Il modo in cui Robert Young, già autore di Postcolonialism: an historical introduction (Blackwell, 2001), introduce il lettore all'universo degli studi postcoloniali è davvero efficace. Young evita ogni sistematizzazione, fornendo invece molteplici suggestioni e proponendo intrecci, talvolta sorprendenti, tra lotte politiche, saperi e culture nati nell'opposizione al dominio coloniale e che si proiettano nell'odierno mondo globalizzato.
La politica postcoloniale, e i saperi che la ispirano, è normalmente radicata in un luogo specifico, ma si è elaborata nello scontro con l'imperialismo europeo o americano, cosa che la colloca in un orizzonte globale e universale che rende possibile la condivisione di un comune destino subalterno. Non a caso Young inizia il suo percorso dalla fondamentale esperienza dell'Harlem Renaissance degli anni '20, quando alcuni intellettuali africani e della diaspora nera danno vita ad esperienze di traduzione culturale che giocheranno un ruolo importante nelle lotte per l'emancipazione della popolazione nera nel ventesimo secolo, in America, in Africa e in Europa (su questi aspetti cfr. il volume di P. Gillroy. The Black Atlantic. L'identità nera tra modernità e doppia coscienza , Roma, Meltemi, 2003). Ma non tutti i movimenti postcoloniali hanno origine da un'intelaiatura transnazionale. Il movimento brasiliano dei Sem Terra , che riunisce i lavoratori rurali privi di terra, nasce da un'esperienza condivisa da molte popolazioni rurali di altre parti del mondo: l'appropriazione coloniale delle terre nei monopoli fondiari e il dominio del capitale finanziario nei processi di globalizzazione che hanno investito l'agricoltura. In questo caso, un movimento radicato in una specifica esperienza locale ha elaborato obiettivi e strumenti di lotta condivisi da milioni di altri lavoratori rurali del mondo. Questa centralità del mondo rurale distingue i movimenti postcoloniali dal radicalismo occidentale, che ha avuto nelle città e nelle fabbriche il proprio punto di gravitazione, ed ha espresso intellettuali e leader politici di prima importanza, come Mao, Fanon, Guevara, Marcos. L'assenza di terra ha significato per milioni di donne e uomini lo spostamento forzato dalle campagne alle città, ha reso migrazioni e nomadismo una condizione cronica dell'esistenza di masse di persone. Questi processi sociali rendono particolarmente debole l'attrezzatura concettuale e politica di origine europea con cui si sono riorganizzati gli spazi coloniali dopo il tramonto degli imperi che si rivela spesso del tutto inadeguata a costruire processi di democratizzazione e di estensione dei diritti di cittadinanza.
La condizione postcoloniale si comunica, si indaga e viene esperita attraverso molteplici forme culturali. Young porta il caso della musica ra? che dal Maghreb si è diffusa tra le comunità immigrate in Spagna e in Francia. Si tratta di una musica ibrida che combina elementi shikhs con suoni elettrici tipici del rock occidentale e testimonia le tensioni culturali di una società in rapida trasformazione. Non mira alla ricostruzione di una nuova identità culturale, ma rappresenta ed esprime la scena di soggetti coinvolti in trasformazioni nelle quali agiscono molteplici forze, quali la discriminazione etnica e sociale, la volontà di eversione delle strutture rigide di una società patriarcale, la resistenza verso la colonizzazione commerciale dell'occidente, della quale tuttavia si reinterpretano materiali e simboli. L'ibridazione culturale e artistica è un ottimo strumento di espressione e analisi delle tensioni del mondo postcoloniale, in essa si vedono all'opera forze molteplici che agiscono in situazioni specifiche. Il discorso postcoloniale perde insomma l'aura estetizzante di alcune retoriche del multiculturalismo e mostra invece tracce più dure e spigolose, soggettività che manifestano la specificità delle proprie posizioni, resistenze ai dispositivi di oppressione, siano essi coloniali, statali, commerciali, religiosi o patriarcali.
Quello del dominio patriarcale è un aspetto centrale del discorso postcoloniale. Le lotte di emancipazione dal dominio coloniale sono state infatti declinate al maschile, i movimenti anticoloniali hanno spesso acquisito gli strumenti retorici e istituzionali dei nazionalismi europei con il loro correlato dell'uniformazione culturale. Il femminismo postcoloniale è un territorio centrale della critica postmoderna proprio perché ha dovuto operare attraverso la critica della riproduzione dei rapporti di dominio di genere all'interno dei movimenti di emancipazione anticoloniale. I movimenti femministi tuttavia non hanno operato soltanto sul terreno dello specifico ruolo della donna nelle loro società, ma hanno portato alla ribalta questioni di valenza universale, nell'ambito dell'ambiente e nella lotta contro la mercificazione delle risorse naturali. In particolare in India questi movimenti hanno ottenuto i primi successi e si sono posti all'avanguardia nella riconsiderazione del rapporto tra risorse naturali, ambiente, economia e società, trovando una valida interprete globale delle loro lotte in Vandana Shiva.
Il volume di Young suggerisce percorsi, modalità di indagine, temi che animano il dibattito postcoloniale in modo tale da trasmetterne la natura di vivo confronto tra saperi ed esperienze politiche. Il testo, ora tradotto in italiano dall'editore Meltemi, si chiude interrogandosi sul termine «traduzione», rendendo omaggio all'opera fondamentale del medico antillano Frantz Fanon, che nella sua biografia di psichiatra, intellettuale, militante politico, ha testimoniato un'acuta consapevolezza della centralità della traduzione culturale nel progetto di subordinazione coloniale e della necessità di una contro-traduzione subalterna che, anche oltre la conquista della libertà politica, sia capace di restituire dignità di soggetti ai «dannati della terra».