Andrew J. Romig, “Be a Perfect Man. Christian Masculinity and the Carolingian Aristocracy”, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2017, 253 pp.
Con questo suo primo libro, Andrew J. Romig, docente di storia medievale presso l’Università di New York, si propone di analizzare l’ideale maschile dell’aristocrazia franco-carolingia. Sulla scorta degli studi di Thomas F. X. Noble e Rachel Stone, l’autore evidenzia come l’auctoritas secolare carolingia fosse definita da un sistema di valori morali incentrati sulla caritas cristiana. Secondo Romig, è proprio il concetto di caritas a costituire il nucleo fondamentale attorno al quale si sviluppa il rapporto tra genere e potere durante l’età carolingia.
Il discorso, avvincente e scorrevole, è strutturato in cinque capitoli. Nel primo capitolo (The Authority of the Ascetic Male) è tracciato un excursus storico volto ad analizzare il concetto di caritas e del suo rapporto con l’autorità maschile nel pensiero cristiano dei primi secoli. Prendendo le mosse dalle riflessioni di Agostino d’Ippona, l’autore illustra come il termine caritas sia andato progressivamente ad associarsi all’autorità ascetica del monaco, grazie soprattutto all’influenza della Regula Pastoralis di Gregorio Magno.
Il secondo capitolo, significativamente intitolato Manifestos of Carolingian Power, mostra come il concetto cristiano di caritas si sia introdotto nel regno di Carlo Magno (768-814). Il primo testo “manifesto” preso in esame è l’Admonitio generalis del 789. La retorica biblica presente in questo famoso capitolare promulgato da Carlo Magno, in cui i Franchi sono denominati «nuovo Israele», aveva come scopo quello di unificare il popolo franco sotto una comune identità cristiana, il cui fulcro era proprio l’«amore verso Dio e verso il prossimo» (dilectione Dei et proximi), precetto che è riportato nel capitulum conclusivo del documento. Con l’Admonitio generalis l’identità franca e quella cristiana diventarono un tutt’uno, come chiaramente emerge da altri due testi analizzati da Romig nello stesso capitolo: si tratta questa volta di due trattati morali redatti da due dei maggiori esponenti dell’élite culturale politica franca, Paolino di Aquileia († 802) e Alcuino da York († 804). In questi due piccoli volumi, appartenenti al genere degli specula carolingi, gli autori adattarono l’ideale dell’auctoritas ascetica a un modello universale di potere rivolto a tutti gli uomini laici dell’aristocrazia franca.
Il terzo capitolo (Louis the Pious and the Manliness of Forgiving) si sposta cronologicamente in avanti, sotto il turbolento regno di Ludovico il Pio (814-840), erede di Carlo Magno. Qui Romig prende in esame la biografia dell’imperatore carolingio, redatta da un anonimo conosciuto come l’Astronomo. Scritta poco dopo la morte di Ludovico, l’opera presenta l’immagine di un sovrano la cui auctoritas secolare è basata sulla pietas. Ponendo l’attenzione su questo aspetto, Romig individua in Ludovico una figura chiave della concezione carolingia dell’autorità maschile, dove la misericordia e l’amore verso il prossimo costituivano un rimedio alla violenza e alle contese che imperversavano nel regno franco.
Nel quarto capitolo (Questioning Caritas in the Time of Troubles) l’autore indaga su come la concezione dell’uomo secolare carolingio fosse mutata sull’onda della dissoluzione del regno dopo la morte di Ludovico il Pio. Il capitolo si apre con il famoso Liber manualis di Dhuoda († 843 ca.) dedicato a suo figlio, Guglielmo di Settimania. Allo stesso modo dei primi specula carolingi, il manuale di Dhuoda pone al centro degli insegnamenti morali la caritas, intesa questa sia come amore verso Dio sia come amore reciproco tra gli uomini che costituisce la base della società e delle relazioni umane. In seguito, Romig passa ad analizzare il pensiero di alcuni autori quali Floro di Lione († 860) e Nitardo di Saint-Riquier († 845), i cui scritti rivelano una visione più pessimistica di fronte al fallimento morale dell’élite aristocratica e alla disgregazione dell’ormai lontano regno di Carlo Magno. Le guerre intestine avevano infatti provocato tra i membri della chiesa franca un generale sentimento di sfiducia verso i laici, e ciò spiegherebbe l’assenza, durante la seconda metà del IX secolo, di nuovi trattati morali destinati all’élite aristocratica. Romig individua altresì una seconda crisi, determinata dalle tesi predestinazioniste di Gotescalco di Orbais († 869), le quali sostenevano che la caritas derivava unicamente dalla Grazia divina e non dall’azione dell’uomo, minacciando di conseguenza i fondamenti dell’identità aristocratica carolingia.
Su questa scia, il capitolo finale (The Emergence of the Secular-Spiritual Hybrid) analizza i modi diversi di concepire l’auctoritas maschile durante i primi decenni del X secolo. In questo capitolo Romig si focalizza sulla Vita Geraldi di Odone di Cluny (927-942), primo testo agiografico che ha per protagonista un santo laico, il conte Geraldo d’Aurillac († 909). Redatta intorno al 930, questa agiografia presenta la vicenda di un potente aristocratico la cui condotta era improntata sulla soluzione ascetica della vita monastica. Secondo Romig, la Vita di Geraldo non sarebbe stata scritta con l’intenzione di proporre una possibile applicazione dell’ideale monastico a quanti vivevano nel secolo, come vari studi hanno rimarcato, bensì sarebbe stata destinata esclusivamente a un pubblico di religiosi; pertanto, i due concetti di caritas e auctoritas servono, in questo caso, ad affermare la superiorità della vita monastica su quella secolare.
In conclusione, attraverso un utilizzo intelligente delle fonti, il libro offre un’attenta analisi sulle definizioni identitarie del mondo carolingio e lo fa attraverso un approccio innovativo teso a presentare l’ideale maschile come il risultato di un processo storico e culturale. Romig riesce infatti a fornire degli ottimi spunti di riflessione su come i Carolingi concepivano l’autorità maschile spaziando dal capitolare di Carlo Magno ai rapporti tra laici ed ecclesiastici, dalla concezione della regalità alle controversie sulla predestinazione e ai modelli di santità, aprendo a nuove e interessanti prospettive interpretative. L’autore ha inoltre il merito di portare avanti un discorso di ampio respiro che non rimane circoscritto nell’ambito degli studi carolingi, ma che si inserisce nel ben più vasto panorama della storia di genere, rappresentando così un importante punto di riferimento anche per i non medievisti. Con questa monografia, infatti, Romig fa riflettere sui modi di costruzione identitaria, mostrando come il succedersi degli eventi storici abbia influenzato l’ideale virile dell’aristocrazia franca, e al contempo porta il lettore non specialista alla comprensione dell’età carolingia, dei suoi protagonisti e dei cambiamenti avvenuti nel X secolo.