Giulia Iannuzzi, Geografie del tempo. Viaggiatori europei tra i popoli nativi nel Nord America del Settecento. Roma: Viella, 2022. 321 pp.
Il volume, frutto delle ricerche dottorali dell’autrice, indaga l’incontro tra i testimoni-osservatori europei e i popoli nativi nordamericani nel corso del XVIII secolo, nel momento in cui emerge una prima identità europea dall’osservazione dell’alterità (l’«altrove geografico») e si costruisce una gerarchizzazione delle diversità umane. La ricerca colma un ritardo, salvo poche eccezioni, nel panorama storiografico italiano, rispetto a quello anglofono. Il corpus di fronti è vario per natura (testuali, visive e cartografiche) e tipologia. Le fonti si caratterizzano per una tensione costante tra osservazione diretta e stereotipi convenzionali, alla ricerca di parallelismi e differenze nell’organizzazione politico-sociale e di vita quotidiana. Una sensibilità alla storia del linguaggio, sia nella costruzione di categorie concettuali, sia nelle necessità pratiche di comunicare con l’“altro”, svelano una competenza dell’autrice anche nel settore linguistico.
Il primo capitolo ricostruisce il quadro storiografico sull’incontro e le interconnessioni tra europei e globo, nel corso del Settecento, in una prospettiva di storia culturale e di world history, ma anche di trasmissione dei saperi e di scambio materiale. L’autrice mette in guardia dall’uso anacronistico di concetti propri dell’antropologia, non ancora costituitasi come disciplina al tempo, nonostante sottolinei come alcuni elementi siano già presenti in quella curiosità «proto-antropologica» che fa della letteratura di viaggio un campo di ricerca interdisciplinare.
Il secondo capitolo presenta il corpus di fonti primarie, due tipologie di oggetti-libri: i resoconti di viaggio e i trattati storici, entrambi basati su raccolte di informazioni in loco, dove la componente testuale è supportata da apparati visivi (come il frontespizio, pp. 104-105) e cartografici. La ricostruzione della storia delle popolazioni native è invece un terreno «su cui si consuma il conflitto per un’egemonia conoscitiva prima e oltre che amministrativa, economica e militare» (p. 53). Dapprima vengono esaminati i resoconti francofoni prodotti da esploratori e missionari durante il primo Settecento nella Nouvelle-France, lavori di grande successo editoriale e base per le successive opere anglofone (il secondo gruppo), scritte, invece, da ufficiali in missione diplomatica e di cui si dà conto delle ricche vicende editoriali e di traduzione. Sono poi trattati i viaggi alla scoperta di un passaggio a nord-ovest, alla ricerca di una via navigabile tra Pacifico e Atlantico. L’ultima tipologia esaminata è quella dei resoconti dei mercanti, attivi nella creazione di rapporti commerciali.
Il terzo capitolo si incentra sulla descrizione e codificazione del “selvaggio”, termine usato fin dai primi viaggi e con fortuna diacronica. Il contatto con gli europei è letto come inizio della corruzione di una purezza originaria e gli effetti di questa ibridazione culturale sono notati, e annotati, dai viaggiatori. L’ “altro” è categorizzato in gruppi distinti, in base alle caratteristiche fisiche ma anche, bilateralmente, in base al colore della pelle (non ancora alla “razza”). L’espansione europea ha avuto anche conseguenze ambientali e biologiche. Di fronte all’emergere di situazioni epidemiche tutta una riflessione medica mira, idealmente, alla costruzione di un «archivio dell’umanità americana» (p. 126): sui mezzi di limitazione dei contagi, sulla necessità di inoculare il vaiolo e curare i nativi per ottenere prestigio a livello diplomatico, sulle differenze di stile di vita e di ‘complessione’ (a testimonianza di un “tempo lungo” del paradigma conoscitivo ippocratico-galenico). Il capitolo cerca infine di leggere alcune figure di genere fluido, non binario, e rileggere l’agency femminile all’interno delle società amerinde per superare quella «frontiera di genere» presente nelle fonti settecentesche, scritte da uomini. La donna aveva, infatti, un ruolo primario, oltre che nell’ambito domestico, anche negli scambi commerciali e negli spostamenti dei gruppi nomadi.
Il quarto capitolo rimette in questione la visione del nativo considerato come a uno stadio infantile di incivilimento. I nativi sembrano felici ma, in realtà, vivono aspri conflitti intertribali e sono stati corrotti dall’incontro con gli europei (in particolare dall’uso smodato di alcool). Non sembrano conoscere sentimenti di gelosia o senso di proprietà ma ogni azione è volta al bene comune (tanto che per i nativi i “selvaggi” sono gli europei, p. 162). Una sistematica smentita di stereotipi sui nativi (dal cannibalismo all’assenza di peluria) è offerta grazie all’osservazione sul campo. Oltre a varie ipotesi sull’origine dei nativi e sull’assenza di alcuni termini temporali, di breve termine, nel linguaggio amerindo, il capitolo si chiude presentando alcune opere inglesi con finalità pratica per possibili investitori nel nuovo continente.
L’History of American Indians, di James Adair, e il terzo viaggio di James Cook, sono i due casi di studio al centro del quinto capitolo. L’obiettivo di Adair è quello di sostenere la tesi di una discendenza ebraica dei nativi. L’opera è un confronto fra tradizione libresca e osservazione diretta, grazie anche agli stretti rapporti intrattenuti con la popolazione autoctona. L’edizione a stampa del viaggio di Cook, del 1784, successiva alla morte avvenuta durante la missione, fu voluta dall’Ammiragliato britannico e fu curata da John Douglass, sulla base dei diari personali di Cook. L’incivilimento passa attraverso lo scambio e il commercio di oggetti (spesso offerti per stabilire un primato di contatto) e la narrazione è contraddistinta anch’essa da comparazioni e osservazioni.
Sesto e settimo capitolo affrontano il problema linguistico e quello delle traduzioni. La conoscenza della lingua locale è vista sia come strumento di conoscenza per determinare l’origine dei popoli nativi, sia per veicolare il commercio e lo scambio, grazie anche alla figura dell’interprete-mediatore, spesso legato ai nativi da forti legami come il matrimonio. L’assenza di scrittura e di un sistema alfabetico-sillabico rende la lingua instabile e mutevole. Tuttavia, in appendice o nel testo, gli autori analizzati accludono spesso liste di nomi, brevi vocabolari o prontuari con finalità pratiche ma anche editoriali, che vengono analizzati e comparati tra di loro. L’ultimo capitolo si incentra, invece, sulla proiezione verso il futuro e si registra l’assenza dei nativi dagli scenari di sviluppo economico europeo e l’instaurarsi di accordi diplomatici stabili con le popolazioni.
L’opera, molto più chiara nella lettura dei capitoli che nell’introduzione iniziale, è fortemente documentata e ricca di stimoli e fa emergere nuovi quesiti per approfondimenti ulteriori: ad esempio, sulla questione di genere (si veda un caso di scrittura femminile canadese), o sull’analisi dei frontespizi (che potrebbe essere estesa in modo sistematico), così come sulle pratiche di lettura e la ricezione di queste opere in madrepatria.