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Stuart Airlie, “Making and Unmaking the Carolingians”

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Stuart Airlie, Making and Unmaking the Carolingians, 751-888. London: Bloomsbury Publishers, 2020. 456 pp.

Il continente europeo si caratterizzò nei secoli VIII e IX per la preminenza di un regno, quello franco, e di una famiglia, quella dei Pipinidi/Carolingi. All’inizio del secolo VIII, l’ascesa dei maggiordomi pipinidi in Austrasia portò ad alcuni cambiamenti politici importanti sia all’interno sia all’esterno del regno, come la progressiva imposizione della supremazia franca sui ducati periferici. Questo aspetto, insieme alla successiva espansione militare guidata da Carlo Magno, ebbe tra le altre conseguenze una trasformazione complessiva del sistema politico che aveva finora caratterizzato i regni post-romani in Europa occidentale. A partire dall’unzione a re di uno di questi maggiordomi, Pipino, nel 751, il mondo franco vide inoltre la dinastia dei Merovingi definitivamente estromessa dai vertici del potere e sostituita da una nuova dinastia, quella dei Pipinidi/Carolingi, che dovette quindi giustificare con forza la propria ascesa politica e l’assunzione del titolo regio. Ciò avvenne mettendo in atto alcune strategie di distinzione con cui i membri di questa famiglia affermarono la propria eccezionalità di fronte all’aristocrazia del regno franco, giustificando così il proprio ruolo politico. Il libro di Stuart Airlie si concentra precisamente su queste strategie e, in particolare, sulla costruzione della legittimità dinastica, intorno alla quale i Carolingi fondarono il proprio potere regio. Si tratta di una tappa, non necessariamente quella conclusiva, di un lungo percorso di ricerca che l’autore, senior lecturer all’Università di Glasgow (Scotland, UK), ha dedicato pressoché integralmente all’Europa carolingia. Le sue pubblicazioni, tra cui la raccolta di saggi intitolata Power and its problems in Carolingian Europe, uscita nel 2012 e numerosi altri saggi e articoli apparsi in sedi inglesi e internazionali si pongono infatti all’intersezione tra storia politica e sociale, con un occhio di riguardo per i rapporti tra sovrani ed élites nel regno franco e per le strutture familiari di età carolingia.

L’introduzione al volume inquadra la questione del riconoscimento dell’autorità politica da parte di un gruppo umano richiamandosi alle teorie elaborate da Antonio Gramsci, Michel Foucault e Pierre Bourdieu, una triade che viene sovente richiamata dagli storici che si occupano di potere e autorità nel Medioevo (e non solo) e che potrebbe essere proficuamente integrata con altri strumenti teorici, come per esempio quelli elaborati più di recente da David Graeber e Marshall Sahlins (On Kings, 2017). Come sottolineato dall’autore, la costruzione della legittimità politica dei Carolingi fu un processo graduale e progressivo, che solo a posteriori risulta lineare. Questa legittimità richiese inoltre di essere affermata e riaffermata attraverso una serie di azioni, donazioni, preghiere e rituali, di cui la storiografia ha da tempo messo in luce la rilevanza all’interno del mondo carolingio. Questo processo non presenta però una dimensione rigorosamente top-bottom, ma appare invece condiviso dalla dinastia al potere con le élites laiche ed ecclesiastiche del regno franco. Da un lato, esse riconobbero l’autorità carolingia fino a interiorizzarla (egemonia) e a percepirla come qualcosa di “naturale” (habitus). Dall’altro lato, le medesime élites furono sia un interlocutore sia una parte integrante del discorso politico (in senso foucaultiano) della nuova dinastia. Come ricordato a più riprese dall’autore, infatti, il figlio di un sovrano carolingio diventava a sua volta re se e solo se era riconosciuto come erede legittimo dal resto della famiglia e soprattutto dall’élite del regno. In altre parole, la dimensione dinastica della regalità franca, già presente in età merovingia e ribadita attraverso un preciso sistema onomastico fatto di Carli, Pipini, e Ludovichi, ma anche di Gisle, Berte, Bernardi e Arnolfi, non definiva in quanto tale l’ereditarietà del titolo regio: la biologia non è sufficiente a fare un re, ma esso deve venire socialmente accettato in quanto tale. Si tratta, se vogliamo, di una peculiare declinazione del binomio natura/cultura.

Stuart Airlie segue cronologicamente le vicende della dinastia carolingia a partire dalle origini fino agli anni immediatamente successivi alla morte di Carlo il Grosso, avvenuta nell’888 in assenza di eredi legittimi. All’impianto rigidamente cronologico fanno eccezione due capitoli, di cui uno riguarda le donne carolinge – figlie, sorelle, mogli, madri, alcune divenute badesse – e l’altro riguarda i bambini. Entrambi mettono in rilievo il ruolo della riproduzione biologica e sociale della famiglia nella costruzione della legittimità dinastica, quindi anche le scelte riguardanti i rami della parentela rilevanti dal punto di vista della regalità e quelli che non lo potevano o non lo dovevano essere. Si tratta di tutti i bambini di stirpe regia, ma nati da unione illegittima, alcuni dei quali divennero importanti collaboratori dei sovrani, come Drogone di Metz per Ludovico il Pio, mentre altri si ribellarono a loro, come Pipino il Gobbo nei confronti del padre, Carlo Magno. Si tratta anche delle figlie di Carlo Magno, a cui non fu mai concesso di sposarsi, non tanto, come sostiene Eginardo, perché il padre le amava così tanto da volerle sempre accanto a sé, ma perché avrebbero moltiplicato con la loro prole i potenziali concorrenti al titolo regio.

Il volume ha il pregio di essere una lettura scorrevole e ben documentata, che combina un’analisi fresca e approfondita delle fonti scritte con gli approcci più recenti messi in campo dalla storiografia del settore. L’autore si pone infatti in dialogo con le principali ricerche che si sono occupate di Europa carolingia e specialmente con quelle che hanno messo al loro centro il discorso politico della dinastia e il rapporto dei sovrani con le élites – sia quelle laiche, a cui venivano distribuiti gli honores, sia quelle ecclesiastiche, tra cui spiccano i vescovi e i grandi monasteri di fondazione regia. Si tratta di una bibliografia estremamente ricca, che testimonia l’interesse vibrante riservato dalla storiografia europea e anglosassone al mondo carolingio negli ultimi quarant’anni. Se si escludono alcuni studi di François Bougard e Cristina La Rocca e quelli di Uwe Ludwig e Hartmut Becher relativi al Liber memorialis di San Salvatore di Brescia, le ricerche relative alla penisola italiana sono tuttavia poco presenti. Ciò ha come conseguenza quella di gettare un cono d’ombra sull’esperienza dei Carolingi in Italia e specialmente sull’originale discorso politico costruito intorno alla figura di Ludovico II, figlio dell’imperatore Lotario, e alla consors regni Angelberga, che pure viene brevemente menzionato. In conclusione, si tratta comunque di un libro capace di sintetizzare in modo vivido le vicende relative alla dinastia carolingia e di mettere in luce come l’autorità politica per essere tale debba non solo venire attentamente costruita, ma anche essere affermata, riprodotta (in questo caso innanzitutto attraverso i legami parentali), e soprattutto riconosciuta.