Seconda puntata della suggestiva inchiesta avviata con la ricca raccolta Capitales culturelles, capitales symboliques (Paris 2002), della prima ripropone densità tematica, originalità di approcci e finezza di analisi. Più che alla dialettica tra capitali e periferie all'interno degli Stati, qui si guarda alla prospettiva europea, nel periodo in cui lo spazio culturale nazionale ha avuto la massima importanza.
L'intreccio tra strategie simboliche e condizioni politico-economiche ha permesso a certe città di assurgere a capitali culturali e controllare funzioni essenziali per la legittimazione dei poteri. Lo status di capitale culturale, peraltro, non rappresenta una conquista definitiva. La concorrenza è passata tanto dalla ricerca di distinzione / alterità, quanto attraverso dinamiche di emulazione / appropriazione. Diviso in due parti, il volume affronta due grandi nuclei tematici - il pellegrinaggio e l'attrazione culturale - presentando per ciascuno cinque casi di studio.
Il passaggio dal moderno al contemporaneo ha agito anche sul pellegrinaggio. Il pellegrinaggio religioso ha come massima espressione il giubileo. Ma, come dimostrano D. Julia e Ph. Boutry, a poco servì il tentativo di "restaurazione cristiana" messo in atto all'epoca del primo e unico giubileo dell'800. Nel 1825, infatti, il raggio d'attrazione non andò molto oltre i confini nazionali. Oltre tutto, gran parte dell'afflusso fu dovuto a masse di pastori e contadini delle province confinanti, in una poco spirituale coincidenza con le scadenze dei mercati. Evento tutt'altro che universale, esso fornì piuttosto un'ulteriore prova della persistente crisi culturale del Papato.
Il cattolicesimo era intanto piegato ad altre cause, in altre capitali. J.-O. Boudon ripercorre la vicenda ottocentesca di Notre-Dame, protagonista di un nuovo progetto politico di legittimizzazione e sacralizzazione. Con Napoleone, grazie al Concordato, essa diventa il vero tempio nazionale, il punto di coagulazione di tutte le componenti della nazione, la meta del pellegrinaggio di tutti i francesi, la sede della pacificazione monarchico-imperiale. I Borboni restaurati preferiscono Saint-Denis: è una scelta perdente, come il diritto divino e l'assolutismo. La Terza Repubblica consacra un nuovo tempio laico, il Panthéon. Per Notre-Dame, comunque, si tratta di "declassamenti" relativi e temporanei.
Il modello giacobino non è che uno tra quelli esistenti. Altrove le capitali politiche sono più d'una per nazione, o l'affermazione della capitale politica in campo culturale è meno avanzata.
È il caso, rispettivamente, della Germania e dell'Inghilterra, protagoniste nei saggi di P. Boudrot e M. Espagne. Alle glorie nazionali si dedicarono forme di culto strutturalmente differenti, tra loro e rispetto a quelle parigine. Mentre Weimar, capitale politica non di primo piano, può ritagliarsi una invidiata centralità come capitale simbolica che prelude alla sua 'fortuna' novecentesca; alla pur leggendaria Stratford-on-Aven non rimane altro, a fine '800, che inchinarsi di fronte ai mezzi di Londra.
Nella seconda parte del volume si esaminano cinque delle risorse - luoghi di memoria, offerte socio-culturali e istituzioni - che fanno materialmente di una città una capitale simbolica.
Il successo dei concorsi d'arte nella Roma settecentesca è direttamente proporzionale alla capacità dei papi di rilanciare il prestigio della città santa in un'Europa dove si consolidano, oltre alla cosmopolita repubblica delle lettere, le rivalità nazionali (M.P. Donato). Con Benedetto XIV il potere religioso (ripercorrendo in piccolo le orme della Monarchia francese) stringe un'alleanza con le maggiori accademie: debolmente organizzata, tale alleanza non regge che per pochi anni.
Anche il sapersi rappresentare è ingrediente essenziale dell'ascesa di una città nello spazio simbolico europeo, come dimostra l'analisi delle guide di Parigi nel XVIII secolo (G. Chabaud).
La moda e il teatro sono oggetto delle indagini di D. Roche e Ch. Charle, che offrono preziose sintesi dei risultati di lunghe attività di ricerca. Investimenti di capitali, occasioni di incontro e intesa tra imprenditori, disponibilità di spazi e di fruitori, fanno la supremazia di Parigi, dentro e fuori di Francia. Anche in questo senso, Parigi (come la Londra del tardo '800) gode di tutti i vantaggi di una centralità assoluta, sconosciuta ai contesti italiano o tedesco.
Nelle periferie verdi di quelle due capitali, le élites nobiliari impiantano tra i due secoli un nuovo monumento del potere simbolico: le corse dei cavalli (N. de Blomac). Portatrici dei classici valori della competizione sportiva, esse si imbevono in realtà di moderni discorsi sulla razza (quindi, sui rapporti 'gerarchici' fra ceti e fra popoli), di cui quegli attori si servono per assicurarsi nuovi spazi di egemonia. Allo stesso modo, le élites dell'Illinois edificano un museo sul modello del Louvre, l'Art Institute, per strappare alla finora defilata Chicago la prestigiosa etichetta di capitale culturale (V. Tarasco-Long). L'affermazione avviene alle spese di altre metropoli statunitensi e, a dispetto di molte previsioni, riesce a mettere in allarme - per la solidità finanziaria e la spregiudicata capacità di traduzione dei modelli storici anche le più gloriose capitali d'arte dell'Europa d'anteguerra.