Il libro di Silvana D’Alessio affronta il tema della rivolta napoletana da una prospettiva specifica e finora non esplorata a sufficienza: l’indagine su cosa venne detto durante e
dopo la rivolta napoletana. L’autrice riporta alla luce il conflitto delle parole e dei testi che accompagnò e strutturò ideologicamente lo svolgersi degli eventi durante il 1647-48 e
ripercorre la formazione a posteriori dei miti su Masaniello e sui napoletani.
I primi tre capitoli sono dedicati all’analisi di pamphlet e discorsi, dialoghi circolati durante la rivolta. Nonostante la distruzione degli stampati successiva al ritorno del viceré, è infatti
possibile ricostruire «una polemica vivissima», animata dalla consapevolezza che «ogni parola dovesse essere spesa bene, in una generale persuasione (o forse illusione), che le idee potessero
realmente dar forza alle armi»: «Quasi nessuna idea – afferma D’Alessio – fu lasciata correre, circolare liberamente senza che le fosse contrapposta l’esatta antitetica». Se, infatti, lo Stato era
un corpo e la rivolta la sua malattia, le idee erano appunto i veicoli principali dei «contagi». La rivolta del 1647-48, da questo punto di vista, assistette a una «guerra per il consenso»
articolata intorno alle capacità esplicative e persuasive delle metafore. Emerge, quindi, dalla lettura accurata dei testi a disposizione la persistenza delle immagini organicistiche del corpo
politico, che si prestano alle divergenti interpretazioni della propaganda «popolare» volta a commuovere, di quella francese interessata a mettere sotto accusa la contaminatio della
tirannia spagnola e di quella spagnola che naturalmente capovolge tale giudizio a danno dei suoi avversari sullo scacchiere europeo. La rivolta è dunque malattia: per i «popolari» è la naturale
reazione alla scissione tra tiranno e patria; per gli spagnoli si identifica con l’azione patogena che porta il disordine nel corpo politico. La specularità degli usi della stessa chiave metaforica
pone in rilievo la sua funzionalità, che risiede nell’idea di aggressività del «contagio» quale che sia la sua origine e pone il problema del «bravo medico» in grado di sanare un corpo gravemente
ammalato. Se questo è il motivo fondamentale, nei discorsi della rivolta circolano altri temi, come quello della differenza tra popoli meridionali e popoli settentrionali, quello dell’analogia con
lo sfruttamento coloniale e quello dei paralleli biblici, presi in esame nel terzo capitolo.
La seconda parte del libro si concentra, invece, sulla drammaturgia e sulla letteratura di viaggio dalla seconda metà del Seicento alla fine del Settecento. Viene così ricostruita la demonizzazione
di Masaniello, che riscrive in termini morali il problema delle sedizioni e introduce il periodo nel quale il caso napoletano viene presentato come esempio paradigmatico del negativo intervento del
popolo nella sfera politica. A differenza di quel che avviene nella drammaturgia, particolarmente in quella inglese, che sottrae la rivolta al suo contesto storico per tramutarla in evento di
portata universale, la letteratura di viaggio la restituisce alla sua terra per vincolarla però al «carattere» dei napoletani. Le variazioni tra Cinquecento e Settecento dello stereotipo dei popoli
meridionali confluiscono infine in una fama per Napoli che è a doppio taglio: mentre la città diviene meta ambita per le bellezze naturali e le antichità e anche per il mito delle giornate
masanelliane, si ipostatizza la differenza tra le caratteristiche effimere delle ribellioni meridionali e quelle durature e portatrici di libertà dei settentrionali, testimoniata ancora da
Leopardi.
Contagi è dunque libro ricco di materiali e spunti, tenuti insieme dalla trama di metafore che si estendono dalla libellistica della rivolta ai testi letterari successivi. Come l’autrice afferma,
questo studio è scoperta «di tutto un network di rapporti fra un testo e un altro». In ciò risiede forse il suo pregio e principale limite. Da una parte, infatti, l’effervescenza di idee e
discussione popolare, di «inedita libertà espressiva» e di opinioni «radicali», cui D’Alessio dichiara ricollegarsi la metafora del «contagio», è soltanto evocata dalle osservazioni dei “colti”.
Dall’altra, i percorsi dell’interpretazione dei testi portano, soprattutto nella seconda parte, all’analisi di temi che sembrano ricollegabili ai «contagi» solo da lontano.
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