La fine dell’Ottocento ha rappresentato per l’Italia, in ritardo rispetto al resto dell’Europa, il decollo dell’industria con la conquista di tutta una serie di innovazioni tecniche [Procacci 1975, 81; Alberti 1980, 15].
In Sardegna si insediò come unica forma di industria quella mineraria [1], che si concentrò principalmente nel versante sud occidentale dell’isola. Questa si attestò da subito come la principale produttrice di piombo e di zinco a livello nazionale (rispettivamente il 90% e l’80%) [Sotgiu G. 1981, 161-170], ma le ricadute a livello di arricchimento economico territoriale erano irrisorie. Le società che operavano nella zona erano principalmente di origine straniera: la belga Vieille Montaigne, le francesi Malfidano e Gennamari Ingurtosu, l’inglese Gonnesa Mining Company LDT. Se eccettuiamo i due casi della Monteponi e della Montevecchio, nel settore terziario operavano solo capitali stranieri [Manconi 1986, 65], che raramente reinvestivano le risorse nel territorio, perpetuando un atteggiamento spoliatorio e di rapina.
Lo sfruttamento delle miniere di Gennamari Ingurtosu, facenti parte del cosiddetto filone Montevecchio e ubicate nel territorio del Comune di Arbus, lungo la costa occidentale del sud Sardegna, iniziò a partire dalla seconda metà dell’800 e già dai primi del ’900 sorsero i primi insediamenti abitativi che si affiancavano a un ospedale e a un laboratorio di chimica. Già a partire dal 1875 le miniere di Gennamari Ingurtosu divennero tra le più importanti d’Europa, potendo contare nel 1890 circa 1500 minatori [Sanna 1913, 1].
Nel 1899 gran parte delle quote azionarie erano nelle mani di Pertusola Limited, presieduta da Lord Thomas Alnutt Brassey. Con l’avvento della società furono portati avanti numerosi lavori tra cui la costruzione di un Pozzo (Lambert) in regione Naracauli, facente parte del complesso minerario di Ingurtosu, e di una linea ferroviaria che collegava le miniere all’imbarco del minerale nella zona di Piscinas [Sanna, 2014 ], spiaggia che si colloca nella Costa Verde in territorio di Arbus, cittadina del sud ovest Sardegna.
Alla morte di Lord Brassey nel 1919 gran parte delle azioni di Pertusola passarono al gruppo Pennarroya nel 1923 [Lampis 2013, 278].
Gli anni Venti nell’isola furono caratterizzati da fermenti di vario tipo. Durante il primo conflitto mondiale la Sardegna, già esclusa dai vantaggi apportati dal processo di industrializzazione che aveva riguardato il nord Italia, si era impoverita ulteriormente e si trovò taglieggiata delle proprie risorse agricole, sottoposte a vera e propria spoliazione da parte delle requisizioni militari [Sotgiu 1995, 26-27]. Dal punto di vista sociale fu forte l’eco provocato dai movimenti operai, dal biennio rosso e successivamente dalle campagne squadriste del fascismo.
L’orario di lavoro, stando ai resoconti del prefetto di Cagliari, era stato in molti stabilimenti ridotto, insieme ai salari che erano stati diminuiti del 25%. Con la cessazione del conflitto, infatti, era diminuita la richiesta di determinati minerali, utili per l’industria bellica, e di manodopera da parte delle società minerarie [2]. A questo motivo, stando alle relazioni prefettizie, si affiancava inoltre il tentativo da parte dei dirigenti di tenere lontani dalle miniere gli elementi politicamente più attivi, contenendo allo stesso modo i costi di produzione:
la disoccupazione operaia non poteva ritenersi eliminata perché gli amministratori delle aziende minerarie incerti sulla quotazione di borsa dei propri prodotti, si tenevano cauti nella produzione dei minerali e quindi era loro interesse rendere lenta la riammissione al lavoro degli operai licenziati ed anzi cercavano ogni buon pretesto per eliminarne sempre più, anche allo scopo di liberarsi degli elementi indisciplinati e poco laboriosi. Gli operai del canto loro scontenti della ripartizione delle giornate lavorative e della riduzione dei salari, erano animati da poca buona volontà di lavorare, talché le spese che le amministrazioni incontravano venivano francate dal valore delle produzione» [3].
