Introduzione (Mirco Dondi)
Mettere i servizi al centro della storia. Si può scrivere la storia politica dell’Italia repubblicana prescindendo dal ruolo dei servizi? È una delle prime domande che sorge leggendo il testo di Benedetta Tobagi, Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo, Torino, Einaudi, 2023. Lo spazio cronologico al quale risponde il testo abbraccia circa un ventennio: dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Novanta.
Si tratta di un arco cronologico non particolarmente frequentato dagli studi, complice anche – prima del 2014 – la difficoltà di accesso alle fonti. Il lavoro più completo sul tema resta quello di Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal Fascismo all’intelligence del XXI secolo (Milano, Sperling & Kupfer, 2010), a fronte dell’agilissimo contributo di due esperti di intelligence: Vittorio Di Cesare, Sandro Provvisionato, Servizi segreti e misteri italiani: 1876-1998 (Sesto Fiorentino, Editoriale Olimpia, 2004) che tuttavia individuano, proprio negli anni Ottanta del Novecento, una fase particolarmente accesa nella vita dei servizi, legata all’ambizione dell’intelligence di esercitare un proprio ruolo. Arriva alla soglia degli anni Novanta anche Giacomo Pacini, Le altre Gladio: la lotta segreta anticomunista in Italia 1943-1991 (Torino, Einaudi, 2014). Affrontano il tema dell’intelligence tra la metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta due libri sul Noto servizio (o Anello): Stefania Limiti, L’Anello della Repubblica, (Milano, Chiarelettere, 2009) e soprattutto Aldo Giannuli, Il Noto servizio, (Milano, Tropea, 2011). Giannuli è l’autore che più di tutti ha riflettuto sul funzionamento di questi apparati stilando una metodologia operativa tra XX° e XXI° secolo in due volumi caratterizzati da un approccio comparativo, rispettivamente: Come i servizi segreti usano i media (Milano, Ponte alle Grazie, 2012) e Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo (Milano, Ponte alle Grazie, 2018). Sui meccanismi di potere che investe l’intelligence, con riferimenti internazionali, è altrettanto esemplificativo Antonio Mutti, Spionaggio. Il lato oscuro della società (Bologna, Il Mulino, 2012). Sul tema del conflitto istituzionale che riguarda una parte importante del testo, un riferimento tematico di complemento va a Marcello Flores, Mimmo Franzinelli, Conflitto tra poteri: magistratura, politica e processi nell’Italia repubblicana (Milano, Il Saggiatore, 2024).
Un non banale contributo, attinente ai temi di Segreti e lacune, apparve in allegato al numero 1 de “L’Espresso” del 1994: Taci, il Sisde ti spia che pubblicava i rapporti dei servizi segreti sui partiti dal 1978 al 1981 e che poneva al lettore la domanda fondamentale, ma sono davvero cambiati i servizi segreti dopo la riforma del 1977?
Con il volume di Benedetta Tobagi siamo oltre la fase calda dello stragismo nero, legata alla strategia della tensione e alle coperture che ne hanno permesso l’esecuzione e l’iniziale impunità, per quanto la striscia di quegli eventi non manchi di ripercussioni. La tenace vischiosità dell’intelligence nel coprire queste trame prosegue anche nel corso del ventennio tra metà anni Settanta e anni Novanta, con propaggini a cavallo del Duemila. Proprio sui processi legati alle stragi, alle quali va aggiunta quella del 2 agosto 1980 a Bologna, si innesta un conflitto istituzionale tra servizi magistratura e potere esecutivo.
A partire dal 1976, e sull’onda di quell’esito elettorale che porta quasi a bilanciare la forza della Democrazia cristiana a quella del Partito comunista, si avvia un tentativo di realizzare una riforma (legge 801 del 1977) improntata alla democratizzazione dei servizi, slegandoli dal precedente rapporto di esclusiva dipendenza con il governo e segnatamente con il presidente del Consiglio (da sempre il principale responsabile dell’intelligence) il ministero della Difesa e il ministero dell’Interno.
