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Thomas Kaufmann, “I redenti e i dannati”

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Thomas Kaufmann, “I redenti e i dannati. Una storia della Riforma”, Torino, Einaudi, 2018, XVI + 408 pp.

In questo volume, pubblicato in occasione del cinquecentenario della Riforma, Thomas Kaufmann, professore di Storia della Chiesa alla Facoltà di Teologia dell’Università di Gottinga e annoverato fra i più autorevoli studiosi tedeschi della Riforma protestante, delinea una storia teologica, a tutto tondo, della Riforma, in cui si ha un affresco di quel grande movimento di idee e di uomini che travolse l’Europa intera all’inizio del XVI secolo. È una storia teologica della Riforma ma in una prospettiva più ampia, sia da un punto di vista geografico, dal momento che non si limita alla sola area tedesca o europea, ma prende in esame anche le conseguenze “mondiali”, ovvero globali, della Riforma; sia da un punto di vista culturale, in quanto, nel ripercorrere gli scontri teologico-dottrinali fra i protagonisti di quest’età, l’a. presta grande attenzione alle circostanze politiche, giuridiche ed economiche che ne resero possibile una così rapida diffusione. Le controversie dottrinali – come sottolinea l’a. – creano terreno fertile per più ampie discussioni politiche. Basti pensare alla questione dell’autorità (religiosa e quindi anche politica nell’età moderna), dell’individuo (ovvero il rapporto con Dio traslato nel rapporto con l’altra monade della modernità: lo Stato), del potere (che si sostanzia nel passaggio da una concezione medievale ad una più propriamente moderna). Particolare fioritura di questi dibattiti si ha, secondo Kaufmann, in quel periodo ch’egli definisce «primavera della Riforma» (Frühzeit der Reformation), in particolare nel decennio 1520-1530. Il dinamismo pubblicistico derivante dall’invenzione della stampa, insieme alle innegabili «doti mediatiche» di Lutero, furono i fattori che resero possibile quel risveglio culturale che investì l’Europa tutta. Il fattore determinante fu, tuttavia, quella «santa alleanza tra Lutero e gli umanisti», veri fondatori, questi ultimi, dell’Europa della prima modernità. In particolare, l’a. esalta il ruolo che ebbe Melantone, «umanista estremamente diligente, abile nell’insegnamento e versato nella scrittura», che divenne il più affidabile e fedele collaboratore di Lutero.

Le cause di quella rivoluzione messa in atto dalla Riforma sono dunque da ricercare nelle strutture politiche e culturali del Vecchio Continente e nella combinazione di una serie di circostanze, fra cui in primis la rapida circolazione dei testi di Lutero resa possibile dalla rete di comunicazione europea costruita dagli umanisti, i quali avevano creato una «comunità che comunicava in modo agile, curioso, attenta alla circolazione delle informazioni» (p. 39). Il loro costante redire ad fontes inaugurò infatti la prima relativizzazione storico-critica delle pretese di autorità, spirituali e non (p. 38). Successivamente, nei «tredici anni burrascosi» che vanno dal 1517 al 1530, si giunse ad una profonda cesura nella storia della Riforma: con la Confessio Augustana la questione religiosa era divenuta al tempo stesso una faccenda eminentemente politica, oltre che politicamente irreversibile (pp. 41-42). Altra cesura si ebbe, secondo Kaufmann, con la sconfitta dei profeti di Zwickau che pose fine alla prima fase della Riforma. La pamphlettistica in lingua volgare subì con questo evento una grave battuta d’arresto; anche il numero degli autori laici diminuì sensibilmente. Tornato dalla Wartburg, Lutero, infatti, puntò deciso verso una Riforma di carattere statale e territoriale, cosa che nella ricostruzione di Kaufmann lo avvicina nel modus operandi a Zwingli: questi «fratelli nello spirito» erano uniti nell’accettazione teologica della differenza fra l’aspirazione dottrinale e la realtà vissuta, cosa che li differenziava evidentemente dai radicali. Entrambi puntarono sull’autorità politica per la realizzazione e la stabilizzazione della Riforma. In ogni caso prevalse un atteggiamento realistico: senza l’appoggio delle autorità politiche sarebbe stato impossibile imporre durevolmente innovazioni riformatrici in contrasto con il diritto vigente. Scrive Kaufmann: «La “statalizzazione” della religione […] fu il prezzo da pagare per la Riforma» (pp. 100-101).

