La decisione di tradurre in italiano il libro di Irme Schaber, Fotoreporterin im spanishen Bürgerkrieg: eine Biographie[1],
emerse nel 2006 quando, assieme a Mariella Boccadoro e Flavia Fasano, fondammo un’associazione culturale dedicata alla promozione del lavoro delle fotografe e allo studio della rappresentazione
delle donne nella fotografia contemporanea, “Gerdaphoto”. La scelta di ispirarci a Gerda Taro derivava in parte dalla vicinanza che sentivamo
rispetto al suo lavoro e, soprattutto, alla sua visione della fotografia come strumento di attivismo e impegno politico. Inoltre, ci sembrava particolarmente importante recuperare dall’oblio della
storia il nome di una fotografa la cui esistenza e opera artistica erano rimaste così a lungo nascoste dietro la carriera e la fama di Robert Capa, suo compagno negli anni parigini e durante la
Guerra civile spagnola. Quando sapemmo dell’esistenza del libro di Irme Schaber e scoprimmo che stava per essere allestita la prima mostra delle fotografie scattate da Taro durante la Guerra civile
spagnola, decidemmo di cercare un editore per la traduzione italiana.
La pubblicazione del libro di Schaber giunge in un momento storico carico di discussioni riguardanti la Guerra civile spagnola. La celebrazione del suo settantesimo anniversario è stata infatti
accompagnata dall’organizzazione di numerosi convegni e mostre, che hanno suscitato un acceso dibattito pubblico relativo al posto che quel conflitto ricopre nella storia contemporanea e nella
memoria collettiva europea. La ricerca svolta dall’autrice sulle poche fonti rimaste su Gerda Taro, e il suo approccio critico allo studio di fonti assai eterogenee, quali le riviste di massa, le
carte della polizia e la storia orale, gettano nuova luce sulla storia europea degli anni ’20 e ’30. In particolare, evidenziano la complessità dell’antifascismo europeo, e l’importanza ricoperta
dal socialismo e dal comunismo nel convogliare l’attivismo politico dei giovani tedeschi durante la Repubblica di Weimar e, ancor più, al momento dell’ascesa del regime nazista.
La partecipazione di Gerda Taro alle attività di vari gruppi studenteschi socialisti, e il suo crescente impegno politico nei mesi immediatamente precedenti la presa di potere da parte di Hitler,
simboleggiano, per la Schaber, la vicinanza che molti giovani sentivano rispetto agli ideali comunisti. Per quanto parecchi di loro, tra cui la stessa Taro, fossero ebrei, assai più cruciale nel
determinare la loro presa di posizione politica furono, per usare le parole dell’autrice, le visioni «di un’umanità liberata, di una società futura solidale, senza divisioni sociali, di razza o
religione, [che] offrivano loro nuove energie, speranze e vie d’uscita»[2]. Tuttavia, Irme Schaber rifugge dal fornire un’immagine
idealizzata del comunismo internazionale e, in questo senso, il suo libro si colloca all’interno di un dibattito più ampio riguardante il ruolo dell’Unione Sovietica durante la Guerra civile
spagnola e negli anni del Fronte popolare.
Nella sua analisi dell’ambiente antifascista parigino, l’autrice punta il dito contro le forme di rigidità che caratterizzarono l’Unione Sovietica e i vari partiti comunisti europei negli anni ’30.
L’importanza dei gruppi politici e culturali frequentati da Gerda Taro nei caffè di Montparnasse e del Quartiere Latino risiede, quindi, proprio nella loro capacità di fungere da punto di
riferimento per le diverse anime dell’antifascismo tedesco in esilio, evitando di conformarsi allo stalinismo e di sottoporsi alle divisioni tra i partiti politici di sinistra. È proprio
nell’ambiente intellettuale costituitosi intorno a gruppi quali l’Associazione per la tutela degli scrittori tedeschi, la sezione in esilio del Partito socialista operaio (SAP) e l’Associazione
degli scrittori e artisti rivoluzionari, che Gerda Taro espresse la propria opposizione nei confronti del regime nazista e comprese la rilevanza del giornalismo e della fotografia nella lotta
internazionale contro il fascismo.
