Mark Depauw e Sandra Coussement (eds.), “Identifiers and Identification Methods in the Ancient World”, Leuven – Paris – Walpole, Peeters, 2014, VI-286 pp.
Gli editori del volume collettaneo, servendosi di una concezione ampia di identità, si propongono di indagare le pratiche scelte da alcune società del Mediterraneo antico per costituire dei gruppi omogenei e stabilire delle connessioni tra più individui. Tra di esse hanno un ruolo principale l’elemento di base, il nome, in combinazioni di vario tipo, ma anche alcuni titoli correlati a determinate posizioni sociali, e alcuni segni non verbali, tra cui i sigilli, che uniscono più culture. Più comuni nell’area greca sono i riferimenti alla provenienza geografica o l’affiliazione a dei gruppi, mentre quasi assenti sono i fattori più ovvi, dal punto di vista moderno, del genere o dell’età.
La combinazione dei vari motivi si concretizza nella rassegna delle pratiche che pongono l’accento sui documenti legali suddivise in quattro macrosezioni: Vicino Oriente, Egitto, Grecia e Roma. L’ampio spettro cronologico e geografico è utile pertanto per confrontare la gamma di identificatori selezionata in diverse società per costituirsi in entità e per metterne in luce i riflessi culturali.
I primi due interventi si focalizzano sulla Mesopotamia e su Babilonia a metà del II millennio a.C. e convergono nell’indicare nei segni non verbali i principali mezzi di identificazione. Il primo, di S. Démare-Lafont, analizza le fonti babilonesi, dalle quali emerge una distinzione fondamentale tra le pratiche di identificazione di una persona “naturale”, il nome unito al patronimico e il domicilio, e di una “legale”, per la quale si faceva ricorso a sigilli o ad altri body markings con funzione di autenticazione dell’individuo. Il secondo, di G. Suurmeijer, si concentra sull’antico insediamento babilonese di Sippar i cui documenti legali rivelano la natura multisfaccettata dei nomi, veicolatori di informazioni su significato, genealogia o provenienza geografica, e ancora dei sigilli.
A. David dà inizio alla sezione dedicata all’Egitto, prendendo le mosse dall’antico Regno e svelando subito una differenza: la pratica identificatoria non si distingueva a seconda del contesto, legale o meno, e consisteva nell’indicare in modo asistematico, oltre al nome, titoli di vario tipo, indicanti onori, filiazione o occupazione. Una rassegna di elementi portatori di identità è proposta da M. Depauw per l’Egitto dall’800 a.C. al 300 d.C., preceduta da importanti considerazioni su caratteristiche peculiari delle pratiche legali egiziane in analisi: prima tra tutte l’oralità e dunque il tratto non verbale da presupporre alla loro base. Con i problemi di regolamentazione che i greci dovettero affrontare per l’auto-identificazione sul nuovo stato territoriale egiziano si confronta il contributo di U. Yiftach-Firanko. Egli prende a modello un importante papiro del III secolo a.C., BGU XIV 2367, per discutere l’introduzione di una legislazione in materia, ma anche della messa in pratica delle prescrizioni lì contenute fino alla fine del periodo tolemaico: gli adattamenti e le aggiunte corrispondono anche all’uso da parte di egiziani di identificatori puramente greci. Un approccio dichiaratamente sociale che applica un metodo statistico è quello delle due studiose Y. Broux e S. Coussement, le quali si servono del fenomeno della polionimia, e in particolare dei double names, per investigare la struttura sociale implicata nel cambiamento associato all’evoluzione del loro uso. Netto risulta il passaggio all’età romana e alla riduzione a tutti gli abitanti della chora ad Aegyptii che conduce ad un cambiamento: il doppio nome connota ora lo status, piuttosto che l’etnicità, come era stato nel periodo tolemaico. Un doppio impiego di un’altra categoria di identificatori, i sigilli, ricevono l’attenzione di K. Vandorpe. Una funzione di autenticazione per i documenti legali era richiesta nell’Egitto greco-romano: essi potevano avere vari livelli di stabilità. Rispondeva invece ad un’esigenza di protezione di contenuti in documenti privati la scelta di apporveli. Chiude la sezione egiziana l’analisi di A. Delaittre sugli elementi di identificazione nei secoli IV-VIII d.C.: pur nei cambiamenti politici e amministrativi attraversati dal paese si riscontra una certa continuità di pratiche, di massima identificazione in documentazione ufficiale e minima in quella privata, con l’aggiunta di elementi nuovi, che riflettono il mutato contesto storico con l’introduzione prima della religione cristiana e poi di quella musulmana.
La società greca divisa tra i cittadini, identificata con nome, patronimico e demotico, e stranieri, con l’etnico, è oggetto di esame di M. Faraguna: il suo contributo rileva una tendenza all’accrescimento di informazioni identificative nelle iscrizioni pubbliche, di cui riporta una selezione di esempi. La stessa enfasi sullo status legale del cittadino è posta da K. R. Kristensen nella sua analisi sugli elementi identificatori a Creta dall’età arcaica: la stessa dicotomia tra cittadini e non cittadini viene riscontrata per l’isola con la puntualizzazione del carattere orale di molte interazioni legali e dunque la redazione scritta di un numero limitato di leggi, nelle quali si differenziano comunque le stesse due tipologie, di liberi e dipendenti. Il tentativo di identificare la parte dipendente, gli schiavi, in cinque documenti greci dall’età classica a quella ellenistica rappresenta l’argomento del contributo di A. Maffi, il quale raccoglie elementi sufficienti per risultati positivi in due di essi, ma sottolinea la dipendenza dal contesto per l’interpretazione nei restanti tre.
Al mondo romano sono dedicati tre saggi: quello sulle tabulae romanae di E. Jakab si concentra sull’aspetto giuridico di identificazione dei contraenti che, oltre al nome, presenta varie declinazioni di elementi a seconda dei loro luoghi di provenienza. La trattazione include anche i sigilli, i signatores, i garanti e i testimoni, tutti elementi che mirano a garantire l’integrità dei documenti. Il secondo, di I. Israelowich, applica i concetti di identificatori ad una categoria ben precisa, i demosioi iatroi, medici pubblici, la cui definizione era soggetta sia a un controllo pubblico (essi erano esenti dalle liturgie), ma anche demandata al paziente e al suo sistema culturale. L’ultimo intervento, di P. Scheibelreiter, punta a rintracciare nelle fonti giuridiche del I e II secolo dei metodi di identificazione: se è ancora il nome il fattore principale, esso viene sostituto da Blankettnamen nei digesti, nei quali le parti contrattuali vengono talvolta anonimizzate o sostituite da nomi fittizi. Il documento stesso e i suoi fattori non verbali, come la scrittura, la subscriptio, o altri segni di riconoscimento finiscono per assumere rilievo in funzione di autenticazione.