La “grande domanda”
Nella nostra epoca, caratterizzata da una crescente smaterializzazione dei flussi globali, i geografi sono riusciti a rivitalizzare la loro disciplina spostando sempre più la ricerca sul funzionamento delle reti, in particolare informatiche, che hanno tolto importanza a fattori spaziali come distanza, estensione, prossimità. Nondimeno, anche dal punto di vista degli studi geografici più “tradizionali”, alcuni studi hanno riportato di attualità un concetto che ha attraversato per due millenni la storia della geografia: l’articolazione costiera dell’Europa, messa in relazione proprio al suo sviluppo economico.
Nel 1997 Jared Diamond, nel suo ormai classico Guns, Germs and Steel, propone una lettura comparata della forma del continente europeo e di quella della Cina, per affermare che la presenza in Europa di grandi isole come la Gran Bretagna, di penisole e di territori ben delimitati da ostacoli naturali, ha favorito la sua divisione politica in più stati indipendenti al posto della sottomissione a un unico potere centrale, come è stato invece in Cina dal XIV secolo. Questo stato di cose, favorendo la competizione fra vari principi, ha stimolato nel lungo periodo l’innovazione tecnologica, soprattutto in settori strategici per il potere e la ricchezza di uno Stato, come la navigazione e l’arte della guerra. Se la civiltà cinese arriva all’alba dell’età moderna con un potenziale superiore a quello europeo, il suo centralismo ne ostacola l’espansione con scelte isolazioniste. «L’Europa invece si ritrovò divisa in decine o centinaia di Stati indipendenti in continua competizione, che erano costretti ad accettare le innovazioni per poter sopravvivere: le barriere geografiche erano sufficienti a prevenire l’unificazione politica, ma non il passaggio delle idee. Nessuno mai in Europa poté spegnere la luce come in Cina» [Diamond 1997, 321].
Proponendosi a sua volta di rispondere alla Grand Question di Joseph Needham, arriva a conclusioni simili David Cosandey, che elabora una sua “ipotesi talassografica” per spiegare lo straordinario impulso dato dal continente europeo al progresso scientifico e tecnologico. Questa crescita dipende, secondo Cosandey, dalla compresenza di fattori quali una stabile divisione politica e una costante crescita economica, vantaggi di cui l’Europa ha goduto continuativamente per diversi secoli, a differenza delle altre macroaree alle quali viene confrontata, cioè Cina, India e Islam, proprio per la sua “talassografia articolata”.
La partie occidentale du continent européen, par sa silhouette, son profil côtier, sa thalassographie articulée, a poussé ses habitants à interagir sans cesse, tout en les empêchant de trop se nuire. Elle a leur garanti un commerce florissant et un ensemble d’États, toujours en conflit mais durables. C’est dans le dessin exceptionnel de son littoral que se trouve le secret de l’Occident, la clé de sa réussite extraordinaire [Cosandey 2007, 527].
Ancora più di recente lo studioso di relazioni internazionali Robert Kaplan ha parlato di “rivincita della geografia” sostenendo che per comprendere i mille conflitti etnici e identitari in corso nel mondo globale è necessario rimettere mano all’analisi della conformazione dei territori e della loro relazione coi popoli. Si citano in particolare la geostoria di Fernand Braudel e l’idea di heartland elaborata da Halford Mackinder [Kaplan 2009].
Ci troviamo di fronte, insomma, a spiegazioni di carattere prettamente geografico. Ci sembra dunque utile tornare alla formazione della geografia come scienza per capire meglio origine e portata di tali concetti nella storia di questa disciplina. Le due ipotesi chiave di questo articolo sono che il principio dell’articolazione costiera abbia una storia di lunga durata nel pensiero geografico e che viaggi parallelo ad un altro percorso, quello delle Geografie Universali, che dal XIX secolo, in area francofona, sono diventate un vero e proprio genere disciplinare [Tissier 2006].