A queste buone intenzioni, e a una legge sulla carta innovativa, non corrisponde un effettivo cambiamento. Una delle ragioni è legata e alla continuità degli uomini che vengono semplicemente spostati da un ufficio all’altro, anziché essere sostituiti da un nuovo personale che dia maggiori garanzie democratiche. La prassi di azione del vecchio personale valica anche la nuova legge alla quale si aggiunge la natura del tutto particolare dell’attività dei servizi che arrivano a muoversi sul crinale tra azioni illegali e legittimità delle finalità perseguite (p. 12).
La struttura degli apparati di sicurezza delineata dalla riforma del 1977 ha bene in mente quali sono state le distorsioni della precedente gestione. Vengono così definite due nuove strutture: il Sismi, in sostituzione del Sid, e il Sisde in luogo del più informale Ufficio affari riservati gestito dal ministero dell’interno. Il Sismi si occupa della difesa militare e del versante estero, avendo come principale referente il ministero della difesa, il Sisde è deputato alla sicurezza interna è un’intelligence di natura civile storicamente gestita dalla polizia ed è chiamato a rispondere in primis al ministero dell’Interno. Teoricamente si colloca al di sopra di questi una struttura interministeriale di raccordo il Cesis, composto dai capi di Sismi e di Sisde, dal capo di Stato maggiore della difesa, dal capo della polizia, dal segretario generale della Farnesina, dal comandante generale dell’arma dei carabinieri e della Guardia di Finanza. Un organismo di coordinamento che viene presto svuotato e scavalcato nella pratica di azione. L’intento della legge è quello di instaurare una collegialità di figure istituzionali a controllo dell’attività dei servizi, avendo cura di superare l’annosa rivalità tra servizio segreto militare e servizio segreto civile. Su questo versante si riscontra il primo fallimento nell’attuazione della legge dal momento che il Sismi si muove prevalendo sul Sisde e saltando l’organismo di controllo rappresentato dal Cesis. Un elemento di contesa fra gli stessi servizi sta anche nella gestione degli archivi che rappresentano una fonte di informazione importante non soltanto ai fini della sicurezza ma anche per il controllo incrociato fra le forze politiche.
Il tema degli archivi è parallelo a questa storia, legata alle possibilità di accesso agli studiosi dopo la legge del 2014, ma soprattutto la questione si gioca su chi detiene ed eventualmente offre le informazioni, dove permane una sfera di inaccessibilità legata a mancati conferimenti o a chirurgiche distruzioni di documenti nel corso del tempo. È un potere che si rende invisibile costruendo la sua inaccessibilità minando, anche su temi distanti nel tempo, il principio di trasparenza a fondamento della pratica democratica.
Il conflitto istituzionale: servizi, magistratura governo
(Francesco Pellegrini)
Il tema del conflitto istituzionale tra la magistratura e i servizi di intelligence nell’Italia repubblicana emerge con forza nel lavoro di Benedetta Tobagi, che ne offre una ricostruzione approfondita.
Tobagi colloca la genesi del conflitto nell’estate del 1973, quando il Servizio Informazioni Difesa (SID) si oppose all’accesso degli inquirenti milanesi a documenti classificati come “segreto politico-militare” durante la seconda istruttoria sulla strage di piazza Fontana. Questo episodio, come evidenziato dall’autrice, innescò una serie di eventi culminanti nell’incriminazione di due ufficiali del SID e nella riforma dei servizi segreti, auspicata sin dalle conclusioni dell’inchiesta parlamentare sugli scandali SIFAR.
Nonostante le innovazioni introdotte dalla legge 801/77, che istituì il SISMI e il SISDE, i contrasti tra magistratura e intelligence perdurarono. Secondo Tobagi, tali divergenze erano radicate in “fattori strutturali, di fatto insolubili” (p. 157), derivanti da una profonda incompatibilità di vedute e obiettivi tra le due istituzioni.
