’a. sono nord-europee, inerenti al suo specifico campo di studi, cioè quello anglo-normanno, e per quanto riguarda altre aree e periodi la bibliografia più recente è puntualmente chiamata in causa e discussa. La ricerca della quotidianità coniugale e l’uso abbondante di fonti narrative fanno si che alcuni dubbi rimangano e chiamino al confronto con la più classica storia istituzionale. Si tratta di domande che sorgono anche grazie alla scelta dell’a. di non nascondere le criticità della sua proposta. Married Life in the Middle Ages si mostra come un libro capace di svolgere due missioni: quella di dare una visione generale nuova del matrimonio medievale e fornire numerosi spunti per gli studi specialistici.