Gabriella Airaldi, “«L’Italia chiamò». Goffredo Mameli poeta e guerriero”, Roma, Salerno Editrice, 2019, 217 pp.
Gabriella Airaldi, genovese, già docente di lungo corso presso la cattedra di Storia medievale all’Università di Genova ed esperta della storia politica e culturale del Mediterraneo, ci restituisce una gradevole biografia di Goffredo Mameli, uno fra i maggiori simboli della stagione risorgimentale. «L’Italia chiamò» è infatti la ricostruzione del percorso, breve ma denso, della vita del giovane idealista genovese, esattamente centosettant’anni dopo la sua morte in difesa della mazziniana Repubblica Romana.
L’a. fornisce un ampio panorama sulla genesi del personaggio Mameli, partendo fin dalle vicende familiari. Leggiamo dunque delle vere e proprie avventure del padre Giorgio, cagliaritano di nascita, capitano e poi ammiraglio della marina del Regno di Sardegna. Marinaio per vocazione, Giorgio Mameli fu eroe della marina sabauda, distinguendosi in varie occasioni per temerarietà, costanza e morale.
D’altro canto anche la madre Adele (Adelaide), esponente della famiglia aristocratica genovese degli Zoagli, ci viene presentata dall’a. come donna dal forte temperamento, di sinceri convincimenti repubblicani. Abituata fin da piccola a conversare con ex ufficiali napoleonici che frequentavano il salotto paterno, la mamma (e nonna di Goffredo) fu amica di Giacomo Mazzini, padre di Giuseppe; «Vivere con i Mameli», come l’a. intitola uno dei capitoli più originali è dunque ritrovarsi nel vivo delle vicende politiche italiane d’inizio Ottocento, fra afflati poetici e ardori politici, in un ambiente in cui il giovanissimo Goffredo inizia i suoi passi verso la precoce maturità politica.
La digressione sulla famiglia Mameli fornisce all’a. il trampolino di lancio per delineare il taglio dell’intero volume: vale a dire la contrapposizione fra l’anima repubblicana (genovese, si potrebbe dire) della famiglia di Goffredo e la politica sabauda, ai loro occhi tiepidamente “italiana” e sicuramente meno propensa a venire incontro agli ideali radicali. In tal senso l’a. sottolinea come Giorgio Mameli abbia in due occasioni incontrato quel Giuseppe Mazzini che parlava ai giovani, capace di infervorare gli studenti vivaci come Goffredo. Ed è proprio negli anni della Facoltà di Legge che l’irrequieto Goffredo, universitario poco ortodosso ma brillante, ha l’illuminazione grazie agli scritti mazziniani.
Il bisogno dell’apostolato repubblicano si fonde in Mameli con la speranza («un’unica speme») della redenzione nazionale. I moti del 1821-1831 hanno segnato una sconfitta strategica: i fratelli Bandiera, figli come lui d’un marinaio e come lui mazziniani, sono stati fucilati a Cosenza, occorre un nuovo linguaggio e Mameli comprende come le intuizioni mazziniane debbano addentrarsi nella questione sociale. I rivoluzionari devono parlare al popolo, come i preti ai fedeli. Ed è allora che l’Antico Testamento diventa una lettura centrale per il giovane Goffredo poeta; in particolare Giobbe e il Qoelet sono letture abituali accanto ai classici latini. L’idea di Mazzini di una prosa nazionale si tramuta per Goffredo anche in una poesia nazionale, l’a. tassello dopo tassello ricompone questo mosaico intellettuale, senza perdere di vista la sua interpretazione “genovese”. In effetti la città mercantile della Libertas e i suoi radicali guardano a Washington, non alla Bastiglia e tuttavia il Canto di Mameli è al tempo stesso mazziniano e giacobino, frutto di una stesura tormentata, come sottolinea l’a. che ne raffronta i versi al manifesto della Giovine Italia. Il tema della morte, ossessione mazziniana non