Cornelia Linde (ed.), “Making and Breaking the Rules. Discussion, Implementation, and Consequences of Dominican Legislation”, Oxford, Oxford University Press, 2018, 438 pp.
Nel 2017 l’Ordine domenicano ha festeggiato ottocento anni dalla propria fondazione, e molte sono state le iniziative scientifiche legate a questo anniversario. Tra di esse figura questo volume, incentrato sull’analisi dei rapporti tra i frati predicatori e la legislazione da loro prodotta, che raccoglie gli atti di una conferenza organizzata nel 2014 dal German Historical Institute di Londra per celebrare la storia dell’Ordine. L’opera ha un impianto interdisciplinare e internazionale: troviamo tra gli autori dei contributi ricercatori provenienti da Nord America, Europa e Israele, e i cui saggi analizzano anche province domenicane periferiche, quali la penisola iberica o i paesi scandinavi. Vari sono anche gli ambiti disciplinari coinvolti, tra cui, oltre alla storia istituzionale e religiosa, troviamo la musicologia e la storia dell’arte.
Il suo scopo principale è quello di studiare la legislazione domenicana in un’ottica di storia istituzionale, ma tenendo conto della specificità degli ordini religiosi quali enti dotati di obiettivi peculiari, come il raggiungimento della salvezza del maggior numero di anime tramite la predicazione, nel caso specifico dei Domenicani. Il volume si concentra quindi sull’analisi degli elementi distintivi e originali della concezione domenicana della normativa istituzionale, sull’esame di come essa fosse comunicata a tutti i livelli gerarchici e della misura in cui essa fosse rispettata, e infine su quali fossero le conseguenze per i trasgressori, scopi che si riflettono nella struttura tripartita del volume.
Il punto di partenza risulta il saggio iniziale scritto da G. Melville, uno tra i massimi esperti della storia dei movimenti monastici medievali. Sulla scia dei suoi ultimi lavori, Melville individua nella «razionalità di sistema» (system rationality) della legislazione domenicana il suo maggiore elemento di originalità. Con questo termine Melville intende l’orientamento funzionale di ogni elemento all’interno di un sistema verso l’unico obiettivo della salvezza delle anime. Da tale razionalità deriva la caratteristica della legislazione domenicana di oscillare sapientemente tra l’esistenza di schemi normativi rigidi e un pragmatico atteggiamento di flessibilità nei confronti delle regole, proprio per evitare che una loro interpretazione troppo rigida potesse inficiare il raggiungimento degli scopi spirituali. Melville analizza i tre livelli di legislazione presenti all’interno dell’Ordine, a partire dalle Costituzioni, il regolamento che agiva da struttura organizzativa per i frati, e i cui statuti potevano essere alterati soltanto dopo che tre capitoli generali consecutivi ne avessero approvato la modifica. Ciò era reso ancora più complicato dal fatto che ai capitoli generali presenziassero alternativamente i priori provinciali e i diffinitores, rappresentati eletti dai frati comuni, due categorie con interessi spesso divergenti. Tuttavia, questa rigidità era bilanciata dalla possibilità di promulgare admonitiones, un secondo livello legislativo che consentiva ai Domenicani di prendere decisioni in modo più spedito, e dispense a determinate regole per frati che per vari motivi (età, malattie, attività di predicazione ecc.) non sarebbero stati in grado di rispettarle.
Nella stessa ottica di bilanciare un solido impianto normativo con esigenze di flessibilità si situano altre peculiarità dell’Ordine, come la regolamentazione dell’operato degli inquisitori domenicani, analizzata da C. Caldwell Ames. Il fatto che l’attività inquisitoriale permettesse ai frati che vi si dedicavano di rispondere direttamente al Rocco e di maneggiare grandi quantità di denaro derivanti dalle sanzioni pecuniarie da loro inflitte aveva destato fin dall’inizio preoccupazioni tra i Domenicani. Caldwell Ames descrive il dibattito e le soluzioni trovate dall’Ordine, che risultano ancora una volta in un equilibrio tra strumenti di controllo e la consapevolezza che forme superiori di obbedienza (quali quella al Rocco o a Dio stesso) sopravanzassero i regolamenti interni.
