Nonostante la mancanza di una chiara definizione, la storia dello spazio atlantico va sempre più consolidandosi come autonomo spazio storiografico. Questo articolato campo di indagine ha avuto in Bernard Bailyn uno dei suoi principali cultori che ora si sofferma, in questa agile introduzione, ad esplorarne la genesi storiografica e a presentarne i principali temi. Il volume è composto da due concise sezioni, che convergono nello sforzo di ripercorrere l’emergere della consapevolezza storica dello spazio atlantico e comprendere la natura dello stesso soggetto storiografico.
Il primo saggio, sull’idea della storia atlantica quale concetto storico, consiste in una ricca rassegna bibliografica da cui emerge l’immagine di un concetto storico fortemente radicato nel clima politico-culturale della seconda metà del ’900 e che, pur senza cadere in una retro-proiezione del presente, è illustrativo delle forze che plasmano e influenzano il corso degli studi storici. Non potendo definire l’Atlantico come un concetto metastorico od uno spazio geografico epistemologico al pari del Mediterraneo braudeliano, né tanto meno una semplice espansione delle varie tradizioni di storia imperiale, l’a. ne identifica gli impulsi iniziali nel discorso pubblico del secondo dopoguerra, in particolare nella ripresa e diffusione degli scritti di W. Lippman del 1917 che, abbandonando l’universalismo wilsoniano, si concentrano sulla comunità atlantica quale sistema accomunato dalla stessa tradizione culturale e dunque sull’oceano come mare interno alla «civiltà occidentale». È in questo contesto che gli storici iniziarono a considerare l’Atlantico non come barriera tra Europa e America, ma piuttosto come legame entro cui si gioca l’affiliazione tra i due continenti.
Sullo sfondo di un’utile esplorazione delle varie storiografie continentali, è apprezzabile lo sforzo dell’a. di superare l’ambito della riflessione anglofona, che mette in luce i tratti comuni alla comunità internazionale di studiosi e le più diffuse speculazioni metodologiche. Il rapido sviluppo delle metodologie quantitative ha in primis contribuito a consolidare l’interesse verso la storia atlantica. A partire dagli studi demografici e migratori sulle popolazioni delle Americhe che hanno abbondato negli anni ’60 e ’70, gli storici sociali hanno iniziato ad esplorare le condizioni tra i vari gruppi, le reti di connessione e l’incontro tra nativi e migranti. Da questo passaggio dalla storia delle istituzioni a quella della popolazione e dei commerci, è derivato lo sviluppo di approcci che considerano le esperienze su entrambe le sponde dell’Atlantico con una prospettiva unificata e che delineano un sistema a rete policentrico di imperialismo economico. È questo un passaggio riassumibile nella citazione del geografo D.W. Meinig secondo cui «una nuova geografia umana è emersa dall’incontro dei due mondi» (p. 55). Questo solleva una domanda importante sulla dimensione spaziale: se l’Atlantico di Bailyn è composto principalmente da Europa e Americhe, cui fa costante riferimento come «emisfero occidentale», le implicazioni di questa scelta sono significative. Infatti il secondo saggio, pur fornendo un valido modello di storia comparativa delle Americhe e di storia integrata di Europa e America, manca di integrare l’Africa, se non come bacino di raccolta di manodopera, nonostante parta dall’assunto che in età moderna l’Europa, le Americhe e l’Africa occidentale fossero talmente interrelate sul piano economico, sociale, culturale e politico da poter essere trattate come un insieme.
In questa seconda parte, la narrazione analitica dei contorni della storia atlantica tra il 1500 ed il 1800, Bailyn individua tre distinte fasi storiche – fluide e flessibili nel tempo e nello spazio – che dalla brutalità iniziale della conquista portano allo sviluppo di strette reti di interazione. La sfida per questo tipo di storia è, l’a. ci suggerisce, ridurre a sintesi la vasta diversità delle esperienze atlantiche ed identificare un modello generico nel cui contesto possano essere esaminati i contesti specifici. La storia del nuovo mondo non è dunque meramente la combinazione delle varie storie nazionali o imperiali, ma piuttosto «una nuova ed unica analisi che è tale solo se è qualcosa di più che la somma delle sue parti» (p. 60). Merito di questo approccio è che esso non si risolve in un allargamento della prospettiva, ma piuttosto suggerisce che tanto le varie esperienze nazionali quanto i singoli aspetti tematici possono essere compresi appieno solo se considerati nel più ampio contesto atlantico, un processo che supera le sue parti costituenti, ma che allo stesso tempo rigetta l’idea della regione come una unità storica statica e ne enfatizza invece la mobilità. Per Bailyn, l’Europa e l’emisfero occidentale hanno dapprima formato una entità regionale distinta per poi prendere diversi percorsi e, nel corso del XIX secolo, divenire parti di un più ampio sistema globale. Se un limite può essere individuato nell’analisi svolta nel volume, esso sta appunto nell’assenza di riflessione su ciò che separa questa specifica dimensione geostorica dal resto del mondo.