Dall’antichità al XIX secolo
Il primo geografo che definisce l’Europa in base alle sue forme e ai suoi vantaggi naturali è Strabone, che mette in relazione la sua “varietà di forme” con la sua prosperità nei capitoli introdottivi dei diciassette volumi della sua Geografia di tutto l’Ecumene, ossia del mondo abitato, che parte dall’Europa per i motivi così esposti: «Cominciamo dall’Europa, per la varietà di forme, e la virtù degli uomini e delle forme politiche, e la grande disponibilità di beni, e poi è abitabile nella sua totalità» [Geografia, II, 5, 26]. Strabone utilizza alcuni esempi, come la Gallia Narbonese, in cui trova la presenza di condizioni favorevoli sia all’agricoltura sia alle comunicazioni e ai commerci, per tentare di stabilire principi di correlazione fra la configurazione dei territori e le popolazioni che li abitano. Attribuisce la fortuna di queste terre alla pronoia, un principio in virtù del quale coste, pianure e montagne non sono disposte a caso, ma secondo un disegno che sta al geografo comprendere. Questo colloca le scienze geografiche su un piano epistemologico molto elevato, che Strabone definisce proprio all’inizio della sua opera. «Nessuna scienza é affare di filosofi più della geografia» [Geografia, I, 1, 1]. E’ filosofo, e allo stesso tempo geografo, colui che è in grado di comprendere e svelare, nel senso platonico del termine, l’ordine del mondo.
La compresenza di diverse forme geografiche, per Strabone, è destinata a portare alla pace e alla prosperità. «L’Europa ha ricevuto dalla natura dei grandi vantaggi: essendo tutta disseminata di montagne accanto a pianure, dappertutto i popoli agricoltori e civilizzati vivono fianco a fianco con quelli guerrieri, ed essendo i primi più numerosi, la pace ha finito per prevalere» [Geografia, II, 5, 26]. Una pace garantita dall’Impero romano, di cui il geografo greco é un sostenitore e del quale spiega l’ascesa proprio con le felici condizioni geografiche della penisola italiana, discretamente protetta dalle invasioni grazie alle Alpi e al mare, ma allo stesso tempo dotata di buoni porti nel centro del Mediterraneo.
Questo antico autore vede uno straordinario ritorno di interesse presso i suoi eredi del XIX secolo, che traggono dai suoi Prolegomeni una serie di indicazioni metodologiche. Chi per primo e più sistematicamente recupera la sua eredità è Carl Ritter, che nell’introduzione alla sua Erdkunde propone una definizione della storia della disciplina che vede da una parte la geografia matematica e astronomica, il cui antesignano è Eratostene di Cirene. Dall’altra parte Erodoto e in seguito Strabone saranno i padri «de la histoire géographique et de la géographie historique» [Ritter 1974, 55], cioè il genere al quale si ricollega la sua geografia intesa come «sicuro fondamento delle scienze storiche» [Ritter 1822]. Anche l’altro grande esponente della geografia critica tedesca della prima metà del XIX secolo, Alexander von Humboldt, ha affermato che l’opera di Strabone «dépasse tous les travaux géographiques de l’antiquité» [Humboldt 1848, 226].
Ritter riprende proprio la pronoia straboniana in un suo scritto, molto noto nella versione francese del suo allievo Élisée Reclus, in cui studia «la configuration des différentes parties du monde ou individualités planétaires qui, sous l’influence des lois générales, et animées d’une force plastique particulière, se sont développées si diversement» [Ritter 1859, 254].
Il principio più importante esposto nello scritto è quello dell’articolazione costiera o litorale [Lefort 1994]. L’Europa, pur essendo meno estesa dell’Asia e dell’Africa, possiede uno sviluppo costiero in proporzione molto maggiore sia sul proprio versante mediterraneo sia su quello oceanico. Questo costituisce un vantaggio sia per le comunicazioni e i primi commerci storici, sia per la varietà di esperienze e di scambi consentite agli abitanti di questa parte del mondo. Mentre l’Asia, per le sue dimensioni e la ricchezza di aree come la Mezzaluna Fertile, poteva essere la culla dei primi passi della civiltà, l’Europa era destinata a trasmetterla.
L’Europe est le large prolongement de l’Asie centrale, mais plus elle s’avance vers l’ouest, plus elle se développe d’une manière indépendante ; elle dépasse relativement sa voisine d’Orient en richesse d’articulations et de chaînes de montagnes qui n’empêchent ni par leur hauteur, ni par leur étendue, aucune de ces parties différentes de communiquer entre elles. C’est ainsi que ce corps ouvert de tous les côtés et prédestiné par sa configuration même à son caractère civilisateur, a suivi un développement égal et régulier, et que l’harmonie de la forme triomphant des forces de la matière a donné à la petite Europe la prépondérance sur les grands continents [Ritter 1859, 259-260].
