Christopher F. Black, “Storia dell'Inquisizione in Italia: tribunali, eretici, censura”, Roma: Carocci, 2013, 485 pp. (trad. Gian Luca D'Errico)
Paolo Mieli, nel recensire sul Corriere della Sera (22 gennaio 2013) l'edizione originale pubblicata per la Yale University Press nel 2009 con il titolo The Italian Inquisition, ricordava che l’autore aveva dissentito con l’editore proprio per la scelta del titolo. Il rischio di sacrificare il tema del variegato mondo dei tribunali con declinazioni territoriali, evidentemente per l’autore, troppo stringenti, non avrebbe fatto giustizia a finalità interpretative più articolate che lo storico si poneva. Ancor più duro era stato lo scontro con Diarmaid MacCulloch che su The London Review of Books imputava a Black la colpa di aver cavalcato una sorta di leggenda pink dell’inquisizione romana con considerazioni morbide laddove la valutazione sulle “nefandezze” operate dal governo Carafa/Ghislieri non riceveva la giusta considerazione. Black si difendeva chiamando in aiuto la storiografia più affermata sul tema, quella di Prosperi e Ditchfield i quali affermavano a riguardo, come sempre Mieli ricorda nel citato articolo, che “l’inquisizione romana, nonostante il suo lato oscuro, è stata anche una forza creativa ed educativa, che ha contribuito a definire e influenzare la cultura italiana almeno fino al XIX secolo”.
Black è convincente nell’argomentare come i rapporti di forza (fra rappresentanti del potere politico, inquisitori, papa, vescovi) potessero essere determinanti nella valutazione della plausibilità di un’accusa e nella formalizzazione di un procedimento.
Una scoraggiante pluralità di variabili, se si vogliono raccogliere dati quantitativi confrontabili. Alcune affermazioni del libro, tuttavia, sono provate proprio dallo scavo in questi giochi complessi dai quali emergono orientamenti e tendenze che variano nel tempo, a seconda dei contesti politici e alle singole personalità degli inquisitori.
È stato rimproverato a Black di aver ecceduto nei casi particolari, quasi si trattasse di aneddotica senza valore. Al contrario, si è dell’opinione che i casi presentati siano insostituibili per gettare luce sul rapporto fra i manuali di procedura e pratica forense e, per l’inquisizione, sul rapporto fra realtà e leggenda sia per quanto riguarda la ferocia sia per quanto riguarda la concreta varietà delle situazioni che si presentavano (Inquisition-inquisitions).
Lo studio di Black, nella versione originale, era stato già recensito da V. Lavenia nella rivista “Storica” n. XV del 2009 con il titolo “Inquisitori: visti da vicino, visti da lontano”. A Black Lavenia riconosce numerosi meriti. Collocandolo nello specifico solco degli studiosi di storia sociale, serio conoscitore delle carte dei tribunali (diverso il discorso sui movimenti ereticali e i percorsi storiografici su questi), Black da anglosassone, accende il riflettore sulla storia italiana, laddove gli interessi della global history guardano in altre direzioni, e questo è un merito. Se il nodo storiografico sul tribunale che ha intrigato gli storici nelle loro ultime pubblicazioni, quello riguardante in sintesi – scrive Lavenia – la confessione, delazione, procedure sommarie, è un po’ sorvolato da Black, il VII capitolo, quello sulla censura, considerato da molti il più riuscito, è notevole. Black aveva lavorato in passato sulle confraternite e sul ruolo importante all’interno del processo; lo studio del 1989 Italian Confraternities in the Sixteenth Century, pubblicato per la Cambridge University Press, ha strutturato il capitolo VI nella Storia dell’Inquisizione in Italia.
Certamente alcune considerazioni di natura antropologica lasciano alcune perplessità: se la Controriforma, l’educazione post tridentina, il lavoro correttivo dei tribunali, abbiano nei lunghi secoli formato una coscienza abituata a dissimulare, formando un profilo di un’italianità pasticciona, al di là dell’amor patriae, diventa veramente difficile farselo dire da uno storico che ha solidamente lavorato nella struttura di una sintesi su un tema, quello dell’Inquisizione, di tale portata.
Prosperi nella Prefazione fatta alla nuova edizione dei Tribunali della coscienza del 2009, non tace sul tema di una strategia del clero cattolico-romano attuato attraverso la persuasione e la violenza, proprio per formare ad un pensiero e per legittimare un potere; coscienze dirette, coscienze obbedienti, coscienze fedeli. Per Black l’Inquisizione si è imposta perché recepita come più moderata, e la riforma non era riuscita a penetrare in maniera significativa.
Anche se non consapevole, Black, soprattutto dopo la traduzione del suo lavoro in italiano, è stato citato da molta stampa reazionaria, e, lungi da fare l’apologia di una Inquisizione buona, lo studio, al contrario, si pone realmente nella tradizione storiografica più solida: Tedeschi, Prosperi, Shutte, Merlo, Brambilla, Firpo, Romeo, Del Col, Siebenhüner, Lavenia, Dall’Olio, etc.
Una considerazione conclusiva mi pare di riservarla al tema dell’italianità. Si può realmente parlare di una inquisizione italiana? Non si può nascondere che la critica più severa rivolta a Black abbia riguardato proprio la metodologia. Venezia non poteva essere accostata al Regno di Napoli, anche se Black sottolinea che in realtà il dominio spagnolo non modificò affatto le impostazioni romane a livello inquisitoriale, e la Repubblica di Lucca alla Sardegna o alla Calabria.
Contraddizione o sfaccettatura? Per Black il panorama diversificato delle inquisizioni non modifica un programma che in Italia diventa unitario, e cioè il disciplinamento post-tridentino nella formazione di coscienze cristiane italiane. Ma gli intrecci politici, le diversità localistiche, sono anch’esse frutto di un dato antropologico?
Come giustamente scrive Lavenia – “restituire la dimensione storica a chi ha perso delle battaglie”, significa narrare delle sfaccettature e delle complessità; non una dimensione idealmente unitaria di alcuni fenomeni, in questo caso quello dell’Inquisizione, ma specificità e contraddizioni che fanno la realtà storica e non una traccia antropologica. E allora la domanda se sia esistita una Inquisizione italiana rimane aperta e ancora di non facile risposta.