M’hamed Oualdi, A Slave between Empires. A Transimperial History of
North Africa. New York: Columbia University Press, 2020. 248 pp.
Professore associato a Princeton e attualmente chercheur permanent presso SciencesPo Parigi, Oualdi con questo suo ultimo libro si riconferma tra gli storici più innovativi delle società maghrebine della tarda modernità. Il libro analizza il percorso del generale Husayn Ibn Abdallah, originario della Circassia al servizio dei Bey di Tunisi, che qualche anno prima dell’occupazione francese della Reggenza andrà in esilio in Toscana dove nel 1887 morirà aprendo così un lungo contenzioso legale sulla sua eredità.
Gran parte dell’interesse del libro, che consta di sei capitoli, si concentra sul periodo del suo esilio in Italia e sulla gestione delle proprietà immobiliari e del patrimonio a lui afferenti. L’arrivo di Husayn a Tunisi, negli anni venti dell’Ottocento, la formazione intellettuale e il percorso politico che connettono il generale mamelucco alle diverse istanze ed esperienze riformiste e progressiste tanto del mondo ottomano che in quello europeo, sono trattati nel primo capitolo dell’opera. Viene sottolineata in questa parte le cause endogene dell’abolizione della schiavitù in Tunisia, avvenuta nel 1846 per opera del sovrano Ahmed bey, troppo spesso considerata dalla storiografia come meramente imposta dalle cancellerie europee, specialmente franco-britanniche. La sua carriera politica di questi anni, che lo vedrà – tra i vari incarichi - primo presidente della municipalità di Tunisi tra il 1858 e il 1865 e responsabile dell’istruzione nel governo guidato da Khayr al-Din tra il 1873 e il 1877, lo inquadra all’interno del generale movimento di riforma imperiale ottomana (tanzīmāt) che influenzò le politiche locali delle reggenze nordafricane (islāh).
La caduta del governo di Khayr al-Din nel 1877 per volere del bey Muhammad III al-Sādiq e la conseguente fine della stagione delle riforme da lui promosse in Tunisia, spingeranno Husayn verso un esilio che sarà occasione di ridefinizione del suo ruolo, della rete sociale di intellettuali gravitanti attorno il riformismo ottomano e, conseguentemente, del concetto di “mondo musulmano”. In quanto alto dignitario con una formazione d’élite e grazie ai suoi soggiorni all’estero, Husayn nel suo periodo fiorentino non ebbe problemi ad adattare il suo background e stile di vita con la cultura europea borghese. Oualdi indica al lettore l’importanza di considerare i diritti di proprietà terriera e immobiliare nel più vasto contesto trans-imperiale dell’epoca che connetteva non solo la Tunisia con la Francia, ma anche con l’Impero Ottomano e l’Italia. Nodo centrale affrontato in questo secondo capitolo dell’opera è la questione dei diritti di proprietà e la loro evoluzione giuridico-sociale durante l’implementazione di nuove politiche che nel corso dell’Ottocento promuoveranno la proprietà privata nello spazio mediterraneo (coloniale e non). La proprietà immobiliare posseduta dal generale presso Halq al-Wadi (La Goletta) è al centro del dibattito trans-imperiale in cui si combinarono concezioni pubbliche e private di proprietà e le loro differenti pratiche, tanto legali che sociali.
Mantenendo l’interesse sulle proprietà, le opportunità e le tensioni scaturite dal contesto transimperiale, l’a. affronta nel terzo capitolo due casi giudiziari che scossero fortemente la stabilità finanziaria oltre che la credibilità politica della Reggenza nella seconda metà dell’Ottocento coinvolgendo Husayn come difensore degli interessi statali tunisini. Mahmud Ibn ‘Ayyad e Nessim Scemama, esattori generali e dignitari ottomani del beylicato (Scemama venne anche nominato Tesoriere generale), si resero responsabili di malversazioni e di appropriazione indebita di risorse finanziare dello stato, ottenendo protezione da potenze estere (rispettivamente da Francia e Italia). I due casi giudiziari, come l’a. mette in evidenza, misero in stretta connessione sistemi giuridici diversi creando – tre decenni prima dell’invasione francese della Reggenza – delle ingerenze internazionali in questioni – o ‘affari’ – interni tunisini. Le ingerenze esterne e transimperiali sono oggetto del quarto capitolo che affronta i conflitti diplomatici sull’eredità di Husayn a seguito del decesso dell’ormai anziano generale a Firenze nel 1887. L’occupazione francese della Tunisia non aveva reso il paese una colonia ma aveva stabilito una protezione mantenendo la struttura istituzionale beylicale – doppiata dall’autorità coloniale – ma – secondo l’Impero Ottomano – anche il vincolo di subordinazione alla Sublime Porta. Per tale ragione alla morte di Husayn i rappresentanti ottomani rivendicheranno la loro competenza sul caso non riconoscendo la categoria di cittadinanza tunisina come separata da quella ottomana.
Tra i meriti dell’analisi di Oualdi vi è proprio l’inserimento del caso tunisino in un contesto transimperiale e il riconsiderare il suo rapporto con l’Impero Ottomano anche dopo il trattato del Bardo del 1881. Lo stereotipo storiografico tanto coloniale che nazionalista interpretava la Reggenza come formalmente autonoma dalla Sublime Porta, mentre l’analisi di Oualdi sull’eredità – tanto patrimoniale che politica – di Husayn dimostra che Istanbul non aveva smesso di considerare i tunisini come sudditi ottomani. A complicare la faccenda entra l’Italia, ai ferri corti con la Francia proprio dallo schiaffo di Tunisi (1881), chiamata in causa dall’ex-braccio destro di Husayn, Léon Elmilik, che si presentava come creditore del defunto. In questa disputa, come l’a. afferma nel quinto capitolo, emerge il ruolo del sovrano tunisino ‘Ali Bey che rivendicando parte dell’eredità di Husayn dimostra una propria strategia che finora era rimasta eclissata dallo stereotipo storiografico dell’istituzione beylicale come di un organismo fantoccio a servizio del regime coloniale. L’italiana Angiolina Fortunata Bertucci e la franco-tedesca Eva Keusch avranno un ruolo centrale nella disputa sull’eredità di Husayn in quanto madri delle due ragazze designate come eredi dal vecchio generale.
L’affascinante ricostruzione che l’a. ci offre permette di riconsiderare da una prospettiva di genere le strategie personali-familiari che sfidavano le rigidità delle categorie coloniali. Il capitolo finale descrive quali furono i risultati finali delle varie dispute sull’eredità del generale evidenziando come il regime coloniale per avere ragione su queste vertenze – e quindi affermare la propria autorità sulla Tunisia – dovette ‘ottomanizzare’ alcune sue pratiche. Inoltre l’a. nell’ultima parte del capitolo mette in luce la rilevanza delle connessioni col mondo ottomano che porteranno la figlia di Angiolina, Myriam a seguire suo marito, il riformista Ali Bash Hamba a Istanbul durante la prima guerra mondiale. La prospettiva transimperiale dell’a. permette di considerare in una luce nuova la complessità di un contesto troppo spesso considerato attraverso le lenti della dicotomia coloniale. Inoltre il caso del generale Husayn, morto in esilio in Toscana e le sue vicissitudini patrimoniali permettono non solo di reintegrare gli spazi della diaspora tunisina e ottomana all’interno della storiografia nordafricana, ma anche di volgere l’attenzione verso chi finora era rimasto oscurato in un cono d’ombra causato da stereotipi storiografici che grazie a simili ricerche vengono meno lasciando spazio a nuove prospettive.