Un movimento che è tanto storico quanto geografico, perché corrisponde a uno spostamento dell’asse della civiltà, dunque dei temporanei “centri del mondo”, da sud-est a nord-ovest, dal Mediterraneo orientale all’Italia, prima con l’Impero Romano e poi ancora in parte, nel Medioevo, con le repubbliche marinare di Genova, Venezia e Amalfi. Il testimone passerà alla penisola iberica nel periodo delle scoperte geografiche, poi alle moderne talassocrazie oceaniche dell’Olanda e infine della Gran Bretagna. «La Grèce, la plus belle individualité de l’ancien monde, pouvait, à l’époque de sa grandeur, réclamer le titre de dominatrice d’une partie de la Méditerranée. Aujourd’hui le groupe des Iles Britanniques, le plus découpé et le plus riche en ports de l’Europe, s’est distingué entre toutes les nations» [Ibidem, 261]. Ci troviamo dunque di fronte a un tentativo di spiegare dinamiche territoriali e umane su quello che gli storici del secolo successivo avrebbero definito il “lungo periodo”.
Oltre a penisole e promontori partecipano a definire l’articolazione anche i sistemi insulari. La prima distinzione che fa Ritter è fra isole vicine e isole lontane. L’isola vicina favorisce gli scambi e i passaggi, e in questo senso l’Europa è avvantaggiata perché è fornita di questi sistemi sia nel Mediterraneo sia nell’Atlantico. «Le système insulaire de l’Europe se distingue avantageusement parmi tous les autres. Ses côtes et ses îles entourent le continent comme des satellites, et lui servent de stations, de prolongements océaniques» [Ibidem, 261].
Nell’estendere comparativamente questo principio ad altre parti del globo di cui non ci possiamo occupare in questo momento, è dichiarato il debito verso la geografia antica. «La remarque faite par Strabon, à l’occasion de la Sicile, que les articulations continentales, mais surtout les îles, étaient les parties du monde plus richement douées, se confirme complètement» [Ibidem, 262].
Le Geografie Universali
La Geografia di Strabone viene considerata un modello anche per un genere che avrà grande successo a partire dal XIX secolo: la Geografia Universale, il cui primo esponente in area francofona è Conrad Malte-Brun, autore dei Précis de Géographie Universelle [Malte-Brun 1810-1829].
Arguably, Strabo’s Geography is the earliest surviving example of a universal geography. It is also a work which Malte-Brun had read, which he cited and discussed in several of his most important publications (…) it will become clear as we explore a few of the most important universal geographies of the eighteenth and nineteenth centuries that both the tone and the form of the genre was already well established in Strabo’s geography [Godlewska 1999, 92].
E’ nella seconda opera di questa “serie”, la Nouvelle Géographie Universelle di Reclus [Reclus 1876-1894], che l’autore applica su vasta scala il principio dell’articolazione costiera, assumendo in primo luogo il concetto di “movimento storico” come relazione fra territori e storia delle popolazioni. L’autore fornisce dalle prime pagine la sua idea di pronoia, che si accompagna a un’interpretazione laica della teleologia di Ritter, che dava invece alla religione una forte centralità nel proprio discorso. Ciononostante, è grazie all’autore dell’Erdkunde che «nous savons que les continents, les plateaux, les fleuves et les rivages se sont disposés, non pas au hasard, mais en vertu des lois du mouvement, lois éternelles qui font graviter les astres autour des astres, les continents et les mers autour d’un axe central» [Reclus 1859, 241]. La teleologia di Reclus, che oltre a essere geografo è anche uno dei fondatori del movimento anarchico internazionale, non è più dunque legata a elementi religiosi o metafisici, ma alla scienza: bisogna ricordare che nella seconda metà del XIX secolo è proprio riferendosi alle scienze “positive”, dalla geologia di Charles Lyell alla biologia evoluzionista di Charles Darwin, che i liberi pensatori e gli intellettuali di tendenza socialista e anarchica tentano di sconfiggere i dogmi della religione.