Altri contributi si dedicano poi a esaminare specifici ambiti della normativa domenicana, quali la liturgia, l’architettura conventuale, la predicazione o i rapporti con gli ebrei. Ciò che emerge è ancora una volta un atteggiamento pragmatico da parte dei frati, in base al quale alcune aree erano strettamente regolate per assicurare un senso di unità attraverso l’uniformità. Questo è il caso della liturgia secondo l’analisi di E. Giraud, la quale sottolinea come avere una liturgia uniforme fosse fondamentale per un ordine che reclutava membri da tutta Europa e in cui la mobilità dei frati era fondamentale per adempiere alle proprie finalità pastorali. Al contrario, il saggio di S. Mickisch dimostra che, dopo un primo tentativo di creare una regolamentazione centrale sul tema dell’architettura conventuale, i vertici dell’Ordine avessero deciso di adoperare per quest’ambito, così dipendente dai finanziamenti di benefattori esterni, un approccio più flessibile, basato su un’analisi caso per caso delle specifiche situazioni. Contributi quali quello di J. Rubin sull’insegnamento delle lingue presso i domenicani sottolineano invece, in linea con i risultati di recenti studi antropologici (per esempio quelli di Judith Scheele sull’Algeria) sul carattere “aspirazionale” di alcuni sistemi normativi, come alcuni capitoli legislativi dell’Ordine avessero la funzione di presentare una visione idealizzata dei frati predicatori piuttosto che rifletterne la vita quotidiana. Questo è il caso, secondo l’autore, per lo studio delle lingue straniere quali l’arabo e il greco, che rimase sempre parte dei desiderata dell’Ordine più che della sua realtà, ma che rifletteva la percezione di sé dei Domenicani quali mediatori tra la Cristianità romana e i suoi vicini. Infine, in questa rassegna delle possibili configurazioni tra norma e pratica un caso interessante è quello rappresentato dallo studio di A. Holloway sulla predicazione, che mostra come talvolta l’Ordine preferisse affidarsi a fonti non normative (nello specifico, collezioni di exempla ad uso dei predicatori) anziché a leggi vere e proprie per fornire modelli ai propri membri.
Non tutti i contributi presenti nel volume hanno gli stessi meriti scientifici, e alcuni hanno piuttosto un taglio compilativo (che sarà però utile ai lettori meno esperti di storia domenicana). Tuttavia, quest’opera offre un contributo importante per la comprensione delle forme legislative in epoca tardomedievale, e la sua rilevanza non sta solo nell’aver approfondito un aspetto della storia dell’Ordine Domenicano. Essa sarà infatti un’utile lettura anche per gli studiosi che si occupano di istituzioni politiche laiche nell’Europa del tardo Medioevo, e soprattutto dei comuni italiani. I frati predicatori hanno spesso avuto una notevole influenza sul pensiero politico di tali organismi, e spesso essa è stata messa in rapporto con il fatto che i domenicani provenissero perlopiù dai ceti dirigenti cittadini. Questo libro mette però in luce il fatto che, oltre alla concezione delle norme interiorizzata dai frati prima del loro ingresso nell’ordine, essi possedevano anche una cultura normativa specificamente domenicana, un fatto che si dovrà tenere in considerazione nei futuri studi sulla loro azione politica.
Sommario
Cornelia Linde, Introduction
Discussion
Gert Melville, The Fixed and the Fluid: Observations on the Rational Bases of Dominican Constitution and Organization in the Middle Ages
Christine Caldwell Ames, Obeying God, Not Man: Heresy, Inquisitors, and Obedience in the Dominican Order
Christian Leitmeir, Dominicans and Polyphony: A Reappraisal of a Strained Relationship
Harvey Hames, The Dominicans and Mission: Looking Again at the Barcelona Disputation of 1263
Sita Steckel, Rewriting the Rules: The Secular-Mendicant Controversy in France and its Impact on Dominican Legislation, c.1230-90
Matthew Champion, Black and White: Dominican Reform and Heretical Inversion in the Fifteenth-Century Low Countries
Implementation
Eleanor Giraud, ‘Totum officium bene correctum habeatur in domo’: Uniformity in the Dominican Liturgy
Nullus scienter litteram aut notam mutet’: Dominicans (Dis)Obeying the Regulations for the Copying of Chant Books. An Example from Late Medieval Dalmatia, Hrvoje Beban
Sebastian Mickisch, Architecture and Space in the Dominican Order: On the Impact of Norms and Concepts in Early Normative and Narrative Sources
Mercedes Pérez Vidal, Legislation, Architecture, and Liturgy in the Dominican Nunneries in Castile during the Late Middle Ages: A World of diversitas and Peculiarities
Jonathan Rubin, The Beginnings of the Study of Foreign Languages in the Dominican Order: Regulation, Implementation, and Impact
Gilberto Coralejo Moiteiro, Clarifying the Rules: A Normative System for the Observant Dominican Nuns (Portugal, Fifteenth to Sixteenth Centuries)
Consequences
Anne Holloway, Performance Management: Creating Order in Thirteenth-Century Dominican Preaching
Wolfram Hoyer, ‘Volumus ut carceres fiant . . .’: Medieval Dominican Legislation on Detention and Imprisonment
Cornelia Linde, Disciplinary Deportations: Forced Resettlement as a Means of Control and Correction
Johnny Jakobsen, Fratres regulares et irregulares: Dominican Implementation, Observation, and Violation of Rules in the Province of Dacia
Kirsi Salonen, Dominicans from the Province of Dacia at the Well of Grace: Petitions from Scandinavian Dominicans to the Apostolic Penitentiary, c.1450-1530