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Laurent Feller, “Richesse, terre et valeur dans l’Occident médiéval”

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Laurent Feller, Richesse, terre et valeur dans l’Occident médiéval. Économie politique et économie chrétienne. Turnhout: Brepols, 2021. 347 pp.

«On a commencé en s’interrogeant sur l’existence d’une crise de l’histoire économique médiévale. Le nombre et l’importance des chantiers ouverts laissent penser, s’ils sont toutefois poursuivis, que celle-ci doit être relativisée» (p. 42). Così scrive Laurent Feller nell’introduzione ai saggi raccolti in questo volume, che non sono la mera ripubblicazione di testi già apparsi altrove: aggiornati dal punto di vista bibliografico e arricchiti sotto il profilo del contenuto, offrono una prova tangibile della vitalità intellettuale dell’A. e una panoramica degli argomenti al centro delle sue riflessioni dal 2005 al 2021. Feller, professore emerito alla Sorbona, si è occupato sin dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso della società rurale in Italia tra alto e pieno Medioevo; in anni più recenti ha allargato lo sguardo ad altri temi di storia economica medievale, che ha studiato ponendo attenzione tanto alle caratteristiche, alla quantità e alla distribuzione geografica delle fonti scritte, quanto ai problemi teorici inerenti all’analisi delle economie premoderne.

Il più saldo trait d’union tra i contributi di questo libro – e tuttavia non il solo, come vedremo – è rappresentato dal costante dialogo che l’A., da storico, intrattiene con l’antropologia economica. Per descrivere l’economia medievale, infatti, Feller ricorre a termini come encastrée, incrustée, imbriquée (p. 5) o ancora enchâssée (pp. 70, 199): traduzioni dell’inglese embedded, che l’antropologo Karl Polanyi (1886-1964) impiegava per descrivere i sistemi economici precedenti all’avvento del capitalismo. Sistemi, cioè, in cui la legge di mercato era appunto «incastonata» in un insieme di regole sociali, politiche e relazionali più ampio e sufficientemente strutturato da rendere insensato l’utilizzo del principio della massimizzazione del profitto (così come altri assunti dalla scuola classica e neoclassica) quale unica chiave interpretativa della relazione di uomini e donne del Medioevo con la creazione e la gestione della ricchezza. Questa cornice teorica, comunque, non rende illegittimo chiedersi, come fa l’A., quando un’economia puramente o principalmente commerciale prese il sopravvento e, per così dire, si insinuò nei gangli della società nel suo complesso: momento impossibile da individuare con precisione, che Feller fa coincidere o con la scomparsa della servitù e del lavoro forzato, e dunque con «l’estrema fine del Medioevo» (p. 6), oppure con l’affermazione dello «scambio mercantile… come norma della circolazione delle ricchezze» a partire dal secolo XII (p. 55, traduzioni mie). Ancora, se si adotta come punto di osservazione la storia delle idee, un’ulteriore, possibile cesura è rappresentata dal Duecento, per via della nascita della Scolastica e dunque delle riflessioni sulla nozione di «valore» (p. 12).

I saggi sono suddivisi in tre aree tematiche. La prima è dedicata alle attitudini delle élites nei confronti della ricchezza (cap. 1-6); la seconda all’appena menzionato problema del valore, e al modo in cui era misurato (cap. 7-9); la terza ad alcuni tra gli effetti di dinamiche e trasformazioni descritte nei paragrafi precedenti – su tutti, lo sviluppo economico dell’Europa occidentale (cap. 10-12). Sarebbe vano cercare di ripercorrere in modo esaustivo, qui, i temi affrontati dall’A., che rimangono molto vari nonostante il loro raggruppamento in sezioni piuttosto omogenee; pare più utile mettere in luce alcuni aspetti di particolare interesse e suscettibili, forse, di ulteriori sviluppi.