Un elemento dirimente, analizzato dall’autrice, è il ruolo dei carteggi interni attraverso cui i servizi di informazione e sicurezza gestivano le richieste dei giudici. Da tali documenti emergono talvolta aspri contrasti tra organismi di intelligence, in particolare tra SISMI e CESIS, che spesso si percepiva esautorato nella sua funzione di coordinatore e intermediario. Per ovviare a tali criticità, nel 1982 il Presidente del Consiglio Spadolini approvò una direttiva che definiva le competenze dell’organismo di coordinamento. Tuttavia, “nel momento del confronto con l’esterno - con i magistrati, in particolare - il fronte si ricompattava” (p. 157), dimostrando una solidarietà di corpo che superava le divisioni interne.
Tobagi osserva come la tensione tra intelligence e magistratura, sebbene persistente nei processi per stragi, non coinvolgesse l’intera magistratura. Molti magistrati, come in precedenza, operavano in sintonia con le esigenze dell’esecutivo e dei servizi a esso subordinati. Tuttavia, dopo il “caso Giannettini” prevalse tra i giudici una profonda diffidenza verso i servizi segreti.
Di particolare rilevanza è l’analisi di Tobagi sulle strategie comunicative utilizzate dai vertici dell’intelligence per contrastare le indagini giudiziarie. L’autrice identifica nel “rifiuto della verità”, nell’”atteggiarsi a vittime” e nell’”attacco” (p. 176) diretto alla magistratura elementi chiave di questa comunicazione, efficace in un contesto in cui i servizi operavano in un’area grigia. Un esempio paradigmatico è l’atteggiamento del Sisde verso la Procura di Catanzaro nella quarta istruttoria sulla strage di piazza Fontana, quando il servizio inviò una “scheletrica scheda informativa” lamentando una presunta “insoddisfazione” (p. 176) dei giudici, pur disponendo di ulteriori informazioni.
Tobagi osserva come, nella prospettiva dei membri dei servizi segreti, le indagini giudiziarie e i procedimenti penali a loro carico fossero percepiti come interferenze illecite e inammissibili nelle loro attività istituzionali. L’analisi della corrispondenza interna, in particolare delle note manoscritte, rivela che le accuse e i sospetti mossi dalla magistratura venivano spesso considerati profondamente offensivi o comunque privi di fondamento. Ai magistrati veniva imputata l’incapacità di comprendere non solo la natura delle operazioni di intelligence, ma soprattutto la loro rilevanza strategica: la tutela della sicurezza nazionale doveva essere prioritaria rispetto a qualsiasi altra valutazione.
Secondo Tobagi, i funzionari dei servizi segreti non sembrano comprendere appieno la portata, e spesso la fondatezza, della sfiducia generata dalla serie di scandali. Questa sfiducia è alimentata dall’assoluta opacità degli organismi di intelligence, che impedisce qualsiasi forma di controllo esterno, anche solo a posteriori, sulla legittimità delle azioni degli agenti, in particolare di quelle più controverse, seppur potenzialmente illegali.
In risposta alle crescenti pressioni investigative e giudiziarie, i servizi segreti italiani adottano una duplice strategia difensiva. Da un lato, non esitano a ricorrere a misure drastiche, come dimostra il tentativo del generale Giuseppe Tavormina, nel 1987, di incriminare il giudice Felice Casson per violazione del segreto di Stato e accesso abusivo a installazioni militari.
La strategia prevalente consiste nel “tutelare sé stessa e il proprio lavoro sottotraccia” (p. 163), come sottolinea l’autrice, ricorrendo a pratiche di spionaggio e controllo informativo nei confronti di magistrati e chiunque metta in discussione il loro operato. Questa prassi, lungi dall’essere un’eccezione, emerge come una costante nell’operato dei servizi segreti, come testimoniato dai documenti d’archivio e dai carteggi sequestrati nel corso delle inchieste giudiziarie.
Il caso del primo processo per la strage di piazza Fontana rappresenta un esempio emblematico di tale strategia. Il tardivo deposito di oltre tremila pagine di documenti del SID alla Corte d’Assise di Catanzaro nel 1977 svelò che l’intelligence aveva posto sotto sorveglianza i magistrati impegnati nell’inchiesta e, più in generale, monitorava i giudici progressisti, in particolare quelli legati alla corrente di Magistratura democratica. Questa attività di controllo informativo non si limitava alla semplice raccolta di informazioni, ma mirava a condizionare l’operato dei magistrati, creando un clima di intimidazione e sospetto.