Uno dei grandi meriti di questo volume consiste nell’intreccio tra la storia generale europea e quella individuale di Gerda Taro. Come scrive la stessa Schaber nell’introduzione, la sua ricerca è
stata motivata in gran parte dalla volontà di recuperare le «tradizioni positive» della storia tedesca, ossia di individuare nella Germania e nell’esilio tedesco degli anni ’20 e ’30 le forme di
attivismo e impegno politico contro il nazismo. L’adozione di questo punto di vista permette all’autrice di porre al centro dell’attenzione la questione della scelta e della responsabilità
individuali, una questione che inevitabilmente travalica la vita di Gerda Taro. Soprattutto nella prima parte del libro, Irme Schaber denuncia con forza l’indifferenza che accompagnò la crescente
diffusione dell’antisemitismo nella vita quotidiana della Germania. Allo stesso tempo, evidenzia il tragico fallimento dei due maggiori partiti di opposizione politica, la KPD (il Partito comunista
tedesco) e l’SPD (il Partito socialdemocratico tedesco), le cui divisioni facilitarono l’ascesa al potere del nazismo.
È all’interno di questo quadro che Irme Schaber colloca la vita di Gerda Taro, evidenziando l’importanza della sua decisione di abbandonare la Germania nel 1933 per portare avanti la sua
opposizione antifascista dalla Francia. Lungi dall’offrire una visione romanticizzata della vita degli esiliati tedeschi, o anche della storia d’amore tra Gerda Taro e Robert Capa, l’autrice
individua nella Parigi degli anni ’30 un momento particolarmente importante nell’emergere di un legame tra il mondo della letteratura e dell’arte e quello dell’impegno antifascista. Questi sono gli
anni in cui iniziano a diffondersi le riviste di massa, tra cui spicca «Life», e nascono le prime agenzie fotografiche, grazie alle quali si afferma la figura del fotogiornalista di professione. Ma
sono anche gli anni in cui molti artisti trasformano le proprie opere in strumenti di riflessione e critica rispetto alle trasformazioni in atto nel mondo contemporaneo. Influenzata – in gran parte
attraverso gli esiliati tedeschi trasferitisi a Parigi – dalle forme di sperimentazione fotografica e giornalistica emerse durante la Repubblica di Weimar su riviste quali
l’«A.I.Z.Arbeiter-Illustrierte-Zeitung», la stampa francese degli anni ’30 attribuì un valore sempre più determinante al reportage fotografico, inteso come strumento di
opposizione politica, dando vita a riviste di grande qualità, come «Vu» e «Regards», sulle quali furono pubblicati gli scatti dei più importanti fotogiornalisti dell’epoca, tra cui anche quelli di
Gerda Taro.
Come molti della sua generazione, Taro si avvicinò alla fotografia quasi per caso, accompagnando i suoi scatti alla scrittura di articoli per i giornali. Furono però soprattutto le forme di rottura
introdotte nella sua vita dallo scoppio della Guerra civile spagnola, e il rischio che un altro paese europeo potesse cadere nelle mani dei fascisti, a spingere Gerda Taro a trasformare la
fotografia in una forma di espressione del proprio pensiero politico. Un mese dopo l’inizio del conflitto, nell’agosto del 1936, Gerda Taro e Robert Capa si trovavano già in Spagna per documentare
la vita quotidiana a Barcellona e gli scontri sul fronte repubblicano. Le loro fotografie riflettono la consapevolezza di stare vivendo un momento epocale, in cui, come scrive Irme Schaber, «i
confini tra fare storia e fotografare la storia non sono più tanto definiti»[3]. La Guerra civile spagnola rappresentò infatti la prima
guerra mediatica della storia contemporanea, in cui la diffusione di macchine fotografiche leggere e maneggevoli, e l’importanza acquisita dalla fotografia sulla stampa internazionale, assegnarono
un ruolo sempre più determinante al fotogiornalista. Per quanto il significato delle loro immagini finisse spesso per essere distorto dalle didascalie e dai tagli fatti dalle redazioni, Taro e Capa
vissero la guerra civile spagnola con la coscienza dell’influenza che le loro immagini avrebbero potuto avere sull’opinione pubblica mondiale, e costruirono i loro scatti di conseguenza, tentando
di raggiungere un linguaggio comprensibile universalmente.