scevra da certa funerea esaltazione, ricorre anch’esso in Mameli, che con il suo sacrificio pare impersonare il suo inno. Gabriella Airaldi ne commenta la genesi evidenziando come il romanticismo lamartiniano del primo Mameli è sommerso infine dallo spirito d’azione mazziniano. Proprio dopo aver scritto le rime del Canto degli Italiani, musicato quasi di getto da Michele Novaro, Goffredo Mameli inizia il viaggio che lo porterà infine a Roma, ma mai privo di quello spirito libertario che l’a. ritrova negli spasmodici movimenti di un Goffredo senza requie nel già di per sé movimentato 1848; dapprima in Toscana con Montanelli, poi in Emilia e infine nel dicembre a Roma, ma senza Mazzini. Qui in piena contrapposizione con i tentativi di addensare la situazione verso il neoguelfismo federale di Gioberti, Goffredo organizza ogni cosa, fa e disfa comunicati, scrive incessantemente a Mazzini che lo raggiunge solo nel febbraio 1849. Le vicende della Repubblica Romana sono note, ma il ritmo della narrazione della Airaldi fa dimenticare che si sta leggendo una biografia storica e quasi si avverte la frenesia di un ventenne idealista. Attraverso la nota letteratura mameliana e qualche lettera inedita, l’a. ricostruisce gli ultimi mesi di Goffredo Mameli. Forse solo in quest’ultima fase la sua incrollabile fiducia nella svolta repubblicana soffre qualche cedimento, l’incertezza di quello che avverrà da lì a breve, con le truppe francesi e austriache che spingono verso Roma, non gli impedirà di fantasticare di una svolta vittoriosa grazie all’insurrezione di Napoli, prima di essere ferito alla gamba in un assalto nei pressi del Gianicolo. Dopo alcuni giorni di agonia il giovane Goffredo cede alla sepsi, con lui muore parimenti la Repubblica Romana, ma come spesso è avvenuto in Italia le sue spoglie non hanno riposo. Anche in questo caso l’a. ne ricostruisce le tormentate vicissitudini fino all’ultimo spostamento, proprio sul Gianicolo all’interno del Mausoleo garibaldino nel 1941, quasi cento anni dopo il ferimento mortale.
Le fonti di «L’Italia chiamò» sono sostanzialmente quelle note dell’Edizione nazionale degli scritti e le precedenti biografie, con ampio spazio alla storiografia mazziniana. Ampio uso fa l’a. delle carte d’archivio per ricostruire le vicende familiari, lavoro che per quanto ci è dato conoscere è in gran parte inedito. Anche l’attenzione al Mameli privato emerge in maniera particolare dalla corrispondenza che Goffredo tenne con la madre Adele, specialmente nel periodo romano. Il libro, di lettura scorrevolissima, tenta non soltanto di catalizzare nella figura di Mameli la spinta unitaria e repubblicana di quella parte di Risorgimento radicale, ma di dare rilievo soprattutto al retroterra familiare che forniva ai giovani rampolli suggestioni cariche di fascinazioni rivoluzionarie. Un aspetto su cui l’a. dedica molte pagine, sempre mettendole in correlazione con il percorso biografico di Goffredo, ponendo al centro dell’attenzione figure femminili probabilmente, e ingiustamente, relegate ai margini delle vicende narrate. L’a. è particolarmente attenta a questo aspetto, che emerge attraverso la costante corrispondenza di Goffredo verso la madre, che viene elevata a interlocutore privilegiato in grado di capire a pieno le sue azioni politiche e ideologiche.
La biografia di Goffredo Mameli di Gabriella Airaldi merita dunque una lettura accurata, per comprendere tanto l’esperienza personale di un uomo che è diventato uno dei simboli dell’identità nazionale, quanto l’influenza degli ideali “genovesi” che lo spinsero a incarnare, pronto alla morte, il Canto da lui stesso licenziato.