Sull’articolazione costiera europea, in particolare mediterranea, è Reclus che trova alcune metafore per collegare questo concetto a quello di sviluppo umano e intellettuale, prendendole dalla geometria o dall’anatomia come prescritto tanto da Strabone quanto da Ritter. Ad esempio le isole e penisole dell’Egeo, che all’epoca dell’antica Grecia hanno visto la nascita della filosofia, sono definite «ces replis de cerveaux où s’élabore la pensée de l’homme» [Reclus 1876, 47]. Metafora che trova la sua continuazione nell’articolo Hégemonie de l’Europe, che individua anche su quali vie storiche siano passati in seguito i saperi. «Les voies historiques, sur lesquelles fluaient et refluaient les migrations et se propageaient les courants du commerce et de la pensée entre les peuples, eurent dans le grand organisme terrestre le rôle que prennent les filets nerveux dans le corps humain» [Reclus 1894a, 437].
Vie di comunicazione che dunque rendono la geografia mobile e in cui i centri nevralgici fanno come le popolazioni: possono spostarsi. Questo elogio di una varietà che è anche compenetrazione dell’elemento liquido e di quello solido cerca di assumere, partendo dal dato storico, la natura globale del funzionamento del mondo contemporaneo.
Bisogna considerare che alla forte “egemonia” europea dell’epoca, che ha risvolti economici e politici, come il colonialismo, criticati dal geografo, sono inscindibilmente associati nel suo pensiero anche i valori del pensiero “positivo” transitato dalla filosofia greca all’Illuminismo e culminato nella Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen, ritenuta da Reclus una delle basi per le successive idee socialiste.
Di qui l’idea del Mediterraneo antico come culla di tali idee affermata anche in altri articoli. «Dans la philosophie, dans la morale, dans la conception de la vie personnelle et collective, ils n’achevèrent leur œuvre que longtemps après ; c’est en exil, peut-on dire, que la Grèce rédigea le testament des siècles vécus par elle, et sa méthode d’enseignement pour les peuples à venir» [Reclus 1902]. Si arriva anche a fare un diretto parallelo fra le concezioni cosmopolite degli scienziati dell’antica Grecia e quelle dell’Internazionale dei Lavoratori:
Jamais le principe de la grande fraternité humaine ne fut proclamé avec plus de netteté, d’énergie et d’éloquence que par des penseurs grecs : après avoir donné les plus beaux exemples de l’étroite solidarité civique, les Hellènes affirmèrent le plus hautement le principe de ce que deux mille ans après eux on appela «L’internationale». Démocrite était «citoyen du monde» et Socrate, d’après la tradition, aurait déclaré que sa patrie était «toute la terre» [Ibidem].
Se le articolazioni dell’Egeo sono i circuiti cerebrali dell’umanità e l’hanno portata a queste prime conclusioni, allora possiamo individuare in Reclus un implicito collegamento fra le articolazioni costiere e le origini del pensiero anarchico, nel quale peraltro trovano un posto preponderante quelle autonomie cittadine di cui proprio la forma articolata del continente ha permesso il mantenimento in diverse epoche della sua storia.
Il principio dell’articolazione costiera e la ripresa straboniana permettono al geografo di definire non solo l’Europa, ma anche le sue suddivisioni interne. Nella sua geografia universale si distingue un’Europa orientale, pianeggiante e continentale, corrispondente al territorio allora sottoposto al dominio dello zar, al di là dell’istmo ponto-baltico. La parte occidentale del continente, mediterranea e oceanica, è definita invece come «l’Europe proprement dite, que Strabon qualifiait déjà de bien membrée» [Reclus 1880, 278].
Anche nella sua definizione dei concetti di Est e Ovest nel mondo antico [Reclus 1894b; Pelletier 2007], tale principio serve a individuare in maniera unitaria il bacino del Mediterraneo, attorno al quale gravitano le civiltà che Reclus definisce “occidentali”, considerando come Oriente vero e proprio solo le aree culturali indiane e cinesi, situate al di là dello spartiacque costituito dai deserti e dalle vette dell’Asia centrale.
Fra “scienza francese” e “scienza tedesca”
La terza delle grandi geografie universali francesi è la Géographie Universelle redatta, ormai in pieno Novecento, dagli allievi di Paul Vidal de la Blache [Gallois e Vidal de la Blache 1927-1948]. Anche se la storiografia disciplinare ha in passato contrapposto questo autore tanto a Reclus quanto ai geografi tedeschi, bisogna precisare che il padre della scuola francese della géographie humaine si forma a sua volta in questo clima culturale e i suoi testi, soprattutto i primi, lo dimostrano.