In questo libro, l’intreccio e il confronto tra la Storia con la “S” maiuscola e la storia delle vicende e delle scelte individuali e collettive emerge con forza anche in un altro senso. Come
sostiene l’autrice nell’introduzione, la scelta di scrivere una biografia su Gerda Taro è stata motivata anche dalla volontà di recuperare quelle che sono rimaste delle «note a margine della
storia». Il fatto che la vita di Gerda Taro sia stata così a lungo dimenticata non dipende solo dalla sua morte precoce, ma anche dal fatto che fosse una donna, e che quindi la sua vita e opera
all’interno di un mondo – quello della politica antifascista e del fotogiornalismo – dominato dagli uomini, siano state assai rapidamente accantonate dalla storia ufficiale.
Attraverso la lettura critica delle fonti tradizionali così come delle numerose interviste fatte alle persone la cui esistenza si incrociò con quella della fotografa tedesca, l’autrice dimostra non
solo una notevole capacità analitica, ma una profonda onestà intellettuale. Di fronte alle diverse, e a volte contrastanti, interpretazioni fornite dalla stampa e dagli amici di Gerda Taro, Irme
Schaber rifiuta costantemente di giungere a conclusioni affrettate, preferendo invece offrire ai propri lettori le trame dei racconti e la posizione dei loro autori. Quella di Irme Schaber è dunque
espressione della migliore women’s history, ma anche di una capacità di ascolto delle proprie fonti che non è sempre semplice trovare. Proprio la consapevolezza di non essere in grado di
ricostruire interamente l’esperienza e la soggettività di Gerda Taro porta l’autrice a scrivere un libro in cui è costante l’impressione che la protagonista ci guardi sorridendo, sfuggendo alla
nostra comprensione e quasi sfidandoci a intuire i suoi pensieri sulla base dei frammenti rimasti.
Scopo di Irme Schaber, però, è anche quello di destabilizzare costantemente la storia ufficiale, così come le interpretazioni delle sue fonti. La scelta di utilizzare il genere come categoria di
analisi e di studiare la storia attraverso la vita e le esperienze di una donna le permettono di esporre – e denunciare – le forme di discriminazione e maschilismo della politica, della fotografia
e dei rapporti interpersonali di Gerda Taro. L’autrice rifiuta dunque di accettare l’interpretazione dell’antifascismo parigino come una pratica politica egualitaria, ed evidenzia invece le
numerose discriminazioni attuate al suo interno nei confronti delle donne. Pur riconoscendo il fatto che la frequentazione dei gruppi antifascisti e l’esperienza dell’esilio abbiano permesso a
Gerda Taro di conquistare nuovi spazi di autonomia, Schaber punta il dito contro l’esclusione delle donne dalla partecipazione attiva alle discussioni politiche, e la loro relegazione a ruoli
ausiliari e secondari rispetto a quelli degli uomini.
