Gregorio Sorgonà, La scoperta della destra. Il Movimento sociale italiano e gli Stati Uniti. Roma: Viella, 2019. 223 pp.
In un’intervista del giugno 1994 rilasciata a Pierluigi Battista per il quotidiano La Stampa, il segretario del Movimento Sociale Italiano, Gianfranco Fini, interrogato su cosa rappresentasse per lui il D-Day, affermava: “Non credo di fare apologia di fascismo se avanzo il dubbio che con lo sbarco degli americani l’Europa ha perso una parte della sua identità culturale. Trasferito nel nostro continente, il modello della società americana, che pur io apprezzo, ha sicuramente generato molti problemi” [1]. La domanda era suggerita dalla visita di Bill Clinton in Europa per il cinquantenario dello sbarco in Normandia, mentre la risposta del segretario missino era forse l’ultima concessione a un antiamericanismo, erede della sinistra fascista e dell’esperienza della Repubblica Sociale Italiana, che aveva caratterizzato quell’anima minoritaria del Msi convinta di dover incarnare una terza via tra Est e Ovest e sostenitrice dell’assoluta alterità degli Usa rispetto all’Europa “culla della civiltà”.
Tuttavia, per buona parte dei cinquant’anni intercorsi tra lo sbarco degli Alleati e le dichiarazioni di Fini, la divisione del mondo nei blocchi della Guerra fredda aveva ridefinito lo spazio della legittimazione dei partiti politici e anche il Msi non poteva sottrarsi a questo processo di mondializzazione della politica. Questa è l’ipotesi principale del libro di Gregorio Sorgonà La scoperta della destra. Il Movimento sociale italiano e gli Stati Uniti. Il volume ricostruisce il modo in cui il Msi discusse il ruolo degli Usa nel mondo bipolare, tematizzando le ripercussioni della Guerra fredda e in particolare della politica internazionale statunitense sulla storia del partito. Prendendo a riferimento il paradigma della “doppia lealtà” – alla propria nazione e al proprio schieramento internazionale – proposto da Franco De Felice per inquadrare le vicende dei partiti di massa in età repubblicana, Sorgonà non solo ricostruisce in che modo la destra italiana abbia affrontato il nesso tra politica mondiale e interessi nazionali, ma pone la storia del Msi nel proprio tempo. L’autore mette perciò in discussione la formula del “polo escluso” coniata da Piero Ignazi, formula che tematizza una sostanziale separazione della storia della destra dalla storia della Prima repubblica e che suggerisce l’idea per cui l’unica lealtà possibile per il Msi sia stata quella nostalgica verso il passato fascista.
La ricerca di Sorgonà è volta prima di tutto a comprendere in che modo la presenza degli Stati Uniti nel mondo bipolare abbia potuto influenzare l’identità del Msi. Giocando con il titolo del volume, infatti, si può dire che per i missini la “scoperta dell’America” corrispose alla “scoperta della destra”. La fidelizzazione allo schieramento atlantico, avvenuta all’inizio degli anni Cinquanta, e un anticomunismo disponibile anche a una drastica limitazione della sovranità nazionale, qualora essa servisse a impedire uno scivolamento a sinistra del paese, collocarono saldamente a destra il Msi, marginalizzando quelle originarie posizioni nazionalistiche, destinate comunque a sopravvivere nel partito, estranee sia al cleavage Ovest/Est quanto a quello destra/sinistra. La scoperta degli Stati Uniti non si tradusse soltanto nell’adesione al Patto atlantico, ma anche in complessi fenomeni di reazione nei confronti dell’irresistibile ascesa della cultura di massa americana nel mondo postbellico. Sorgonà ricostruisce il dibattito culturale missino tra anni Cinquanta e anni Ottanta e già questo fa del volume una lettura di estremo interesse. Dalla condanna di cifra evoliana e moralistica della “civiltà hollywoodiana” come portatrice, al tempo stesso, di valori borghesi e di costumi sessualmente “devianti”, la stampa giovanile missina arrivava, negli anni Settanta, ad esaltare, da un lato, quei cineasti come Robert Altman che offrivano un quadro critico della società americana e, dall’altro, ad accogliere in maniera entusiasta spettacolari produzioni hollywoodiane come L’Esorcista, Guerre stellari e Jesus Christ Superstar. Anche queste preferenze sono indice del rapporto complesso che intercorreva, nel Msi, tra tempo della nostalgia e tendenze culturali del presente.
La pubblicistica missina, l’ambito in cui si sviluppò il dibattito interno del partito, rappresenta la fonte principale della ricerca. Tuttavia, il ricorso a questa non si traduce nell’amplificazione dell’autoreferenzialità di quel “mondo chiuso in uno specchio” che fu il Msi in virtù del solido quadro interpretativo, fondato su una ricca bibliografia secondaria, che si traduce in una cronologia di ampio respiro in cui si incrociano i tempi della Guerra fredda, della politica statunitense, le grandi cesure politiche della Prima repubblica e l’evoluzione interna del partito. Il libro è diviso in due parti: la prima va dalle origini del Msi alla fine degli anni Settanta, mentre la seconda, significativamente intitolata “l’età della frattura” come il volume di David T. Rodgers, va dal 1980 al 1991. Un epilogo sulla trasformazione del Msi in Alleanza Nazionale conclude l’opera.