Vidal ha conosciuto bene le opere e gli allievi di Ritter durante i suoi soggiorni in Germania [Ahlbrecht 2006, 158-160] e dedica al geografo tedesco diverse citazioni. Alcuni elementi della comune matrice ritteriana di Reclus e Vidal sono sottolineati da Marie-Claire Robic quando scrive che i due
émettent des jugements semblables sur la variabilité historique des relations entre le hommes et le milieu. Ils rejoignent en cela le géographe allemand Carl Ritter, qui est leur commun inspirateur, non exclusif d’ailleurs : Reclus a été l’auditeur du cours de Ritter à Berlin et a traduit l’une de ses leçons (…) tandis que Vidal, lecteur de Ritter depuis ses premières missions de chercheur à l’École d’Athènes, s’en montre un connaisseur averti et n’hésite pas à lire les écrits de Reclus à l’aune des propos ritteriens [Robic 2009, 306-307].
Un altro dei comuni autori di riferimento è Strabone, che Vidal ritiene un’autorità insuperata ancora al tempo delle scoperte ed elaborazioni geografiche di età moderna, quando «ceux qui, d'après ces données, essayaient de retracer des tableaux ou des "miroirs" du monde, ne se montrent en rien supérieurs à Strabon» [Vidal de la Blache 1922, 4].
Inaugurando il suo primo corso di geografia all’università di Nancy nel 1873, Vidal dedica all’Europa la sua lezione d’apertura, perché é quella la parte del mondo dove si è sviluppata e continua a svilupparsi la “civiltà”. Il soggetto dell’interesse per il continente è un “noi” che si identifica con la nazione francese, che sta cercando, nei primi anni della Terza Repubblica, una sua collocazione tanto europea quanto mondiale dopo la dura sconfitta subita dalla Prussia nel 1870. «L’Europe est le théâtre sur lequel se jouent nos destinées, le principal marché qui s’ouvre à nos produits, l’objet par conséquent qu’il nous emporte le plus de connaître (…) L’Europe est aujourd’hui le foyer de la seule forme de civilisation qui ait le don de se propager en d’autres parties de l’univers» [Vidal de la Blache 1873, 2]. Vidal riconosce come principale originalità dell’Europa proprio l’articolazione: il suo doppio sistema di mari secondari o interni le garantisce, a sud come a nord, un livello di compenetrazione fra l’elemento liquido e quello solido di cui non dispone alcun altro continente. Nei successivi Principes de Géographie Humaine Vidal sottolinea maggiormente l’importanza del Mediterraneo, le cui penisole sono individuate come luoghi di crescita di popoli e civiltà che proprio a causa delle densità raggiunte hanno potuto espandersi tramite l’emigrazione.
On voit des îles, des articulations littorales, d’étroites bandes bornées par les montagnes, chargées d’une population surabondante, se défaire par l’émigration de ce surplus. Quelques-unes ont dû à cela un rôle qui a eu son importance dans la civilisation. C’est par la Phénicie, la Hellade, les îles de la mer Égée et de la mer Ionienne que la Méditerranée est devenue ce qu’elle reste dans l'histoire générale, un lieu de concentration et de syncrétisme de peuples [Vidal de la Blache 1922, 98].
Anche Vidal esprime la consapevolezza del valore epistemologico di questi principi: «Les considérations de Thucydide sur la Grèce archaïque, de Strabon sur la position de l’Italie, procèdent des mêmes exigences d’esprit que certains chapitres de L’esprit des lois ou de l'Histoire de la civilisation en Angleterre de Thomas Buckle. Ritter s’inspire aussi de ces idées dans son Erdkunde» [Ibidem, 5].
Nel più celebre dei suoi lavori, il Tableau de la Géographie de la France, il geografo cita il ruolo storico del frastagliamento costiero della costa meridionale della Bretagna nello sviluppo di una popolazione celtica di commercianti in epoca protostorica. «Rien de plus naturel que la formation d’une puissance maritime et commerciale à la proximité des gisements d’un minerai précieux, et sur une côte découpée, bordée d’îles, propice aux débuts de la navigation, comme celle qui s’étend entre Quiberon et Le Croisic» [Vidal de la Blache 1903, 21]. Simili considerazioni ritornano anche a proposito de litorale mediterraneo, nel capitolo in cui analizza la conformazione della costa provenzale. «Cette côte aux dentelures variées, fertile en articulations de détail, évoque le souvenir des temps anciens où aucune de ces anses n’était trop petite pour les navires, où chacun de ces promontoires servait de point de repère aux navigateurs, où ces découpures faciles à isoler et à défendre offraient aux commerçants ou aux pirates autant d’amorces pour prendre pied sur le littoral» [Ibidem, 344].
