Nel volume curato da Chris Hann e Keith Hart, l’attualità del pensiero di Karl Polanyi viene discussa lungo un percorso che, di saggio in saggio, ne illustra da un lato consonanze e dissonanze rispetto a un vasto campo di pensatori, tra i quali Marx, Weber, Durkheim, Mauss, Gramsci, e dall’altro la pertinenza rispetto a una serie di contesti storici ed etnografici, che vanno dal caso dell’embedded socialism nello Xinjiang (Hann) alla composizione del prezzo della benzina in Nigeria (Guyer).
Market and society: The Great Transformation Today consta di 14 contributi, dei quali i primi quattro (Gudeman, Beckert, Steiner e Servet) toccano questioni di carattere teorico dal punto di vista dell’antropologia, della sociologia e dell’economia, mentre i restanti capitoli possono essere suddivisi tra quelli che offrono delle sintesi storiche e etnografiche di ampio respiro (Hart, Graeber, Gregory e Spittler) e quelli che discutono Polanyi a partire da specifiche analisi etnografiche (Parry, Guyer, Alexander, Carrier e Hann). Nella maggior parte dei casi si registra una parziale presa di distanza da Polanyi, accompagnata però dalla condivisione di un atteggiamento ostile nei confronti del «fondamentalismo del Mercato».
Coerentemente con l’obiettivo di far luce sulla legittimità delle pretese universalistiche delle scienze economiche occidentali e sulla possibilità di conciliare interessi privati e interessi pubblici, diventa fondamentale chiedersi quanto l’economia possa essere trattata come oggetto isolato. Per questa ragione, la lista degli autori coinvolti nella raccolta non fa che esplicitare i propositi multidisciplinari di Hart e Hann, con l’intenzione dichiarata di fare tesoro del carattere sfumato dei confini tra i saperi accademici: accanto a esponenti dell’antropologia economica, dunque, sono stati chiamati a contribuire due sociologi (Jens Beckert e Philippe Steiner) e un economista (Jean-Michel Servet).
Confermando quanto inteso da Polanyi con la nozione di «doppio movimento», la globalizzazione dei mercati è accompagnata dall’emergere di una tendenza comparabile nei movimenti sociali. La società sta oggi cercando di proteggere se stessa non tanto attraverso i sindacati di livello nazionale, quanto attraverso reti transnazionali di attivisti. La comprensione delle mutevoli forme istituzionali dell’interdipendenza tra mercati globali e società civile globale è il compito che Hann e Hart attribuiscono all’antropologia economica. Questa propone una nozione di «economia con persone al suo interno», ponendo attenzione da un lato a ciò che persone in carne e ossa fanno e pensano, essendo inserite in economie dominate da organizzazioni di vasta scala ma mantenendo comunque uno spazio di azione e autoorganizzazione, e dall’altro a una storia universale dell’umanità costruita attraverso esempi tratti da ogni spazio e ogni tempo.
Rendere in questa sede la ricchezza dei contributi è impossibile. Per citare solo tre esempi, Catherine Alexander analizza la divergenza tra una retorica pubblica che vuole sganciare la società britannica dall’intervento statale e la profonda incidenza sulle attività del «terzo settore» da parte delle relazioni contrattuali con lo stato, mentre James Carrier illustra la centralità apparentemente ineludibile dei fattori economici nella conservazione ambientale in Giamaica, e Jonathan Parry utilizza un’etnografia dell’attività sindacale in India per rileggere la convergenza tra il pensiero di Polanyi e quello di Gramsci, mettendo in luce come le politiche sindacali riflettano divisioni strutturali tra lavoratori che sono state create dallo stato attraverso la legislazione sul lavoro.
Come chiarisce Don Robotham, nella postfazione, per sintetizzare la posizione dominante nel volume, tutte le economie si compongono degli stessi elementi, lo «scambio» e la «base» (intesa come contesto istituzionale), che storicamente si sono combinati e continuano a combinarsi in forme e con risultati variabili. Le economie non embedded non esistono se non in un rapporto dialettico con le economie embedded, e viceversa (Gudeman). Neanche le prime possono fare a meno della reciprocità, ma la nascondono e la mistificano, cancellano la loro contingenza e minano alle basi la loro stessa esistenza espandendo il mercato e appropriandosi degli spazi della reciprocità da cui dipendono.
Una volta accertato che non esiste una pura economia della mutualità né una pura economia dello scambio di mercato, una rigida applicazione della periodizzazione polanyiana sembra non reggere. Questo però non destituisce di fondamento La grande trasformazione, come dimostrano le brillanti analisi scaturite dalle «meditazioni polanyiane» contenute in questo volume: dopo aver esplicitato qualche divergenza rispetto a Polanyi, Keith Hart sottolinea che his time as a prophet is yet to come.