Giacomo Girardi, I beni degli esuli. I sequestri austriaci nel Lombardo-Veneto (1848-1866). Roma: Viella, 2022. 303 pp.
Ha perfettamente ragione Catherine Brice, che firma una densa Prefazione al libro di Giacomo Girardi, quando afferma che questa ricerca rappresenta un apporto assai innovativo e del tutto originale nel quadro degli studi di Storia del Risorgimento. Girardi, infatti, offre una rilettura del pre- e post-Quarantotto nel Regno Lombardo-Veneto che emerge da un prisma solo da poco riconsiderato nella sua specificità dagli storici italiani ed europei. I sequestri dei beni, dei quali qui si ricostruiscono le vivaci vicende giuridiche in un ampio torno di tempo, consentono di analizzare in maniera significativamente nuova non solo i rapporti tra governanti e governati nell’età della Prima e della Seconda Restaurazione. Se sottoposti ad un questionario ricco e problematico come quello qui impiegato, essi conducono anche a riscrivere intere importanti pagine di biografie celebri e di dinamiche essenziali del patriottismo risorgimentale.
L’autore mette a profitto una straordinaria quantità di fonti – memorie, diari, epistolari, accanto a una messe di fonti governative – che gli consentono di restituire in un ampio affresco le vicende di quanti furono colpiti dalla privazione delle proprietà a causa del coinvolgimento nel Lungo Quarantotto o nelle sommosse successive. L’attenta analisi dei documenti consente tra l’altro, e sono tra le pagine più preziose del libro, di proporre una inedita narrazione del governo e delle istituzioni asburgiche, delle loro disfunzioni ma pure delle loro direttive ideali, dalla quale riaffiora con contorni nuovi la tesi di un apparato certo malfunzionante, ma dalle complesse e numerose sfaccettature. Trascorrendo dalle “vecchie” confische – che privavano definitivamente i perseguiti delle loro sostanze – al “moderno” sequestro, si continuava certo a perpetrare una violenta deroga al diritto “naturale” della proprietà privata; ma mutavano e si complicavano pure le modalità dell’incameramento, della gestione e, finalmente, della restituzione. Muovendo dal versante giuridico, Girardi attraversa poi la storia delle istituzioni, e riesce ad approdare felicemente ad un approccio sociale, familiare e persino biografico. Di conseguenza, in questa ricerca che tratta di espropriati celebri e meno celebri, si viene a creare un posto di rilievo per la storia di genere.
Facendo tesoro di una letteratura già consolidata sul Mezzogiorno borbonico, e incrociando fonti di diversa natura, Girardi riesce in effetti a dimostrare quanto le donne – rimaste a casa dopo le partenze degli esuli – siano risultate fondamentali per la salvezza dei patrimoni, oltre che per la mediazione tra perseguiti e persecutori. Le vicende delle “cose” – patrimoni mobiliari, legati, beni ipotecati, somme da riscuotere -, accuratamente e vivacemente descritte, riescono quindi a illuminare di luce nuova anche le vicende delle personalità più note, spesso costrette – si vedano gli esuli veneti dopo il 1853 – a supplicare la restituzione in cambio del giuramento di fedeltà alla dinastia di Vienna. Le loro situazioni concrete, le traversie a cui andarono incontro congiunti e congiunte, le ragioni di tante scelte, risultano ora meglio comprensibili sulla scorta delle storie dei patrimoni compromessi.
Anche le scansioni della vita politica e amministrativa del Regno vengono rilette alla luce di questa variabile che, Girardi lo dimostra bene, doveva risultare spesso decisiva, per i destini individuali come per l’immagine e le rappresentazioni del dominio asburgico nel Nord Italia. Di sicuro, i (falliti) moti del 1853 – l’anno dei Martiri di Belfiore e dei Barabba – acquisiscono qui una centralità altre volte disconosciuta nella più classica storia del Risorgimento. In effetti, per quanto facilmente represse, quelle ennesime perturbazioni del sistema di governo restaurato determinarono una forte accelerazione nella pratica dei sequestri, contribuendo dalla prima fila a decidere dell’avvenire a medio termine di una intera leva di patrioti lombardo-veneti. Al contrario, Girardi dimostra come la pur nota amnistia del 1857 non avesse affatto sanato le ferite impresse nelle traiettorie più tormentate. Così, se la “leggenda nera” dello stato militaresco di Radestzky merita certamente ulteriori verifiche alla prova delle fonti, nondimeno la “leggenda rosa” del periodo successivo appare largamente artificiosa e insufficiente anche nella prospettiva qui privilegiata. Senza dubbio, conclude l’autore, quel dominio così odiato era odiato soprattutto, tra i più illuminati, proprio per le violazioni continuamente minacciate e perpetrate dei patrimoni privati. E se questa è una vicenda che naturalmente pone in primo piano le storie delle élites, dobbiamo considerarla tuttavia come esemplare per intere coorti generazionali di patrioti.
La categoria analitica della generazione politica, oltre alla categoria del genere, arricchisce questo lavoro di importanti considerazioni – e solide periodizzazioni – che giustamente Brice, nella citata Prefazione, auspica veder messe in comparazione con altri casi italici ed europei. I sequestri dei beni dei patrioti impongono all’autore di muoversi sistematicamente tra traiettorie individuali e storie familiari, tra biografie politiche e spaccati privati, in un intreccio estremamente fecondo di componenti politiche, economiche, culturali ma anche sentimentali. D’altra parte, le vicende dei beni sequestrati, sospesi tra tutela giudiziaria e trattamento materiale, lasciano affiorare strategie di resistenza e abilità imprenditoriali alla luce di calcoli, interessi, profitti, che l’autore ricompone in modo intelligente e scrupoloso, misurandosi e valorizzando una messe di notizie apparentemente secondarie, mai davvero analizzate fino a questo momento.
Girardi si ricollega esplicitamente, nel corso del lavoro, alla migliore produzione sull’esilio risorgimentale, debitamente esplicitata nel testo e nella ricca bibliografia finale. Se l’approccio qui adottato, e le fonti privilegiate, possono togliere un po’ della ormai vecchia aura ideale alle storie di tanti che dovettero partire, la finezza interpretativa e le tante dimensioni dell’analisi contribuiscono a rendere questa “istituzione del Risorgimento” meglio conosciuta e problematizzata a partire da aspetti troppo a lungo ignorati dalla storiografia. Esito di una ricerca pluriennale testimoniata già da importanti contributi, e di un solido background internazionale, il libro di Giacomo Girardi costituisce senza dubbio un contributo di grande rilievo al rinnovamento degli studi sul Risorgimento, per l’originalità tematica, metodologica e interpretativa. Vengono portati a feconda sintesi i principali studi sul patriottismo, sull’intreccio tra famiglia e nazionalismo, sulle generazioni politiche e sulla compresenza immancabile di idee e sentimenti nel movimento risorgimentale. E ancor più meritorio risulta, a nostro avviso, il fatto che tali stimoli si siano coniugati in questa lunga ricerca con scavi negli archivi delle istituzioni politiche e con un sondaggio sistematico nei più importanti ego-documenti del periodo. Sono diversi i filoni della ricerca che confluiscono e vengono tesaurizzati in questo volume, offrendo una nuova prova della compresenza e del fruttuoso intreccio di spunti e di metodi sempre più apprezzabile presso i più giovani studiosi della Storia del Risorgimento italiano.