Storicamente. Laboratorio di storia

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Alexander Lee, “Humanism and Empire”

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Alexander Lee, “Humanism and Empire: the imperial Ideal in Fourteenth-Century Italy”, Oxford, Oxford University Press, 2018, XXII-438 pp.

In questo libro Lee si prefigge l’obiettivo di analizzare una tematica assai complessa: le relazioni tra umanisti e Impero durante il Trecento in Italia, in particolare dalla morte di Federico II nel 1250 alla conclusione della spedizione nella Penisola di Roberto del Palatinato nel 1402. Quest’epoca è ricca di avvenimenti politici assai importanti e complessi ma Alexander Lee, che nonostante la sua giovane età ha già ricoperto ruoli di insegnamento in varie università europee (Oxford, Lussemburgo, Bergamo), è un esperto del pensiero politico tardomedievale e del movimento umanista e affronta questo studio dopo aver analizzato a fondo tanto le fonti letterarie quanto quelle documentarie dell’epoca. L’a. confuta la tesi, sorta nell’Ottocento con i primi studi sull’Umanesimo di storici del calibro di Jacob Burckhardt e proseguita nel Novecento con Hans Baron, Quentin Skinner e altri (e oggi solo marginalmente scalfita), secondo la quale vi fu un dualismo quasi manicheo che vide nettamente separati un pensiero politico “medievale” e uno “umanistico”, il primo cieco garante di forme di governo imperiali e assolutiste, mentre il secondo campione delle libertà comunali e repubblicane contro la “tirannia” di imperatori e signori.

Nella prima sezione di quest’opera, “The defence of Empire”, l’a. propone un’analisi dei testi e del pensiero dei principali umanisti e giuristi dell’epoca trecentesca seguendo a stretto giro gli eventi. Lee mostra come i letterati non avessero alcuna avversione concettuale nei confronti dell’Impero, e anzi come ne abbiano invocato a più riprese l’aiuto affinché si facesse garante della libertas cittadina, concetto questo che gli umanisti associavano tanto ai regimi signorili quanto a quelli comunali. Ma costoro non furono, per questo, anacronistici sostenitori di forme di governo assolutiste contro un ideale “umanistico” garante invece del repubblicanesimo di stampo ciceroniano: da Giovanni di Cermenate a Giovanni de Matociis, da Albertino Mussato a Dante, da Francesco Petrarca a Coluccio Salutati, Lee mostra come tutti questi autori fossero unanimi nel vedere nell’Impero l’unica vera garanzia della tanto agognata pax per le loro città, e spiega come questo atteggiamento non fosse in alcun modo in contrapposizione con i loro studi classici. Essi, seppur imbevuti di cultura antica (ciceroniana in particolare, ma anche patristica), seppero utilizzare i testi antichi per mostrare i benefici delle forme di governo signorili e della sottomissione all’Impero: l’a. mostra così come gli umanisti avessero di gran lunga più a cuore la libertas e la pax delle città e dell’Italia piuttosto che la forma di governo che potesse assicurarle, e in quest’ottica, seppur con modalità differenti in base alle contingenze storiche, si rivolsero per tutto il Trecento all’Impero perché se ne facesse garante. Fu solo con i continui conflitti della fine del secolo XIV, quando l’autorità imperiale si distaccò sempre più dalle dinamiche italiane, che l’atteggiamento degli umanisti nei suoi confronti iniziò a mutare in negativo: la disastrosa ritirata dall’Italia di Roberto del Palatinato nel 1402 segnò, in primis con Leonardo Bruni, la rottura definitiva tra umanisti e Impero.

Nella seconda parte, “The dynamics of Empire”, Lee indaga, seguendo questa volta una linea tematica (con lo svantaggio di ripetere alcuni concetti già esposti nella prima sezione), le principali direttrici del pensiero umanista trecentesco nei confronti dell’Impero. Queste vengono affrontate in una prospettiva storica che parte dalla romanità, il che permette al lettore, in particolare al non specialista, di farsi un’idea esaustiva e diacronica delle diverse tematiche. Innanzitutto, Lee mostra come gli umanisti fossero fautori dell’universalità del potere imperiale, concetto questo ricavato soprattutto dalle loro letture patristiche in cui l’Impero era voluto dalla Provvidenza; questo atteggiamento si affievolisce solo verso la fine del Trecento, sempre come risultato del distacco degli imperatori dall’Italia. Proseguendo, viene tracciata una storia dei rapporti tra imperium e sacerdotium, e l’a. pone in risalto come, sebbene in varie forme e con differenti sfaccettature, gli umanisti rimasero sempre favorevoli a un dualismo tra i poteri. Secondo loro, le prerogative di entrambe le potestates andavano garantite mediante la separazione (talvolta più o meno netta), e grande influenza in questo discorso la ebbero tanto la Monarchia di Dante, quanto i nascenti commenti al Corpus Iuris Civilis. Lee pone grande attenzione al processo di progressivo distaccamento dei due poteri, giunto all’apice, secondo lui, con la Bolla d’Oro del 1356; tuttavia, con l’inizio dello Scisma d’Occidente nel 1378, gli umanisti si rivolgono ancora all’Impero affinché metta in pratica il suo ruolo di defensor ecclesiae e sani la spaccatura nella Chiesa. Infine, l’a. sottolinea come gli umanisti si inserirono con passione nel dibattito riguardo l’elettività della carica imperiale: esposte le numerose sfaccettature delle posizioni assunte dai vari letterati, il volume mostra come questi fossero tutti d’accordo nel conferire autonomia all’Impero dalla Chiesa, che essi riducono ad un mero ruolo confirmatorio.

Il volume ha il grande merito di aver ricondotto un discorso così ampio e complesso nella prospettiva degli eventi storici e delle fonti coeve, abbandonando il metodo d’indagine prettamente intellettualistico che ha caratterizzato molta storiografia sul tema. Furono gli eventi, in ultima istanza, a muovere il pensiero degli umanisti verso l’Impero o a distoglierlo da esso, e non, come volevano molti studi sino a oggi, un’avversione di principio degli umanisti verso il potere imperiale. Sinora si erano associate al movimento umanista trecentesco (che Lee giustamente si premura di definire sistematicamente all’inizio del libro) concezioni proprie dei letterati dei secoli successivi, che agivano in un contesto completamente diverso e avevano, di conseguenza, una differente visione delle dinamiche che legavano l’Italia e le sue città all’Impero. Aver riportato un movimento di pensiero così magmatico come l’Umanesimo al corretto contesto storico del Trecento è certamente il merito più grande di questo volume, che inoltre, come sottolineato dall’a., apre nuove questioni riguardo il pensiero politico dei secoli successivi.