Il confronto con l’antropologia economica non è, come anticipato prima, l’unico collante tra i testi raccolti nel volume: in Entre croissance et crise (cap. 1), Feller esamina gli orientamenti prevalenti nella storiografia economica medievale più recente, rilevando la sostanziale marginalità di questa branca di studi all’interno della medievistica (con la parziale, ma importante eccezione dell’accademia anglosassone) e il contrasto tra l’approccio qualitativo o discorsivo (che si basa sul commento e l’interpretazione delle informazioni a nostra disposizione senza il ricorso a modelli matematici e/o statistici) e quello “cliometrico” (che aspira, cioè, a “misurare la Storia” attraverso la costruzione di serie di dati). Un simile contrasto, e la difficoltà (l’impossibilità?) di appianarlo, si manifestano negli studi riguardanti la terra, le transazioni di cui era oggetto e la determinazione del suo prezzo (per le quali si rimanda anzitutto al cap. 7, Acheter et vendre la terre e al cap. 9, La formation des prix). La terra aveva infatti uno statuto ambiguo: merce tra le altre, era allo stesso tempo il simbolo del prestigio sociale di chi la possedeva e il mezzo con cui si creavano e rafforzavano reti di alleanza e di patronato. La spinta verso l’accumulazione del profitto era così condizionata, e spesso frenata, da altri fattori: la signoria rurale e la servitù, per esempio – lo si è già accennato sopra – ostacolavano la libera circolazione della forza lavoro e la mobilità della proprietà terriera; un discorso simile può essere fatto per il matrimonio, che comportava l’acquisto o la divisione di beni fondiari per garantire il sostentamento della nuova coppia, e che interferiva così con i meccanismi propri di un mercato “puro” – ammesso che questo sia mai esistito (cf. pp. 172-173 e passim). È importante segnalare, poi, il testo relativo alle «scritture dell’economia» (Les écritures de l’économie, cap. 2), che ripercorre la storia delle diverse forme con cui, dall’alto al tardo Medioevo, si mise per iscritto tutto ciò che riguardava la creazione e l’amministrazione della ricchezza (ricchezza quasi esclusivamente fondiaria in un primo momento e in seguito anche mercantile); o, ancora, le riflessioni sulle funzioni della moneta (cap. 8, 10 e 12), che spaziano da quella di mezzo atto a facilitare gli scambi commerciali a quella di oggetto utilizzato principalmente per doni e pagamenti obbligatori.

Feller ha l’incontestabile merito di aver studiato e rinnovato, grazie a una prospettiva multidisciplinare, alcuni problemi di storia economica medievale tanto tradizionali quanto (e paradossalmente) trascurati dalla ricerca più recente. Si potranno compiere ulteriori passi in avanti cercando di risolvere una contraddizione, o almeno di porre fine a una sostanziale mancanza di interazione, tra due ambiti di indagine rimasti fino a oggi largamente separati: con le eccezioni di cui si dirà tra poco, infatti, chi studia i prezzi non si occupa di storia della moneta, e chi studia la storia della moneta non si occupa dei prezzi. Esiste cioè uno iato tra storici delle fonti scritte interessati all’economia medievale, soprattutto quella dell’Europa continentale dei secoli alti e centrali, e storici o archeologi specializzati nella monetazione del Medioevo. Si sottrae a questo quadro d’insieme, di nuovo, l’accademia anglosassone: il libro a cura di Kevin Butcher sullo svilimento tra Antichità e Medioevo (Kevin Butcher, ed., Debasement: Manipulation of Coin Standards in Pre-Modern Monetary Systems, Oxford, Oxbow Press, 2020) contiene tre saggi che si occupano di inflazione, due relativi alla tarda romanità e uno all’Inghilterra tra gli ultimi secoli del Medioevo e la prima età moderna; nella sintesi di storia economica medievale approntata da Paolo Cammarosano, invece, che pure ai prezzi dedica molta e meritoria attenzione, i fenomeni monetari sono relegati a un ruolo del tutto secondario (Paolo Cammarosano, Economia politica classica e storia economica dell’Europa medievale, Trieste, Gaspari Editore - CERM, 2020; per una prima analisi si veda https://storicamente.org/tabarrini-cammarosano-economia-politica-classica). Sembra cioè che un problema posto al naturale crocevia tra queste due piste di ricerca necessiti di un approfondimento, almeno per alcune aree e per periodi specifici: il modo in cui il valore intrinseco delle monete (dato da peso e composizione metallica) e le sue variazioni (spesso frutto di decisioni politiche) potevano incidere sull’andamento dei prezzi reali. Una più stretta collaborazione tra archeologi e storici è, forse, e in conclusione, la via da seguire per rispondere ad alcuni degli interrogativi che Feller giustamente pone.