I sindacati decisero allora di accedere ad un accomodamento, al fine di ridurre l’ondata di disoccupazione che stava colpendo tutto il bacino minerario [4]:
La crisi mineraria spinse ad interrogarsi su quali fossero le soluzioni per incrementare la produzione mineraria. L’ingegner Pavan della Monteponi rappresentò una delle voci più autorevoli e si fece portavoce di un vero e proprio inno al cottimo, affermando che le giornate lavorative di otto ore per gli operai fossero state una decisione troppo prematura e conseguenza delle azioni popolari di sciopero [Rollandi 1981, 83].
L’Associazione Mineraria Sarda, associazione fondata da Giorgio Asproni, noto dirigente industriale dell’epoca, con lo scopo di sviluppare studi inerenti all’arte mineraria, avviò un dibattito che volgeva lo sguardo verso un’organizzazione scientifica del lavoro degli operai, che facesse da traino per uscire dalla crisi mineraria. La manodopera era in gran parte composta da pastori e braccianti agricoli che giungevano nelle miniere in cerca di occupazione. La manodopera qualificata era scarsa, vista quasi come una sorta di aristocrazia operaia. Di solito era di origine continentale, mentre l’operaio sardo era ritenuto inadatto per il lavoro nelle miniere «per via di un’infima struttura muscolare e per scarsa alimentazione» […] e si riteneva che avesse «una produttività minore rispetto all’operaio continentale» Manconi 1986, 64-65]
Occorreva dunque trovare una soluzione che aiutasse ad innalzare la produzione nell’isola. Da tempo si erano studiati i vantaggi che il taylorismo, che si basava sulla rigida distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, aveva apportato in ambito produttivo a livello internazionale.
Nella dottrina tayloristica, così come emerge dallo scritto L’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoratore diveniva mero esecutore di operazioni elementari, realizzabili col minor sforzo intellettuale e col minor spreco di energia. Le azioni erano parcellizzate ed eseguite in un lasso di tempo breve. Lo scopo era il massimo rendimento col minor sforzo possibile, al’interno di un processo in cui il lavoratore non era più il conoscitore di un mestiere, ma solo di una sequenza di azioni standardizzate. Si trattava del One best way. Tre erano i passaggi cardine:
- La selezione scientifica della manodopera al fine di ottenere il massimo rendimento;
- Parcellizzazione e scomposizione del ciclo di lavoro in modo da semplificare i gesti e renderli più rapidi;
- Cronometraggio dei tempi in modo da ottimizzare la produzione e eliminare le perdite di tempo.
Le mansioni venivano dunque pianificate sotto il controllo dei sorveglianti, e agli operai veniva tolta qualsiasi forma di iniziativa nella fase produttiva.
Il dibattito sulla produzione, dunque, era particolarmente sentito tra i dirigenti e gli ingegneri delle società minerarie. Nelle pagine de «I Resoconti, Bollettino dell’Associazione Mineraria Sarda» si discuteva animatamente sul ruolo dell’operaio nel processo produttivo. L’essere umano perdeva qualsiasi connotazione umana divenendo mero strumento tecnico di lavoro [Santini 2014, 43].
In questo contesto Paul Audibert giunse in Sardegna su invito della Pennarroya per gestire la Sociétè des Mines de Gennamari Ingurtosu [Rollandi 1985, 69-106]. Al suo arrivo attivò una campagna di cronometraggi presso le miniere di Ingurtosu con lo scopo di dimostrare che modificando l’impostazione del lavoro, impiegando lo stesso numero di operai, la produzione potesse essere raddoppiata con una diminuzione netta degli infortuni. Per avvalorare le sue tesi istituì presso le miniere di Gennamari Ingurtosu un laboratorio Psicotecnico che si sarebbe occupato della selezione degli operai più adatti allo svolgimento dei lavori, studiandone le attitudini personali alle diverse mansioni.