Bisogna fare notare che il francese, in questi passaggi, non sembra molto lontano da un geografo tedesco considerato generalmente fra i principali epigoni di Ritter: Friedrich Ratzel. Nella sua classica Anthropogeographie (la cui prima versione è del 1882) questi riprende il principio dell’articolazione costiera facendo importanti precisazioni e criticando lo stesso Ritter. Troviamo in Ratzel la preoccupazione di mantenere la ricerca su metodi che le scienze sociali odierne definirebbero “qualitativi” più che “quantitativi”. In particolare il geografo sostiene il concetto di posizione relativa in virtù del quale più della forma della costa è importante il territorio retrostante, perché questo può esercitare sul litorale un peso demografico più o meno considerevole. Non è dunque il numero, inteso come calcolo dello sviluppo costiero o proporzione fra articolazioni e corpo continentale, che dà senso alla ricerca, ma l’analisi della «relazione, che corre tra la superficie stabile della Terra e l’umanità che si viene mutando sopra di essa» [Ratzel 1914, 31].
Ratzel conferma da una parte il principio ritteriano della partecipazione delle isole al concetto di articolazione, affermando che «per determinare il valore storico delle coste occorre anche considerare se dinanzi ad esse vi siano oppure no delle isole» [Ibidem, 294]; dall’altra individua eccezioni a un’applicazione troppo rigida di tale metodo. Proprio in un articolo pubblicato in francese dalla rivista dei “vidaliani”, «Annales de Géographie», il geografo tedesco fa notare che la costa orientale della Corsica, storicamente in contatto con il litorale italiano e abbastanza lineare, è più sviluppata dal punto di vista del popolamento e dei commerci, «tandis que la côte abrupte appartient au versant qui tourne le dos à la civilisation» [Ratzel 1899, 322].
Ratzel propone alla teoria un’importante integrazione per cui i fiumi navigabili, soprattutto se dotati di estuari portuosi, costituiscono una vera estensione della linea costiera. «Il concetto dello sviluppo della costa deve trovare il suo complemento in quello dello sviluppo delle linee fluviali» [Ratzel 1914, 302]. Questa concezione non pare contraddire l’idea, espressa da Ritter e Reclus, di articolazione intesa come compenetrazione dei due elementi liquido e solido.
Conclusione
Abbiamo potuto vedere quanto sia necessaria per capire la geografia di questo secolo la ripresa straboniana, talmente forte che nel 1892 Marcel Dubois, mentre espone sulle «Annales de Géographie» molti dei concetti qui analizzati, ironizza sullo scivolamento di alcuni suoi contemporanei verso un’agiografia anacronistica del maestro di Amasea, sollecitando un maggiore sforzo critico. «Il est des géographes qui défendent l’arche sainte des souvenirs classiques avec une persistance excessive ; à les entendre, tout ce que Strabon écrivait au siècle d’Auguste resterait vrai sans exceptions ou à peu prés» [Dubois 1892, 132]. Non é che uno dei possibili esempi di quanto forte sia stata l’influenza degli autori dell’Antichità sulla geografia del XIX secolo, dalla quale del resto non sembra esente neppure l’ultimo autore citato.
Si resta infatti nell’ambito di una tenuta del principio dell’articolazione costiera, che solo nel secolo successivo, fra i geografi, comincerà a declinare in favore di analisi che si presumevano meno “deterministe” [Farinelli 1980]. Si possono prendere come una sintesi di questo secolo di geografia europea le considerazioni di un geografo molto vicino a Reclus, Léon Metchnikoff: «de K. Ritter et A. de Humboldt à leurs plus modernes continuateurs, les géographes ne se lassent point d’égrener le long chapelet des avantages sociologiques résultant, pour notre Europe, de l’articulation si parfaite de ses côtes» [Metchnikoff 1889, 64].
Possiamo dunque concludere che questo principio non solo ha una lunga storia in geografia, ma fino agli inizi del Novecento caratterizza autori legati a differenti “scuole nazionali”. Quelli che più di tutti hanno tentato di ragionare a scala globale, ossia gli autori delle geografie “generali” o “universali”, vi si sono dovuti immancabilmente confrontare.
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