Nodo cruciale della prima parte del libro è la presidenza Nixon. Alle origini di tale stagione, per le elezioni presidenziali del 1968, si registra anche un fallimentare contatto, ricostruito attraverso il materiale archivistico conservato presso la Fondazione Ugo Spirito, tra Msi e destra statunitense. Franco Maria Servello e Raffaele Delfino, due importanti dirigenti missini, contribuirono alla mobilitazione per il voto al candidato repubblicano nella comunità italoamericana stringendo anche contatti con il governatore del Massachussetts John Volpe. I due speravano che l’amministrazione Nixon legittimasse il Msi come l’amministrazione Kennedy aveva legittimato il Psi, presentandosi come una forza anticomunista ormai mondata da riferimenti nostalgici e tradendo una concezione dei rapporti internazionali fondata su rigide catene di comando, al cui vertice venivano posti gli Stati Uniti. Tuttavia, il riconoscimento non avvenne, anche se l’ambasciata statunitense a Roma finanziò il Msi di Giorgio Almirante il quale, lungi dal cercare una normalizzazione a-fascista, si presentava come forza capace di combattere il comunismo, più che nelle aule parlamentari, nelle piazze e nelle strade dell’Autunno caldo. Per la maggioranza interna del partito la legittimità delle scelte nazionali veniva misurata in base alla loro fedeltà allo schieramento internazionale anticomunista e questo si traduceva anche nel sostegno a feroci dittature come quella di Pinochet in Cile o dei colonelli in Grecia.
Se Nixon fu un referente importante per gli anni Settanta, nonostante la sua politica estera realista nei confronti dei paesi comunisti, nel decennio successivo fu Ronald Reagan a suscitare l’entusiasmo dei missini e non solo in virtù del suo anticomunismo. La seconda parte del volume, infatti, oltre a seguire la reazione dei neofascisti di fronte al progressivo crollo del socialismo reale, sottolinea come, negli anni dell’ascesa della destra neoliberale in Occidente, il Msi abbia cercato di tradurre in termini non troppo problematici per la propria identità la proposta reaganiana.
L’ipotesi di Sorgonà è che la presidenza Reagan non sia passata senza produrre effetti durevoli sulla cultura politica missina che, dal richiamo identitario e conservatore al corporativismo, arrivava, nei primi anni Novanta, a sostenere con forza un ridimensionamento della presenza pubblica nell’economia, appellandosi alla piccola e media impresa e individuando come “nemici” il fisco e la partitocrazia. Tutto ciò avveniva mentre la lettura missina delle relazioni internazionali si spostava dall’asse anticomunismo/comunismo a quello destra/sinistra, dove quest’ultima veniva identificata con il partito delle tasse.
A questo punto sarebbe stato interessante un confronto più approfondito con la coeva esperienza del Front National, il cui leader Jean-Marie Le Pen si era definito come il “Reagan francese” già dal 1980. Questa comparazione avrebbe rafforzato ancora di più la messa in discussione della lettura di Ignazi il quale, insieme a Colette Ysmal, ha indicato nel Msi una “vecchia forma” di estrema destra legata al passato fascista e nel Fn, invece, una “nuova forma” più interessata ai correnti problemi politici di fine Novecento [2].
D’altro canto, l’autore non è qui tanto interessato a individuare nessi o comparazioni di tipo transnazionale, quanto a dimostrare come, anche nel caso del Msi, la storia politica italiana della Prima repubblica sia inestricabile dal contesto internazionale cui essa appartiene. Il volume auspica, inoltre, una lettura storiografica della destra nella Seconda repubblica che, andando oltre il paradigma dell’eccezionalità italiana, sia utile per comprendere le “traduzioni locali della globalizzazione neoliberale” e non dia per scontata la categoria di liberaldemocrazia come ordine politico egemonico del post-1989.
La ricerca di Sorgonà è sicuramente di interesse e di valore. In anni segnati dal dibattito sul sovranismo, l’autore fornisce una riflessione storiografica su come la destra italiana abbia tematizzato il rapporto tra sovranità nazionale e posizionamento internazionale secondo un’interpretazione originale che salva la ricostruzione dall’intrinseca autoreferenzialità delle fonti utilizzate. Infine, al di là dei miti neofascisti della “terza via” equidistante e dell’“Europa nazione”, Sorgonà ribadisce la centralità dell’anticomunismo nella concezione politica missina, una concezione nella quale l’esistenza del nemico, interno o esterno, era essenziale per la propria esistenza.
Note
1. Pierluigi Battista, “Il fascismo? Buono fino al ’38. Fini: non sempre la libertà è un valore primario”, in La Stampa, 3 giugno 1994 citato in N. Rao, La fiamma e la celtica, Milano: Sperling & Kupfer Editori, 2006, 311.
2. Piero Ignazi & Colette Ysmal, “New and Old Extreme Right Parties: The French Front National and the Italian Movimento Sociale”, European Journal of Political Research, 2, 1, 1992: 101-121.