Tobagi evidenzia come la strategia comunicativa dei servizi segreti, durante e oltre gli anni Ottanta, fosse caratterizzata da un’apparente disponibilità alla collaborazione, pur mantenendo un atteggiamento reticente e ostruzionistico. La priorità assoluta attribuita alla salvaguardia delle fonti informative, spesso celata dietro un’ostentata cooperazione, si traduceva nella pratica di fornire il minimo indispensabile, se non addirittura nell’opporre resistenza alle richieste investigative.
L’autrice sottolinea come questa condotta, tipica delle strutture burocratiche, sfruttasse appieno i formalismi giuridici per procrastinare, confondere ed eludere le richieste dei magistrati. Il linguaggio burocratico, abile nel “dire senza dire” (p. 184), veniva utilizzato per fornire interpretazioni elusive e restrittive della legge 801/1977, sia per quanto concerne i limiti all’intervento dell’intelligence nell’attività di polizia giudiziaria, sia riguardo all’opposizione del segreto di Stato.
Tra P2 e massoneria (Mirco Dondi)
Nel numero del 28 marzo 1978 di “Op”, Mino Pecorelli, per molti l’ufficio stampa del discusso direttore del Sid Vito Miceli (in ogni caso un uomo che attinge molte delle sue informazioni dai servizi), lancia un’inchiesta dal titolo eloquente: “Chi ha smantellato i servizi segreti?” Traspare la preoccupazione, di un giornalista iscritto alla P2, che si intacchino posizioni di potere e, ancor peggio, che si aprano gli apparati all’infiltrazione comunista individuando nell’esponente del Pci Ugo Pecchioli uno dei padri della riforma dei servizi.
Il palese fallimento della riforma 801/1977 (o il fisiologico margine di irriformabilità degli organi deputati agli arcana imperii) si ha nel momento in cui si comincia a scoprire, nel 1981, il ruolo della Loggia massonica P2 che è stata in grado di riconfigurare in modo informale la struttura di comando del Sismi, giovandosi delle posizioni di vertice ricoperte dai suoi uomini. La P2 può essere certo letta come “sofisticata risposta occulta” agli sviluppi politici che hanno attraversato il Paese nella seconda metà degli anni Settanta (pp. 74 – 75). Un invisibile bilanciamento di potere dinanzi a equilibri sgraditi. È condivisibile la tesi che le fibrillazioni della sfera politica palese lascino maggior spazio all’espansione del potere occulto che è tanto attivo nelle sue azioni quanto reattivo nella copertura delle sue operazioni intimidendo o svilendo il ruolo della politica, in modo particolarmente accanito l’attività della Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2, presieduta dalla deputata democristiana Tina Anselmi, anch’essa al centro, ora di minacce, ora di guidate delegittimazioni. La P2 funge da agente di consolidamento degli equilibri politici atlantici, in stretto contatto con l’amministrazione repubblicana statunitense del presidente Ronald Reagan. Apprezzabile che sia messo in evidenza il ruolo occulto di altri gruppi massonici che collaborano con la P2, e con questa hanno convergenza di interessi pur non essendo piduisti: Giuseppe Belmonte, Francesco Pazienza, sono massoni ma non piduisti e collaborano ai depistaggi sulla strage di Bologna. Nella storia d’Italia non va infatti dimenticato l’attivo ruolo anticomunista, con collusioni criminali, di altre logge: la Gran loggia nazionale d’Italia, ad esempio, “con un livello di copertura ancora maggiore” rispetto alla P2, espressione di logge siciliane e calabresi che ha visto anche la collaborazione del terrorista nero Franco Freda (p. 83). Si profilano articolati livelli di complicità occulte che investono anche altri apparati massonici e che non si esauriscono solo nell’attività della loggia P2.
Le nuove fonti per lo studio dei servizi segreti
(Pasquale Iuso)
Tra le molte domande che il volume pone al lettore e allo studioso, quella che sembra assumere un ruolo di assoluto rilievo sia per la dinamica delle vicende che accompagnano i fatti, la formazione della base documentale, le inchieste giudiziarie e gli studi, sia per la possibilità che offre a tutti di addentrarsi nelle dinamiche interne al potere e alle connessioni/conflitti fra contesto politico e intelligence, riguarda gli archivi.
