Storicamente. Laboratorio di storia

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Sophie T. Ambler, “Bishops in the Political Community of England“

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Sophie T. Ambler, “Bishops in the Political Community of England, 1213-1272”, Oxford, Oxford University Press, 2017, 231 pp.

I profondi cambiamenti degli assetti politici e territoriali del regno d’Inghilterra avvenuti nel XIII sec. ebbero un effetto di lunga durata sulla storia europea. Nel 1204 la conquista della Normandia da parte del re di Francia Filippo II Augusto portò alla fine del regno anglo-normanno nato nel 1066. Le decadi successive furono segnate dalla stesura della Magna Carta e dalle tensioni tra nobiltà e sovrano che durante il regno di Enrico III culminarono nella rivolta guidata da Simon de Montfort e negli esperimenti costituzionali del 1258-1263. L’era della Magna Carta e della “nascita del parlamento” ha attirato notevole attenzione da parte degli storici ed è stata oggetto di una mitografia che ha identificato in questi eventi le fondamenta del moderno stato di diritto e il momento in cui il regno inglese si costituì all’interno di confini ‘nazionali’.

Ambler, rielaborando la sua tesi di dottorato (King’s College, 2012) e integrandola con le sue successive ricerche, propone un cambio di prospettiva nello studio di questo secolo tumultuoso. Bishops in the Political Community of England ha infatti l’obiettivo di evidenziare l’importanza dell’attività politica del corpo episcopale inglese in un periodo generalmente interpretato alla luce del ruolo svolto dalla nobiltà e dalla riflessione giuridica prodotta da laici.

Il libro si struttura in otto capitoli ordinati cronologicamente e divisibili in due macro-sezioni. I primi quattro capitoli descrivono i rapporti tra corpo episcopale e potere regio in Inghilterra nel periodo fra il 1213 e il 1250 e introducono all’analisi svolta negli ultimi quattro, dove sono esaminate le azioni dei vescovi che appoggiarono la rivolta di Simon de Montfort negli anni 1263-1265.

La prima sezione descrive la funzione di garanti della stabilità del regno svolta dai vescovi inglesi durante la prima metà del secolo (pp. 12-104). Nel XIII sec. la capacità del re inglese di influenzare le elezioni vescovili fu drasticamente ridotta e ciò portò a una maggiore eterogeneità nella selezione dei vescovi inglesi. L’a. nota come il corpo episcopale inglese continuò ad avere una identità collettiva definita dalla formazione comune, dalla coesione territoriale del regno e dalla coscienza del proprio peso politico.

L’analisi della formazione e delle opere prodotte dai vescovi inglesi mostra come questi rivendicassero il ruolo di correttori dei sovrani e di garanti del regno. Ambler si concentra sulla distinzione tra re e tiranno compiuta nelle opere di Stefano Langton, arcivescovo di Canterbury, e in quelle di Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, in particolare la sua traduzione dell’Etica Nicomachea di Aristotele. Per entrambi i teologi la regalità era parte dell’ordine divino, quindi non sovvertibile, e il compito di correggere il re era prerogativa dei sacerdoti. Tale concezione della funzione pubblica dei vescovi è evidenziata in alcuni episodi in cui il corpo episcopale promosse la riconciliazione tra il re inglese e la aristocrazia del regno. Nello specifico si segnalano le azioni intraprese da due arcivescovi di Canterbury: Stefano Langton, nel 1213, ed Edmondo di Abingdon, nel 1234.

Alcuni eventi sono poi esaminati allo scopo di evidenziare la coscienza politica e collettiva dell’episcopato inglese. Di fronte alle richieste di finanziamento avanzate da Enrico III e avallate dalla curia romana, aventi oggetto l’organizzazione di una crociata e una spedizione in Sicilia, i vescovi si presentarono come un fronte compatto, limitando le richieste della corona ed evitando lo scontro con Roma. Vi è da notare, però, che nel presentare questa ‘comunità politica episcopale’ è dato poco rilievo alle altre ‘comunità politiche’ delle quali i vescovi facevano parte – per esempio la rete relazionale dei vescovi Walter e Tommaso de Cantilupe e quella di Fulk Basset, pur segnalate in apertura del volume (p. 8) – e alla natura, che sembra episodica, dei momenti in cui il corpo episcopale agì in maniera compatta.

La seconda sezione si presenta come uno studio specifico sull’adesione di alcuni vescovi alla ribellione guidata da Simon de Montfort (pp. 105-195). L’a. nota in questa scelta un radicale mutamento del ruolo politico della comunità vescovile. Il primo segnale di questo mutamento è identificato nel mancato intervento episcopale a difesa di Enrico III nel corso degli eventi che nel 1258 portarono alle Disposizioni di Oxford e alla costituzione del ‘Primo Parlamento Inglese’.

A partire dal 1258 una parte dell’episcopato inglese si schierò a supporto della rivolta contro Enrico III. L’a. mostra come iI ruolo di questi vescovi ‘montfortiani’ fu quello di propagandare la causa rivoluzionaria, descrivendo la rivolta come una crociata e Simon de Montfort come il suo eroe, e allo stesso tempo quello di organizzare l’aspetto conciliare del parlamento, partecipando attivamente alla costituzione del nuovo consiglio di governo.

Le azioni dei ‘montfortiani’ a supporto del regime parlamentare sono ricostruite con particolare attenzione per le azioni di Tommaso de Cantilupe, vescovo di Hereford. Servendosi della documentazione relativa all’intervento del legato papale Gui Foulquois, Ambler si concentra dapprima sull’arbitrato di Amiens (1264), favorevole a Enrico III, e sul rifiuto dei vescovi inglesi di applicare le direttive del legato papale. Poi propone una rilettura della Canzone di Lewes capace di mostrare l’intento propagandistico dell’opera ed evidenzia l’uso da parte del parlamento del lessico cancelleresco a scopo legittimatorio. Lo studio sottolinea come le argomentazioni ‘montfortiane’ non emersero da una forte tradizione di riflessione politica e teologica, ma dalla necessità di giustificare il sovvertimento dell’autorità regia attuato dai ribelli. Tuttavia, concentrandosi sull’attivismo della fazione ‘montfortiana’ e non proponendo una riflessione sulla fazione lealista – che costituiva la parte maggioritaria del corpo episcopale inglese – l’analisi generale sul ruolo politico della comunità vescovile risulta sbilanciata.

Infine, il processo di riconciliazione tra i vescovi ‘montfortiani’ e il sovrano che si ebbe dopo il fallimento della rivolta è analizzato alla luce della volontà conciliatrice di papa Clemente IV (Guy Foulquois) e tramite la lettura del sermone funebre del ‘vescovo montfortiano’ Giovanni Gervase composto da Eudes di Chatearoux.

Sottolineando il modo in cui i vescovi inglesi si trasformarono da garanti dell’autorità regia a suoi possibili oppositori e rilevando la compenetrazione tra la riflessione religiosa e l’attività politica, il libro di Ambler centra l’obiettivo di evidenziare l’attività politica dei vescovi inglesi nel corso del XIII sec. aprendo a nuove e importanti prospettive interpretative. Per sostenere questa proposta, l’a. enfatizza alcuni aspetti del suo discorso lasciando al lettore il compito di inserirli nel contesto dei cambiamenti in atto nel regno inglese. La natura specialistica e propositiva dello studio presuppone così che il lettore abbia già maturato una conoscenza del XIII sec. inglese, dei suoi protagonisti e dei cambiamenti successivi alla stesura della Magna Carta.