Andrea Gamberini e Isabella Lazzarini (eds.), Lo Stato del Rinascimento in Italia. 1350-1520, Roma, Viella, 2014, 568 pp.
Traduzione italiana dell’edizione pubblicata nel 2012 per la Cambridge University Press, l’opera è ispirata al modello anglosassone del Companion to…: una miscellanea ragionata di saggi originali orientata, in prima istanza, a offrire al lettore una sintesi il più possibile aggiornata ed esaustiva sul tema in oggetto. La lettura di questo volume, in effetti, permette di immergersi nei più recenti orientamenti della storiografia italiana e internazionale sul tema dello Stato del Rinascimento. Categoria storiografica, quest’ultima, oggetto nel tempo di interpretazioni controverse, di recuperi e abbandoni, di letture a volte contrapposte.
Il corposo volume è composto di 24 saggi, divisi in due sezioni, che permettono di affrontare la questione dello stato rinascimentale italiano attraverso due strade.
Nella prima sezione sono raccolti i saggi che trattano singole conformazioni statuali, dipanandosi, da Sud della penisola, partendo dalle formazioni monarchiche, per arrivare al Nord alpino: il regno di Sicilia (F. Titone), il regno di Napoli (F. Senatore), il regno di Sardegna e Corsica (O. Schena), lo stato pontificio (S. Carocci), la Toscana fiorentina e senese (L. Tanzini), le signorie padane di Ferrara e Mantova (T. Dean), Venezia e la sua terraferma (M. Knapton), il ducato milanese (F. Del Tredici), i principati feudali pedemonatani (A. Barbero) e delle Alpi orientali (M. Bellabarba), infine Genova (C. Shaw).
Nella seconda invece il taglio è tematico, soffermandosi su «strutture e modelli» (13), e permettendo quindi analisi comparative più rapide e mirate: il ruolo delle città nelle formazioni rinascimentali (F. Somaini), le comunità rurali (M. Della Misericordia), il tema del «piccolo Stato» e del feudo (F. Cengarle), fazioni e partiti (M. Gentile), gli ordinamenti sociali (E. I. Mineo), il rapporto donne-Stato (S. Ferente), uffici e ufficiali (G. Castelnuovo), le scritture pubbliche (G. M. Varanini), i linguaggi politici (A. Gamberini), la diplomazia (I. Lazzarini), la storia economica (F. Franceschi e L. Molà), i rapporti tra stati italiani e papato (G. Chittolini), la giustizia (A. Zorzi).
Pur con diverse sfumature interpretative, tutti i saggi mettono in luce alcuni tratti caratteristici, che ben illustrano i risultati più recenti della riflessione storiografica: innanzitutto il costante riferimento a un «pluralismo» di soggetti politici all’interno delle singole conformazioni, che pervade tutto il volume, e che, lungi dal sottostare a giudizi di antagonismo rispetto alla formazione di uno stato moderno ideal-tipico, come avvenuto nella storiografia anche abbastanza recente, rivela la ricchezza di esperienze e di sperimentazioni. Un particolarismo, inoltre, che non viene letto dagli autori come frammentazione e irriducibilità a un linguaggio comune, ma che conferma quanto numerosi studi hanno messo in luce negli ultimi decenni: lo Stato del Rinascimento non è un «semplice momento» nella transizione dal particolarismo medievale allo Stato moderno di ispirazione assolutistica, e al contempo, lo sottolineano i curatori nell’Introduzione, può essere solo in parte ricondotto al modello fornito da F. Chabod alla fine degli anni ’50 del Novecento. Quelle caratteristiche, infatti (la burocratizzazione, la presenza di officiali, il processo accentratore) possono ritrovarsi espresse, spesso accennate, nell’evoluzione dei diversi stati presi in considerazione, ma mai in senso «progressivo» verso il modello moderno, né tanto meno in senso assoluto: lo Stato cui ci si riferisce, sottolineano i curatori, «non si riduce ai soli principati, regni, repubbliche, vale a dire al quadro formale dell’autorità e del potere: l’enfasi al contrario si pone sull’azione reciproca di tutte le varie forze politiche esistenti e sul complesso tessuto della loro interazione» (12). Lo Stato del Rinascimento, dunque, è categoria che gode di una propria legittima autonomia e i saggi qui raccolti ne mostrano le potenzialità e ne giustificano l’assunzione a paradigma.
L’altro tema storiografico che percorre l’intera raccolta è quello urbanocentrico, da sempre centrale, in positivo o in negativo, nella riflessione storiografica italiana che, nello sviluppo cittadino, ha spesso individuato un fil rouge identitario e nazionale. A lungo considerato il luogo politico esclusivo dello sviluppo dello stato rinascimentale, una linea storiografica recente ha messo in dubbio il ruolo “monocratico” dell’ambiente cittadino nel “politico”, ponendo sempre più in luce il ruolo sui protagonisti non urbani del dialogo politico dal basso medioevo in poi. Soprattutto in questo ambito, mi pare, emergono, nel complesso dei saggi raccolti, quelle differenti interpretazioni che i curatori sottolineano, giustamente, essere salutari (13): trasversalmente alle due sezioni del volume, infatti, alcuni autori hanno privilegiato una lettura destrutturante della «Italia delle città», altri, con diverse sfumature, hanno invece ribadito, anche alla luce di queste interpretazioni più recenti, un ruolo centrale e forse prioritario – pur non più unico – del mondo urbano nello sviluppo politico dell’epoca. Anche seguendo la chiave di lettura urbana, dunque, emerge un panorama variegato dell’Italia politica rinascimentale.
Che è, credo, il merito principale di quest’opera (nonché uno dei suoi scopi dichiarati): offrire una visione di insieme della particolarità, della ricchezza, del pluralismo di esperienze e di escamotage, di attori e di linguaggi, operanti nell’Italia del Rinascimento. Una complessità che se non può dare origine a una ipotetica, e desueta, reductio ad unum, non deve neppure essere tradotta o interpretata come particolarismo, concetto foriero di giudizi negativi prospettati dal pulpito di un ideale Stato Moderno.