Gli esperimenti vennero condotti dal 1923 al 1927 riuscendo a ottenere un rendimento doppio della produzione da parte della manodopera, con una sensibile diminuzione degli infortuni, grazie anche a un sistema di informazione diffuso tra i lavoratori tramite la pubblicazione della rivista il Minatore, che fungeva da vero e proprio manuale di istruzione per gli operai [Lampis 2013, 282-286]. A questo proposito Audibert nel 1929 scriveva:
Abbiamo fatto uno studio accurato degli infortuni capitati in Miniera. Da questo studio è apparso che 1/3 degli infortuni capitano per colpa dell’operaio. Ciò vuol dire che l’operaio o è insufficientemente istruito o è mal adatto al lavoro richiestogli. La prima ragione è rinforzata ad Ingurtosu pel fatto di un ingente “turnover” (in periodo normale più di cento operai nuovi sono ammessi mensilmente molti dei quali non sono mai scesi in miniera). Per combattere l’influenza di questo fattore abbiamo distribuito agli operai dei libretti diversamente colorati secondo le categorie nei quali sono esposte le norme per evitare gli infortuni [5].
L’organizzazione del lavoro nel laboratorio aveva una forte connotazione di controllo gerarchico, se vogliamo in stretta correlazione con l’avvento del fascismo e l’ondata reazionaria che ad esso si accompagnava:
il costante ricatto della disoccupazione e la forte contrazione dell’attività produttiva durante la grande crisi, permettono una larga estensione dell’organizzazione scientifica del lavoro e lasciano alle aziende un ampio margine di manovra che, quando anche nel 1934 parrà essere ufficialmente ridimensionato, di fatto, come si vedrà più in dettaglio, non diminuirà [Rollandi 1985, 71].
Le società minerarie erano state tra le principali finanziatrici dello squadrismo locale e l’obbiettivo era quello di scardinare qualsiasi tipo disordine interno provocato dagli operai, ottimizzando le tempistiche lavorative degli operai in ogni azione, riducendo al minimo le interazioni. Audibert controllava in maniera sistematica le azioni compiute dagli operai e supervisionò l’alternanza tra pause lavorative ed esercizio delle attività. Avviò una serie di cronometraggi delle attività volte a portare ad una classificazione tra operai produttivi e operai improduttivi, anche in base alle caratteristiche fisiche:
La seconda ragione ci ha portato allo studio delle attitudini fisiche e psicologiche dell’operaio e quindi all’istituzione del gabinetto psico-tecnico.
Altre tre ragioni militavano d’altronde per l’istituzione del gabinetto e vanno esposte qui sotto brevemente. I cronometraggi eseguiti per l’organizzazione scientifica della Miniera dimostrano l’influenza cattiva degli operai non adeguati al lavoro al quale sono adibiti. Certe operazioni sono collegate in tal modo che il ritmo di tutti gli operai per necessità di cose si regola sul ritmo dell’operaio più deficiente (anche se di buona volontà). Onde l’importanza di saper determinare l’adattabilità di un dato operaio a tale o tale genere di lavoro. Questa sarebbe la selezione , cioè la scelta degli operai relativamente a un dato lavoro.
Altrettanto interessante e di scopo più elevato è l’orientazione vale a dire la scelta del lavoro per un dato operaio. Anche ciò non si può fare senza gabinetto d’esame psico-tecnico ed era di somma importanza a nostro parere.
Infine la questione dell’adattabilità non era solo desiderabile dal punto di vista della migliore utilizzazione degli sforzi, ma anche perché i cronometraggi portano a stabilire delle basi giuste per i cottimi.
Se in una squadra, gli operai sono tutti ben provetti e ben atti al lavoro (questi ultimi diventano rapidamente provetti) non ci sono sbalzi di guadagni col cottimo stabilito e se si lavora di più individualmente si guadagna di più individualmente. Se viceversa entra nella squadra un operaio non adatto, anche di buona volontà, abbassa in modo permanente la media del rendimento globale e fa sì che i compagni, a lavoro uguale, guadagnino meno di prima. Ciò è ingiusto e da evitare [6].
Audibert mirava dunque all’eliminazione degli elementi improvvisati nell’ambito del ciclo produttivo coinvolgendo in questa operazione non solo gli ingegneri che erano impegnati in questa fase, ma anche i sorveglianti.
Nel laboratorio si effettuavano test volti a rilevare le attitudini degli operai impiegati nelle miniere. I quesiti, organizzati in quattro gruppi per grado di difficoltà, riguardavano l’intelligenza generale, il buon senso, il senso critico, l’intuizione, l’osservazione, il ragionamento, la memoria, la volontà. A queste domande corrispondevano dei gradi di valutazione: l’operaio che non avesse risposto ai quesiti del primo gruppo sarebbe stato considerato «pochissimo», colui che non avesse risposto ai quesiti del secondo gruppo «mediocre», del terzo «discreto», del quarto «molto». L’operaio, che fosse riuscito a rispondere a tutti i quesiti in maniera corretta sarebbe stato considerato «eccezionale» [7].
