Patrick Geary, “In principio erano le donne. Miti delle origini dalle Amazzoni alla Vergine Maria”, Roma, Carocci editore, 2018, 118 pp.
Breve volume, denso dal punto di vista concettuale, che offre un contributo originale, incentrato sulla storia di genere, alla ricerca dedicata alla costruzione dei miti delle origini. Geary infatti torna a occuparsi, dopo Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, un libro di fondamentale importanza uscito in Italia nel 2009, del tema delicato del resoconto delle origini “che spiegano” (riprendendo le riflessioni di Marc Bloch nell’Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi 1950, pp. 43-48), - origini sia di popoli e nazioni sia di dinastie regie e aristocratiche - attraverso un punto di vista originale e oltremodo fecondo. L’a. si è interrogato cioè sul ruolo che le donne svolgevano (o non svolgevano) nei racconti delle origini. Incluse nelle narrazioni, le presenze femminili sono a volte retaggio di tradizioni antiche che restano incomprensibili e a cui si cerca di dare nuovi significati; altre volte invece, inserite scomodamente nella narrazione e tratteggiate in modo ambiguo, esprimono il disagio degli scrittori. Se infatti chiara è l’esigenza di espellere le donne o relegarle a ruoli marginali in un racconto celebrativo e dunque tutto al maschile, dall’altra incide l’esperienza vissuta delle donne di potere, fondamentali nella riproduzione e nella trasmissione dell’autorità nei gruppi di parentela orizzontali, specialmente prima dell’affermazione della primogenitura. Il volume non offre un resoconto coerente di una presunta evoluzione lineare del ruolo delle donne nei racconti delle origini elaborati nel periodo compreso tra l’Antichità e il XII secolo, ma piuttosto propone una serie originale e fresca di ritratti femminili, tratti dai più svariati contesti, che consentono di far luce su vari aspetti fondamentali di questo complesso problema. Ne risulta perciò estremamente piacevole la lettura.
Il primo capitolo, di natura metodologica, chiarisce l’oggetto della ricerca. Geary spiega cioè che scivolosa e piena di rischi è la ricerca sulle presenze femminili nei racconti sia come possibile evidenza di un presunto matriarcato delle origini sia come testimonianza di come vivevano realmente le donne in specifici contesti culturali e sociali. Sposta invece l’attenzione sui compilatori, i letterati, i genealogisti, i teologi e i giurisperiti che hanno redatto questi miti, non certamente per raccontare le origini, ma piuttosto per esprimere il loro punto di vista sul presente e una prospettiva per il futuro. Inquadra poi il problema della presenza delle donne nei racconti delle origini nell’antichità, a partire dagli Sciti, generati da una madre per metà serpente e nelle leggende romane dove le donne assumono un ruolo negativo o compaiono come vittime sacrificali (si pensi a Didone o a Lucrezia), e nella tardo Antichità e nell’alto medioevo, alla luce delle origines gentium.
Il secondo capitolo esplora con risultati innovativi due temi. Il primo concerne il ruolo della presenza delle Amazzoni nei racconti delle origini dei popoli e specialmente nell’Historia Gothorum di Giordane. Geary mostra come Giordane inserì le Amazzoni nella sua origo dei Goti sulla scia dell’Historia Augusta nella quale si raccontava che Aureliano, dopo aver sconfitto i Goti nel 271, condusse a Roma i barbari sconfitti tra cui anche dieci donne della gens delle Amazzoni. Ma se nell’Historia Augusta le Amazzoni servono a denunciare il fallimento degli imperatori romani, nell’Historia Gothorum rimangono un elemento poco integrato nel racconto. Il secondo tema riguarda la figura della phitonissa Libuše a cui si attribuisce la fondazione della dinastia Premislide e della città di Praga e che nella Chronica Boemorum Cosma di Praga sviluppa ambiguamente come donna saggia e potente, eppure dedita alle forze occulte. Figura enigmatica che i Cechi nel 2018, in occasione del centenario della nascita della Cecoslovacchia, hanno omaggiato con l’allestimento dell’opera “Libuše” di Bedřich Smetana (1824-1884) presso il teatro nazionale, secondo Geary riflette il giudizio positivo che Cosma riservava alla sua coeva Matilde di Canossa, ma al contempo è allusione al fatto che i Boemi, per entrare nella storia, dovevano accettare l’autorità bruta e maschile dei duchi.
Il terzo capitolo è dedicato al ruolo eccezionale delle donne tra IX e X secolo, di nuovo controverso nelle ricostruzioni genealogiche medievali (ma anche secondo i genealogisti del XIX secolo), nella genesi dei gruppi parentali egemoni nel XII e nel XIII secolo. Geary si cimenta con due situazioni tipo, individuando e analizzando casi esemplari. La prima situazione riguarda l’ascesa politica del gruppo che riusciva a dare una propria donna in moglie al re, descritta alla luce della fortuna dei Guelfi tra XI e XII secolo, fortuna sociale, politica ed economica che trae origine dal matrimonio di Giuditta, figlia di Guelfo, con l’imperatore Ludovico il Pio nell’819. Sminuita risulta tuttavia la figura di Giuditta nelle precoci narrazioni genealogiche dei Guelfi (XII secolo). La seconda situazione concerne il matrimonio con la figlia di un re, discussa alla luce della storia del rapimento di un’altra Giuditta, la figlia di Carlo il Calvo, da parte di Baldovino I, il futuro conte delle Fiandre. Nelle memorie del X secolo, i discendenti della coppia valorizzano il matrimonio tra Giuditta e Baldovino come momento fondante della famiglia e Giuditta come l’imprescindibile legame con la dinastia carolingia. Nelle genealogie di XII secolo, nuove priorità marginalizzato la figura di Giuditta a favore piuttosto di una serie di oscuri personaggi eletti ad antenati di Baldovino I. Risulta chiaro come le mogli dei re e le figlie dei re abbiano avuto fondamentale importanza nell’elevazione dei propri parenti maschi. Tuttavia, nella narrazioni, specialmente con il passare del tempo, si avverte una sorta di reticenza ad attribuire a queste madri fondatrici l’origine delle fortune familiari.
Nell’ultimo capitolo, Geary provocatoriamente suggerisce che il progetto condiviso dagli scrittori uomini di marginalizzare le donne sia nei racconti delle origini sia nella costruzione dell’identità dei gruppi parentali sia da associare alla sostituzione di una figura maschile con una femminile nella più importante genealogia dell’Occidente, quella della famiglia di Gesù. Per questo offre ai lettori un excursus dedicato al grande tema della genealogia di Gesù che appassionò gli esegeti dei Vangeli e i teologi, dai primi anni dopo la sua morte al XV secolo; excursus che dunque individua i testi chiave che determinarono la piena emarginazione di Giuseppe e il successo di Maria, figlia di Gioacchino e di Anna a partire dal Protovangelo di Giacomo, come cardine incontrastato della parentela sia biologica sia spirituale di Gesù.