Yaron Z. Eliav, A Jew in the Roman Bathhouse: Cultural Interaction in the Ancient Mediterranean, Oxford: Princeton University Press, 2023. 393 pp.
A Jew in the Roman Bathhouse è l’ultima monografia di Yaron Z. Eliav, professore associato di letteratura rabbinica e storia del giudaismo presso l’Università del Michigan, ed è dedicata a riesaminare il modo in cui gli ebrei interagivano con la cultura greco-romana. Eliav è un esperto di storia del giudaismo: con il libro God’s Mountain. The Temple Mount in Time, Place, and Memory (2008) ha vinto il premio per la categoria “teologia e studi religiosi” assegnato dalla Association of American Publishers. Già da tempo Eliav si occupa del tema al centro della monografia qui recensita, come indica il suo importante saggio The Roman Bath as a Jewish Institution. Another Look at the Encounter between Judaism and the Greco-Roman Culture, pubblicato nel 2000 nel Journal for the Study of Judaism in the Persian, Hellenistic and Roman Period.
A Jew in the Roman Bathhouse indaga come gli ebrei si sono integrati nella cultura greco-romana, approfondendo nello specifico il contesto delle terme romane, poiché era un luogo che incarnava tante diverse caratteristiche dello stile di vita romano. L’a. mostra che gli ebrei non solo frequentavano le terme, ma sottolinea anche come essi si muovessero in questo spazio con disinvoltura e sicurezza.
Uno degli obiettivi principali del volume è quello di abbattere le barriere di lunga data che dividono lo studio dei testi rabbinici da quello delle fonti letterarie classiche, greche e latine, e della documentazione archeologica, sia per dimostrare come la conoscenza dei classici e dell’archeologia sia necessaria per lo studio e la comprensione del materiale rabbinico, sia per mostrare l’apporto specifico che il materiale rabbinico può offrire agli studi sul mondo classico. Infatti, la letteratura rabbinica consente di ottenere informazioni dirette sulla vita quotidiana di almeno una importante popolazione soggetta all’impero romano, quella ebraica, e di colmare almeno parzialmente la scarsità di fonti provenienti dalla periferia dell’impero.
Vista la centralità della letteratura rabbinica nel libro, Eliav ne indica le caratteristiche fin dal principio (pp. 11-14) come un ampio corpus di testi, redatti all’incirca tra il II e VII sec. d.C., in parte di natura giuridica, in parte con un carattere che potremmo chiamare “narrativo” (raccolte di aneddoti, parabole, proverbi). Fra questi testi ve ne sono alcuni molto ben conosciuti anche al di fuori della cerchia di specialisti dell’ebraismo, come la Mishnah, il Talmud di Gerusalemme e il Talmud babilonese.
L’importanza dello studio comparato di queste fonti è stata riconosciuta da tempo dagli studiosi che si sono occupati del materiale rabbinico nel contesto greco-romano. Questo tipo di indagine è iniziato con Samuel Krauss tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo in Ungheria e in Austria. La sua opera monumentale, Talmudische Archäologie (pubblicata nel 1910-12), rimane il punto di partenza per chiunque si avvicini a questi temi. Tuttavia, dai tempi di Krauss, gli strumenti e i metodi della ricerca si sono evoluti e affinati; inoltre, nel recente passato non erano disponibili gli strumenti tecnologici che permettono agli studiosi di oggi di consultare e confrontare una documentazione molto più vasta. Per tutte queste ragioni, A Jew in the Roman Bathhouse costituisce un’occasione preziosa per rinnovare e approfondire gli studi sulla commistione tra la cultura greco-romana e quella ebraica.
Eliav vuole comprendere quali sono le radici storiche e qual è la natura della commistione culturale giudeo-greco-romana. Pertanto, il libro prende le mosse dal momento in cui il giudaismo entrò nell’orbita del mondo greco con le conquiste di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C. per poi analizzare i successivi mille anni circa – fino all’affermazione dell’islam nel Mediterraneo orientale e nel Nord Africa durante il VII secolo d.C. –, un periodo in cui gli ebrei rappresentarono la minoranza più numerosa e diffusa nel mondo greco-romano. Però l’attenzione maggiore è rivolta ai secoli I-VII d.C. perché la maggior parte delle fonti della letteratura rabbinica riguardanti il rapporto fra ebraismo e cultura delle terme è stata prodotta in questo periodo.