A queste caratteristiche si aggiungevano le connotazioni fisiche:
Si sono esaminati tutti gli operai già a lavoro per avere uno schedario completo. Si sono successivamente esaminati tutti i nuovi ammessi. L’esame fatto all’ospedale si riferisce alle seguenti caratteristiche dell’operaio:
FORZA: è misurata dal peso sollevato dall’operaio nella posizione regolamentare. La serie dei pesi va da 30 a 120 chili.
RESISTENZA: tempo di sostenimento del peso di 8 chili a braccio teso.
DESTREZZA: tempo di apertura e richiusura di 6 lucchetti.
PESO: sulla bascula.
VISTA: distanza alla quale si leggono determinati caratteri.
UDITO: distanza alla quale si ode una determinata sveglia.
ALTEZZA: misurata.
APERTURA DELLE BRACCIA DISTESE: misurata.
PERIMETRO TORACICO: misurato.
RITMO RESPIRATORIO: misurato. (…) [8]
Le attitudini degli operai, dunque, venivano calcolate tramite le medie di tutte le attitudini, caratteristiche fisiche e psichiche dove ogni grado era compreso da 1 a 5. In base a queste medie, quindi, venivano selezionati gli operai migliori a svolgere determinate mansioni. Audibert aggiungeva:
Potrebbe darsi che certi operai siano ugualmente capaci di fare dei buonissimi operai in due o più categorie. È molto importante saperlo per eventuali rotazioni [9].
Ogni aspetto del lavoro e ogni attitudine veniva misurata e la presunta scientificità degli esperimenti avvalorata dai presunti benefici ottenuti:
Si misura la rapidità dei riflessi del candidato, cioè il suo sangue freddo, si misura l’acutezza della sua vista, la larghezza del campo visivo ecc… notate bene che diciamo si misura, cioè si ottiene un numero che dà una graduatoria esatta la quale serve poi a stabilire quali sono le capacità del soggetto sotto prova. […] Nel gabinetto di psicotecnica della miniera di Ingurtosu si misura la forza fisica col sollevamento di pesi graduati; si misura la vista con prove di lettura a distanza; l’udito con prove auditive a distanza; l’abilità col tempo di apertura e chiusura di sei lucchetti ecc. ecc. Queste prove servono alla selezione come orientamento. Dicono subito: tale soggetto è inadatto al tale mestiere. Gran cosa questa! […] Quindi doppia azione benefica. L’operaio che non poteva trovare da sé il suo vero mestiere, constata con soddisfazione come il nuovo tipo di lavoro non l’affatica e finisce per piacergli e interessarlo. […] Ovunque si impianta un gabinetto di psicotecnica sorge una guida scientifica e benefica tanto per gli operai come per gli impiegati, tanto per i giovani che sono già al lavoro come per quelli non ancora avviati. Ovunque poi, a fianco del gabinetto di psicotecnica, si impianta un’organizzazione razionale del lavoro voi dovete vederla con profonda soddisfazione. L’organizzazione del lavoro dà salute e resistenza all’impresa dove lavorate [Audibert 1933, 17-20; Santini 2014, 46].
Tra il 1927 e il 1929 il gruppo Pertusola migliorò notevolmente la propria produzione e l’organizzazione delle maestranze tramite l’applicazione dei cronometraggi. L’applicazione degli studi portati avanti dal gruppo furono la dimostrazione di quanto negli anni precedenti era stato solo teorizzato dando il via all’applicazione anche nell’isola del metodo Bedaux.
Questo sistema, nato nei primi del Novecento (suo inventore fu Charles Eugène Bedaux), era volto ad aumentare in senso progressivo la produzione eliminando i tempi morti nell’ambito della produzione [10]. Esso consisteva sostanzialmente in una campionatura del lavoro e nel cronometraggio del tempo impiegato dall’operaio per ogni singola operazione; in seguito veniva fissata la quantità di lavoro che poteva essere effettuata in quella porzione di tempo e veniva stabilito un tempo standard che determinava la paga base.