La profondità di analisi che viene sviluppata, infatti, permette di porre al centro una questione molto complessa che investe meccanismi, metodologie utilizzate nella “decomposizione” delle carte, finalità. Ma non solo. Le nuove acquisizioni (le carte Russomanno e l’archivio Gladio con il loro “accurato disordine”, i versamenti seguiti alla “Direttiva Renzi” del 2014 avvenuti sulla base di scelte operate dalle medesime amministrazioni di origine) se da una parte “deludono” in parte il ricercatore e soprattutto l’opinione pubblica dall’altra, se sommati a ciò che si intuisce e si riesce a ricomporre attraverso di essi con ciò che si ha a disposizione potendo utilizzare fonti e metodologie indirette – superando una sorta di deificazione delle carte che non potranno mai dire ciò che è “indicibile” – diventano di assoluto interesse, per la concreta possibilità che offrono di penetrare nei meccanismi che hanno, almeno in parte, caratterizzato la storia repubblicana.
Una prospettiva attraverso la quale è possibile connettere il presente e il passato non tanto attraverso ciò che il singolo documento dice, quanto attraverso la costruzione, gestione e utilizzo che è stato fatto delle carte nel caso degli archivi Russomanno e Gladio, ma anche rispetto alla costruzione di “archivi paralleli” (l’archivio Cogliandro – p. 205) o la ricerca di “archivi scomparsi” (l’archivio D’Amato – p. 209) che si pongono in una continuità evidente con quella prassi di “fascicolazione riservata” tante volte emersa nella storia repubblicana
Le cinque parole chiave che accompagnano in questo percorso (oralità, disordine, distruzione, sottrazione e smarrimento - pp. 225-235), quindi, permettono di capire le carte e osservare un meccanismo, che è sembrato realmente correre parallelo ai fatti e alle indagini, rallentando o impedendo di raggiungere i responsabili e i mandanti, ma lasciando alcune strade da percorrere all’indagine storica.
Tra le tante, la prima è la concreta possibilità di utilizzare nuove e molteplici informazioni e notizie (con tutte le cautele del caso trattandosi di fonti di intelligence, e consapevoli – per larga parte di quelle derivate dall’applicazione della direttiva Renzi – di carte già acquisite nei molteplici procedimenti giudiziari sulle stragi e sul terrorismo) senza farsi giudice di un reato, ma per approfondire sempre più il mosaico del singolo fatto e lo scenario politico e istituzionale nel quale si colloca; la seconda è quella di sbirciare con maggiori elementi nelle parti oscure del potere, nelle connessioni con la sua parte visibile e con la politica, cercando di aggiungere ulteriori collegamenti che quel ventennio ha avuto con la dimensione politica e istituzionale nazionale; una terza è rappresentata da quei personaggi apparentemente minori che appaiono nella parzialità dei documenti lungo un cinquantennio di stratificazioni archivistiche, di lacune documentali, di segreti non scritti, ma anche di memorie, di inchieste (giudiziarie e giornalistiche), di ricerche. Un’apparente minorità che invece rilancia con forza il metodo biografico, e la ricostruzione delle connessioni che si possono mettere in campo, utilizzando la categoria della “continuità” negli uomini e nelle istituzioni che ne sono state protagoniste a diversi livelli.
In tale contesto di studio e alla luce di quanto la pubblicistica ha ricostruito nel corso degli anni, rimangono – come è intuibile – una serie di problemi aperti, che attraversano sia il piano ricostruttivo e interpretativo, sia quello delle fonti.
Nel primo caso lo studio e la definizione dei contorni biografici dei personaggi meno noti cui sommare i lavori già esistenti di questo tipo, potrebbe aggiungere elementi ricostruttivi che, in alcuni casi, possono risultare importanti non solo per il singolo avvenimento, ma anche rispetto alle reti di continuità che si sono andate costruendo in questo ventennio. Sempre sul medesimo piano si trova la questione dei coinvolti e delle loro connessioni nel tempo e nello spazio, al fine di far emergere continuità e differenziazioni.