Il libro è diviso in tre ampie sezioni: Setting the stage (cap. I-III), nella quale sono presentate le terme romane, anche nel loro funzionamento materiale, e viene fatta una panoramica sugli studi inerenti gli ebrei e le terme; Filtered absorption (cap. IV-VI), in cui sono esaminate in particolare le fonti provenienti dalla letteratura rabbinica; Social and cultural textures (cap. VII-VIII), in cui si tirano le conclusioni sulle influenze reciproche tra le diverse culture analizzate.
Nel primo capitolo sono esaminate le caratteristiche strutturali degli impianti termali, utilizzando soprattutto fonti archeologiche e descrivendo in modo accurato la caratteristica principale delle terme romane, ovvero la grande disponibilità di acqua calda. Il secondo capitolo introduce il tema centrale del libro, ovvero il punto di vista di un ebreo che usufruisce delle terme romane, ciò grazie alle fonti tratte dalla letteratura rabbinica, i cui autori frequentavano e apprezzavano le terme quanto chiunque altro nel mondo mediterraneo. Il terzo capitolo si concentra su quando avvenne il primo incontro tra gli ebrei e i bagni termali: attraverso l’analisi delle fonti letterarie, in particolare il Primo libro dei Maccabei e le opere dello storico ebraico Flavio Giuseppe, l’a. individua i primi contatti con i bagni greci e le terme romane. Ma anche le evidenze archeologiche mostrano che gli ebrei utilizzavano i bagni greci: ne sono prova i resti di un balaneion ritrovato nel sito di Gezer, vicino Gerusalemme.
Nel quarto capitolo si mostra, sulla base delle fonti archeologiche, quanto fossero diffusi i bagni romani in Giudea/Palestina e, utilizzando le fonti scritte, si analizza come erano percepiti dalla popolazione locale. Nel quinto capitolo viene esaminato il rapporto degli ebrei con la nudità poiché, specialmente a partire dal I secolo d.C., i bagni misti costituivano la norma. Molti studiosi liquidano la questione sostenendo che era impossibile che un ebreo frequentasse i bagni misti ma l’a. dimostra di quanto sia errata questa posizione proprio sulla base delle fonti rabbiniche (nel capitolo è particolarmente valorizzato un episodio riportato nel Ketubbot, un trattato sul matrimonio inserito nella raccolta della Tosefta, in cui nella seconda metà del II sec. d.C. furono messe per iscritto alcune consuetudini giuridiche fino a quel momento tramandate oralmente). Il sesto capitolo è dedicato a un’altra questione molto delicata per un ebreo: com’era possibile che chi professava questa religione così strettamente monoteistica entrasse in luoghi, le terme romane, dove ovunque erano rappresentate divinità pagane?
Nel settimo capitolo sono analizzate le dinamiche sociali, legate soprattutto alla gerarchia tra classi, che si venivano a creare all’interno delle terme, con particolare attenzione alla condizione degli ebrei. Nell’ottavo capitolo l’a. mostra quanto fosse sfumato nel mondo antico il limite tra magia e religione al fine di spiegare il modo in cui alcuni ebrei percepivano le terme romane: erano ritenuti luoghi irti di pericoli, a causa della criminalità presente o per i disagi provocati dagli ambienti angusti e malsani dei piccoli bagni. All’interno delle terme era molto comune sentirsi vulnerabili e minacciati, per questo motivo si riteneva utile praticare dei riti per proteggersi.
Il libro, nonostante sia un’opera accademica e quindi usi un linguaggio tecnico, è scritto in modo chiaro e scorrevole, risultando comprensibile anche per un vasto pubblico. Eliav si occupa degli ebrei nel mondo greco-romano, un contesto caratterizzato dalla diaspora ebraica nel Mediterraneo, ricostruendo un’immagine diversa rispetto all’idea più comune dell’ebreo ultraortodosso che rifiuta i piaceri della vita. A Jew in the Roman Bathhouse ci sfida a ripensare il rapporto tra ebraismo e società greco-romana e getta nuova luce su come l’impegno interculturale abbia plasmato la civiltà occidentale, mettendo in discussione quella visione che contrappone nettamente il mondo ebraico e il mondo classico, una visione molto presente negli studi recenti sull’ebraismo antico, come testimoniano i volumi di M. Hadas-Lebel, Jérusalem contre Rome (1990) e di M. Goodman, Rome and Jerusalem: the Clash of Ancient Civilizations (2007).