Il carico di lavoro che poteva essere effettuato in un’ora era detto Punto Bedaux. In un’ora ci si attendeva quindi che l’operaio realizzasse almeno 60 punti Bedaux (1 al minuto), ma se ne avesse ottenuti 80, ciò avrebbe rappresentato un incremento della capacità produttiva del 33,33%, raggiungendo la quantità ottimale (in ottica aziendale) e dando titolo ad un premio.
Nel 1929 il nuovo metodo venne ufficialmente applicato nella miniera di San Giovanni, di proprietà della Pertusola e nel 1930 il metodo fu esteso anche a Ingurtosu e a Gennamari. Sempre nel 1930 la Gennamari Ingurtosu pubblicò un regolamento che fissava le condizioni di lavoro a cottimo e metteva a norma le regole da seguire per combattere gli infortuni [11].
Negli stessi anni il Bedaux venne applicato anche dalla società Monteponi nelle fonderie, nei laboratori e negli stabilimenti di lavorazione dei minerali [12].
L’applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro e del Bedaux portò subito a risultati eclatanti. La produttività complessiva delle miniere aumentò notevolmente, nonostante la diminuzione della manodopera, che in compenso conquistò consistenti aumenti salariali. Ciò che fino ad allora era stato solamente teorizzato, venne applicato in maniera sistematica alle miniere.
Sul modello del laboratorio psico tecnico nacquero numerosi istituti analoghi volti a reclutare una manodopera ultra specializzata.
I risultati esaltanti, però, si scontrarono ben presto con un malcontento diffuso tra le maestranze, che portò ben presto i sindacati fascisti ad un’opposizione al metodo e all’apertura di un’inchiesta da parte del prefetto di Cagliari.
L’accusa mossa nei confronti di questo processo di produzione sottolineava che al fine di ottenere il massimo della produttività si preferisse espellere gli operai meno giovani dal mondo del lavoro, aumentando in questo modo in via generale la disoccupazione. La discriminazione fisica veniva attuata a monte del ciclo produttivo [Ruju 1997, 341].
Al fine di arginare le critiche la società Pertusola e lo stesso Audibert tentarono di difendere e pubblicizzare il metodo dalle pagine del giornale il Minatore, rivista pubblicata dal 1927 al 1936 [Lampis 2013, 275-294]. Il giornale dava spazio ad ogni aspetto della vita del lavoro in miniera e del dopo lavoro e lo scopo principale era quello di riavvicinare gli operai ai dirigenti. Allo stesso tempo prendeva vita nel 1933 un “Comitato permanente per l’organizzazione scientifica del lavoro nelle miniere” che teneva i collegamenti fra gli ingegneri delle miniere sarde e L’Enios (Ente nazionale per l’organizzazione scientifica del lavoro). L’organizzazione del lavoro veniva propagandata come unico strumento per arginare la crisi sottolineando come la causa della disoccupazione non andasse tanto ricercata nell’organizzazione scientifica del lavoro, con sistemi come il Bedaux, che mettevano in evidenza le capacità degli operai, quanto piuttosto nella meccanizzazione del lavoro in miniera e nell’industria, che riteneva più conveniente per la società una sostituzione degli operai con le macchine. L’assunto finale era dunque che una manodopera ben organizzata, invece, non potesse mai essere soppiantata dalle macchine.
La difesa da parte della Pertusola non riuscì nell’intento di avvalorare il metodo e nemmeno il cambio del nome in Gennaper (Gennamari-Pertusola) riuscì ad arginare l’opposizione operaia. Il metodo era considerato dagli operai e dalle stesse organizzazioni sindacali fasciste «fattore di depressione fisica e morale dell’operaio», innovazione straniera che feriva «l’orgoglio di razza» e portava la standardizzazione delle masse lavoratrici italiane [Callia, Contu 2002, 155]. Nel novembre del 1934 il Comitato Corporativo Centrale abolì il sistema Bedaux sul suolo nazionale [Callia, Contu 2002, 55]. Di fatto, tuttavia, tale metodo di organizzazione del lavoro continuò a esistere nelle miniere sarde per alcuni decenni ancora e ben oltre la fine del secondo conflitto mondiale, tanto che alla vigilia della seconda guerra Mondiale Charles Bedaux aveva aperto in 22 paesi dei corsi di formazione, impiegando nel progetto 400 ingegneri e dopo la seconda guerra mondiale sarebbero state numerose le industrie che avrebbero continuato ad applicare questo metodo, pur modificandone il nome per ragioni politiche e commerciali.