A livello interpretativo uno dei punti di maggior interesse rimane – nonostante tutto ciò che è stato scritto e detto e della lacunosità voluta dell’Archivio – la questione Gladio, all’interno della quale le zone d’ombra sembrano susseguirsi, offrendo allo studioso la netta percezione che sia un terreno di ricerca molto interessante.
Direttamente collegata a entrambi è la questione fonti. Senza dover necessariamente rincorrere archivi “scomparsi”, che magari potranno nuovamente apparire, vale sottolineare con forza quanto contenuto anche nel volume di cui si discute: una piena applicazione della Direttiva Renzi, abbinata ad un intervento di selezione operato da chi deve poi conservare la documentazione, e ad una piena disponibilità delle carte militari dovrebbe permettere uno sguardo d’insieme in grado di penetrare nelle zone d’ombra tuttora esistenti e, nello stesso tempo, ricostruire storicamente tanti passaggi decisivi della vicenda repubblicana.
Dall’osservazione di tutto ciò sembra trovare conferma uno schema che si può riassumere lungo tre piani che si intersecano, solo parzialmente e di tanto in tanto, quasi a segnare percorsi comuni fra soggetti diversi (e talvolta contrapposti) per obbiettivi che solo parzialmente combaciano. Il primo è il contesto della Guerra Fredda e, quindi, dell’inevitabile intreccio delle dinamiche politiche interne con quelle internazionali e i vincoli atlantici; il secondo è la declinazione del binomio fra comunismo e anticomunismo che, sganciandosi dal quadro internazionale, si incunea e viene curvato/applicato su quello interno, per evitare o rallentare qualsiasi pericolo di spostamento dell’asse politico del paese; il terzo sono le lotte interne al potere che si sviluppano soprattutto nelle sue zone d’ombra o che in queste trovano il modo di esprimersi.
Questi tre piani sembrano ancor più confermati dagli archivi di più recente acquisizione, fatte salve le dovute accortezze che Benedetta Tobagi segnala puntualmente nel loro utilizzo, permettendo da una parte di identificare la vicenda repubblicana italiana come un “unicum” (“la tragica specificità dell’Italia repubblicana” – p. 4) nel panorama occidentale. Un vero caso di studio per continuità stragista ma anche per estensione delle deviazioni, dei depistaggi e della “non ufficialità” di molte dinamiche, al punto di rendere la storia della costruzione e della stabilizzazione della democrazia in Italia un percorso difficile, condizionato dall’esistenza di un livello “altro”, nato allorquando la destra profonda del Paese di fatto non accettò quel patto costituzionale alla base della nascita della Repubblica, agganciando a questo rigetto sostanziale e non formale la lotta al comunismo interno e la gestione del potere.
Bibliografia
- De Lutiis, Giuseppe. 2010. I servizi segreti in Italia. Dal Fascismo all’intelligence del XXI secolo. Milano: Sperling & Kupfer.
- Di Cesare, Vittorio. Provvisionato, Sandro. 2004. Servizi segreti e misteri italiani: 1876-1998. Sesto Fiorentino: Editoriale Olimpia.
- Flores, Marcello. Franzinelli, Mimmo. 2024. Conflitto tra poteri: magistratura, politica e processi nell’Italia repubblicana. Milano: Il Saggiatore.
- Giannuli, Aldo. 2011. Il Noto servizio. Milano: Tropea.
- Giannuli, Aldo. 2012. Come i servizi segreti usano i media. Milano: Ponte alle Grazie.
- Giannuli, Aldo. 2018. Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo. Milano: Ponte alle Grazie.
- Mutti, Antonio. 2012. Spionaggio. Il lato oscuro della società. Bologna: Il Mulino.
- Limiti, Stefania. 2009. L’Anello della Repubblica. Milano: Chiarelettere.
- Pacini, Giacomo. 2014. Le altre Gladio: la lotta segreta anticomunista in Italia 1943-1991. Torino: Einaudi.