Minor spazio è invece dedicato a Calvino, forse il più “internazionalista” tra i Padri della Riforma, così come alla Riforma radicale, che Kaufmann considera fortemente in debito dottrinalmente con il primo Lutero. In merito all’ala sinistra della Riforma, l’a. aderisce alla storiografia che vede nell’elaborazione dottrinale dei radicali i germi dell’Illuminismo, ritenendo tuttavia che non fu «la Riforma di per sé a fomentare tendenze secolari, laiciste e ateiste» (p. 253), ma piuttosto l’inclinazione del cristianesimo d’Occidente a farsi plurale.

Un intero capitolo è infine dedicato alle conseguenze di portata mondiale della Riforma, ovvero agli effetti collaterali e di lunga durata di quello ch’egli definisce «protestantesimo globale» che si identifica con quella storia effettuale, ad oggi non ancora conclusa, della Riforma, qui intesa anche come evento «mediatico» che condusse, fra l’altro, alla piena valorizzazione delle lingue nazionali. Tra gli elementi su cui insiste l’a. vi è sicuramente quello giuridico: l’idea di diritto propria del protestantesimo era esclusivamente secolare, «basata sui criteri della ragione e quindi universalmente valida», prefigurando molte figure giuridiche moderne. In particolare, sostiene Kaufmann, Melantone, con la sua teoria del diritto divino rivelato, instaurò uno stretto rapporto fra etica e diritto.

Il carattere europeo della Riforma fin dai suoi esordi, e quindi fin dal movimento di Wittenberg, è ribadito nell’intero corso del volume: non fu Calvino il primo ad imprimere carattere internazionale e transnazionale alla Riforma, legando la tradizione francese alle altre tradizioni europee, ma Lutero stesso. Pertanto, l’a. è fortemente critico nei confronti di quella storiografia sulla Riforma che, prigioniera delle prospettive nazionali, non rende giustizia alla natura specificamente europea della stessa. D’altra parte, però, ed è lo stesso Kaufmann ad ammetterlo, i luterani si sono sempre considerati patrocinanti della nazione tedesca. Quest’apparente contraddizione, che l’a. rileva fin dall’Introduzione, non viene tuttavia sciolta. Egli considera la Riforma un fatto fondamentale della «memoria culturale, assai controverso e […] dai contorni indefiniti» (p. XV) che riguarda l’Europa intera. E infatti il volume si chiude proprio con un rapido excursus sulla Riforma «nella memoria culturale», ovvero sulla storiografia. L’a. parte dalla germanizzazione della Riforma, le cui premesse ideologiche egli rinviene in autori come Fichte e Hegel, poi sviluppate da von Ranke, Droysen e portata alle estreme conseguenze da Treitschke; segue poi una parentesi sull’uso politico della storia che trovò moderna ed elegante espressione nel monumentalismo imperiale di Guglielmo I e nella nazionalizzazione di Lutero e della Riforma. La rottura fu sancita da Ernst Troeltsch con la storicizzazione radicale della Riforma e la rivalutazione di anabattisti e dissidenti, cui si contrappose un’interpretazione cosiddetta teologizzante della Riforma capeggiata invece da Karl Holl. Tale fase storiografica trovò espressione anche nella contrapposizione politico-culturale tra Stati Uniti e Impero guglielmino a partire dalla Prima guerra mondiale, fino a giungere, poi, con la costruzione del Terzo Reich, all’invenzione di una tradizione tedesca che andava «da Lutero a Hitler». Tuttavia, Kaufmann glissa sul nazismo e si dilunga invece sulla Repubblica Democratica Tedesca. Qui, inizialmente permase un’immagine fortemente negativa di Lutero, considerato becchino della libertà germanica, carnefice dei contadini, servo dei principi, cui era invece contrapposto il rivoluzionario Müntzer, iniziatore di una tradizione di libertà. Progressivamente, invece, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si assiste, anche nella Germania dell’Est, ad una graduale rivalutazione della figura di Lutero quale elemento di unificazione identitaria del popolo tedesco e della Riforma come l’inizio di una moderna storia di libertà. Nella Repubblica Federale, al contrario, prevalse un approccio essenzialmente teologico, fortemente influenzato dall’interpretazione di Holl.

Il volume si configura pertanto come un’ampia storia teologica e intellettuale della Riforma, ricostruita dialetticamente attraverso la riflessione e le discussioni dei suoi protagonisti, in cui si avverte qualche eco di storia controfattuale e caratterizzata, inter alia, da una grande attenzione per il dato psicanalitico, soprattutto nel ritratto del «monaco fervente» il cui contenuto più importante del suo lavoro di teologo era «Bussare alla Bibbia per farne saltar fuori la Parola di Dio» (p. 56).