Pierre Nora, Françoise Chandernagor, Libertà per la storia. Inquisizioni postmoderne e altre aberrazioni. Milano: Medusa, 2021. 91 pp.
Nell’anno della pandemia globale, la chiusura delle frontiere in numerosi stati europei non è riuscita a impedire che giungesse da noi la polemica, sorta negli Stati Uniti durante la campagna delle elezioni presidenziali, impegnata nel rivedere il giudizio sociale, più che storico, di molti eminenti personaggi ed eventi del passato. Questa diatriba politica ha degli antecedenti in alcuni paesi del “Vecchio continente”, come nel caso francese al quale si fa riferimento in questo studio. Infatti, il testo qui presentato inizialmente fu pubblicato nel 2008 da Pierre Nora e Françoise Chandernagor come risposta ufficiale da parte dell’associazione Libertè pour l’histoire, da loro fondata, alle azioni legislative che si stavano portando avanti in Francia in quegli anni, conosciute comunemente come “leggi memoriali”; nel 2021 è stato tradotto e curato da Vincenzo Fidomanzo per i tipi di Medusa. La prima di queste misure fu la Legge Gayssot del 13 luglio 1990, alla quale si succedettero numerose proposte di legge simili, fino ad arrivare alla decisione quadro 2008/913/GAI dell’Unione europea, successivamente recepita da ventidue paesi membri.
Il piccolo volume si compone di due brevi saggi dei due rispettivi autori che, come afferma Franco Cardini nel suo saggio introduttivo, hanno come obbiettivo ribadire l’importanza per cui la ricerca storica non debba essere limitata al di fuori dei suoi statuti. Egli sostiene che «La ricerca storica, che possiede una sua specifica etica nell’impegno di correttamente interpretare le fonti nei limiti del proprio àmbito di conoscenza e dell’uso di metodi verificabili, non può venir coartata o distorta da istanze ideologiche o eticheggianti di sorta che le siano estranee» (17). Sempre in questa parte Cardini espone in che modo il paradosso del politicamente corretto (politically correct), e della sua variante dello storicamente corretto (historically correct), nati per garantire e difendere libertà e dignità a tutti gli individui attraverso un complesso sistema di proibizioni e di divieti (5-7), potrebbe ora limitare e potenzialmente impedire allo storico di poter ricostruire il passato con gli utensili e i metodi più appropriati appartenenti alla scienza storica.
Il primo dei due testi qui riuniti, “Il disagio dell’identità storica”, è di Pierre Nora che sin dalle prime pagine si occupa di avvertire della pericolosità di un eventuale estensione della legge Gayssot e della sua conseguente generalizzazione della nozione di crimine contro l’umanità. Lo storico francese segnala un doppio effetto: l’illimitata retroattività e una continua vittimizzazione del passato. A quel punto tutto varrebbe e gli eredi delle “vittime” vandeane, così come quelli dei Russi bianchi o dei polacchi di Katyn potrebbero avanzare richieste di risarcimento e “giustizia”. A questo punto afferma che «La storia non è che un lungo susseguirsi di crimini contro l’umanità» e prosegue chiedendosi se «dal momento che gli autori di questi crimini sono morti, queste leggi non possono e non potrebbero perseguire, sia nel civile, sia nel penale, gli storici che trattino di quei periodi e i professori che li insegnano, accusandoli di complicità nel genocidio o di complicità nel “crimine contro l’umanità”?» (27-28). Nora descrive come l’affermazione delle memorie legate a delle minoranze in via di emancipazione, inizialmente visto come un fenomeno liberatorio che forniva giustizia agli oppressi, si è inizialmente rivelato un fenomeno di arricchimento dei metodi e delle prospettive di ricerca, per poi in molti casi divenire uno strumento di pressione di gruppi di memoria interessati a far prevalere soltanto la loro visione particolare dei fatti. L’accademico francese qualifica l’epoca attuale, per via della proliferazione delle cerimonie nazionali pubbliche di ricordo di eventi storici puntuali, come “era della commemorazione”, e segnala preoccupato come per la metà queste siano di tipo espiatorio. In uno dei passaggi conclusivi dello storico si evince il monito di questo suo saggio: «È assai probabile che ad osservare da vicino il passato, completamente intriso di violenza e di guerra, la nostra epoca indolore e che non conosce più che da lontano, per procura, la violenza e la guerra, sia portata a respingere del tutto questo passato nelle tenebre dell’orrore, a votarlo una volta per tutte alla maledizione e a voltargli le spalle. Non si tratta più a questo punto di un semplice anacronismo, ma di una tentazione astorica. Non ne siamo lontani. Ma bisogna allora porre la questione: una comunità umana e una collettività nazionale possono prescindere da un rapporto genetico con il loro passato e da un rapporto genetico con il loro passato e da un rapporto irrefutabile con la loro storia?» (32-33).
Nel secondo saggio, “La storia sottomessa alla legge”, Françoise Chandernagor spiega in che modo portare avanti leggi che si occupano del passato sia utile principalmente dal punto di vista elettorale: infatti è più facile cambiare il passato che proporre un avvenire, e al contempo, senza alcun costo, si accontenta una porzione dell’elettorato. Con la legge Gayssot per la prima volta si dà vita a una nuova categoria giuridica: quella della verità storica. Chandernagor si chiede se non sia il caso di frenare l’espansione di questa deriva nel resto d’Europa, e sostiene che è «urgente porre termine a questa alternanza di accuse e di autoflagellazione che, con il pretesto di proibire la contestazione di avvenimenti storici, l’elenco dei quali si allunga ogni giorno, non fa che una sola vittima: la libertà di ricerca e di espressione» (46). Si chiede altresì se sia necessario giudicare il passato per via legislativa, applicando ad esso concetti morali e giuridici attuali, avvertendo anche l’autrice del rischio di lasciare alla legge il compito di limitare il perimetro intellettuale permesso, discernendo quale invece debba essere vietato. Il pericolo per cui i parlamentari stiano sostituendo le loro diagnosi a quelle degli storici è reale, così come sembra chiaro che qualsiasi discussione in ambito accademico può essere percepita come oltraggiosa e passibile di querela penale.
L’interesse di questo libro sta nella presa di posizione netta da parte di migliaia di studiosi francesi, rappresentati in questo volume da Nora e da Chandernagor, che denunciano i rischi di questa tendenza che potrebbe minacciare la libertà di ricerca e di espressione. Il dibattito, a distanza di molti anni dalla prima edizione francese, è sempre più vivo e sembra che andrà ad acuirsi nei prossimi anni. Si tratta quindi di una traduzione molto utile per ricordare al lettore italiano alcune lezioni sul metodo e sul rigore che si devono avere in ambito scientifico, e come questi non possano essere condizionati dal potere legislativo.