La questione del confronto e scontro tra la storia individuale di Gerda Taro e gli eventi della storia generale si pone con particolare forza nell’analisi della guerra civile spagnola. Qui Irme
Schaber mostra le forme di ineguaglianza proprie del fotogiornalismo di guerra, una professione che, per quanto caratterizzata dalla presenza di varie donne, è sempre stata definita come
prettamente maschile. Non è un caso, dunque, che inizialmente Gerda Taro tenti di vendere le proprie fotografie dietro il nome di Robert Capa, incarnazione per eccellenza della figura eroica del
fotogiornalista di guerra. Ma l’analisi offerta dall’autrice non si limita a questi aspetti, in gran parte conosciuti, della storia della fotografia. Piuttosto, offre ai lettori un ampio panorama
dei problemi suscitati dalla presenza di Gerda Taro al fronte. In questo senso, il libro di Irme Schaber risponde a una serie di questioni più ampie relative al posto delle donne in guerra. Il
fatto che in Spagna la fotografa tedesca non rivestisse ruoli prettamente ‘femminili’, quali quello dell’infermiera, della madre sofferente o della prostituta, sollevò una serie di questioni che
emergono con chiarezza nei racconti delle persone che la conobbero. Se alcuni la definirono una puttana per le sue molte storie d’amore, altri furono particolarmente turbati, o almeno colpiti,
dalla sua volontà di documentare le situazioni belliche più estreme, al punto da gettarsi nelle trincee.
Per oltre cinquant’anni la vita e l’opera fotografica di Gerda Taro sono rimaste per lo più nell’oblio. Nel 1938 Capa, devastato dalla morte della compagna, pubblicò un libro di fotografie sue e di
Gerda Taro sulla guerra civile spagnola, Death in the Making, cui seguì una mostra alla New School for Social Research di New York[4]. Entrambi gli eventi avrebbero dovuto rendere omaggio al lavoro che Capa e Taro avevano svolto in Spagna, ma molti degli articoli che apparvero sulla stampa omisero di includere
il nome di Taro tra gli autori delle immagini. Nei decenni successivi il lavoro di Gerda Taro andò in parte perduto, e le fotografie che sopravvissero vennero attribuite a Robert Capa e inglobate
all’interno del suo archivio. Solo a partire dalla biografia su Robert Capa, scritta da Richard Whelan negli anni ’80, si è iniziato a far luce sulla vita di Gerda Taro, grazie ad uno studio degli
archivi del fotografo ungherese. Il volume di Irme Schaber, pubblicato in tedesco nel 1995, ha costituito la prima e, per lungo tempo, l’unica biografia storica su Gerda Taro[5]. Nel 2007, sulla base del materiale rinvenuto nell’archivio di Robert Capa, l’International Center of Photography di New York ha organizzato la prima
mostra delle fotografie scattate da Gerda Taro durante la Guerra civile spagnola[6]. Assieme a questi ultimi due eventi, la
pubblicazione, prima in francese e adesso in italiano, del testo di Irme Schaber promette di dare nuova visibilità non solo al personaggio di Gerda Taro, ma anche al contesto nel quale si trovò a
vivere.
Note
* Questo testo è frutto di una rielaborazione della mia Prefazione all’edizione italiana del libro di Irme Schaber, Gerda Taro: una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola,
Roma, DeriveApprodi, 2007.
[1] I. Schaber, Fotoreporterin im spanishen Bürgerkrieg: eine Biographie, Marburg, Jonas Verlag, 1995.
[2] Schaber, Gerda Taro: una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola cit., 54.
[3] Ivi, 114.
[4] R. Capa, Death in the Making. Photographs by Robert Capa and Gerda Taro, New York, Convici-Friede, 1938.
[5] R. Whelan, Robert Capa: a Biography, New York, Alfred A. Knopf, 1985; è stata da poco pubblicata un’altra biografia su Gerda Taro: F. Maspero, L’ombra di una fotografa. Gerda Taro e la sua guerra di Spagna, Milano, Archinto, 2007 (ed. or. Paris 2006).
[6] Si veda il bel catalogo della mostra: R. Whelan, I. Schaber, K. Lubben (eds.), Gerda Taro, New York, ICP/Steidl, 2007.