Paul Audibert continuò ad essere per molti anni punto di riferimento per la società Pertusola, tanto è vero che nel 1960 era ancora direttore generale della società. Al culmine di un contrasto sindacale nell’estate di quello stesso anno il Consiglio Regionale votò l’applicazione del R.D. 29.7.1927 comma 3, cioè il decreto di «non gradimento» verso il Direttore Generale della Pertusola Paul Audibert. Il provvedimento consisteva nell’allontanamento del direttore dalle sue mansioni e dal divieto di permanenza per lui in Sardegna [Sanna 2014] [13].
Le attività del laboratorio psico tecnico e le loro conseguenze sociali rappresentarono un elemento di modernizzazione e incremento della produzione per le società, ma anche di svilimento della figura umana. L’uomo diveniva strumento, macchina. Una spersonalizzazione che ha segnato il territorio e le vite, fatta in nome del progresso.
Bibliografia
Fonti primarie
Archivio storico Minerario Igea Spa:
- Archivio Storico Minerario Igea Spa, Paul Audibert, Nota sul gabinetto psico tecnico della Miniera di Gennamari Ingurtosu, in Resoconti dell’associazione mineraria Sarda – Seduta del 15 dicembre 1929.
- Archivio Storico Minerario Igea Spa, Paul Audibert, Andrea Binetti, Sull’organizzazione razionale e scientifica del lavoro nelle miniere, «Bollettino dell’Associazione Mineraria Sarda», 17 giugno 1928.
- Archivio Storico Minerario Igea Spa, Fondo Società Mineraria e Metallurgica di Pertusola poi Piombo Zincifera Sarda, unità 261P – 262P, 215P – 222P.
- Archivio Storico Minerario Igea Spa, Fondo Monteponi, serie rapporti.
- Archivio Storico Minerario Igea Spa, Gennamari Ingurtosu – Cottimi per l’anno 1930 – Regolamento per i lavori a cottimo – Normative contro gli infortuni.
Altri archivi:
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza., Divisione affari generali., 1921, busta 64, sottofascicolo “Agitazioni minerarie, relazione del 3 agosto 1921”, dal prefetto di Cagliari al Ministero dell’Interno.
- Archivio Storico Comunale Iglesias, prima sezione, busta 194, Deliberazioni del Consiglio Comunale dal 18 settembre 1917 al 14 marzo 1921, verbale n° 11 del 16 novembre 1918, oggetto n° 75.
Fonti secondarie
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- Taylor F.W. 2004, L’organizzazione scientifica del lavoro, Milano: Feltrinelli.
Note
1. Per una breve storia delle miniere cfr. Plaisant, Serri 1996.
2. Archivio Storico Comunale Iglesias, prima sezione, busta 194, Deliberazioni del Consiglio Comunale dal 18 settembre 1917 al 14 marzo 1921, verbale n° 11 del 16 novembre 1918, oggetto n° 75, p. 78.
3. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’ Interno, Direzione generale PubblicaSicurezza, Divisione Affari Generali, 1921, busta. 64, sottofascicolo Agitazioni minerarie, relazione del 3 agosto 1921, dal prefetto di Cagliari al Ministero dell’Interno.
4. Ivi.
5. Archivio Storico Minerario Igea Spa, Resoconti dell’Associazione Mineraria Sarda – Seduta del 15 dicembre 1929.
6. Ivi.
7. Archivio Storico Minerario Igea Spa, Fondo Società Mineraria e Metallurgica di Pertusola poi Piombo Zincifera Sarda, Carteggio Personale 1919 - 1939, unità 261P.
8. Archivio Storico Minerario Igea Spa Resoconti dell’associazione mineraria Sarda – Seduta del 15 dicembre 1929: Paul Audibert, Nota sul gabinetto psico tecnico della Miniera di Gennamari Ingurtosu
9. Ivi.
10. Archivio Storico Minerario Igea Spa, fondo Società Mineraria e Metallurgica di Pertusola poi Piombo Zincifera Sarda, Carteggio Studi, 1934, unità 262P.
11. Archivio Storico Minerario Igea Spa, Gennamari Ingurtosu – Cottimi per l’anno 1930 – Regolamento per i lavori a cottimo – Normative contro gli infortuni.
12. Archivio Storico Minerario Igea Spa, Società Monteponi, Rapporti anni 1929-1930.
13. «Diacronie», 17.