Con crescente frequenza, nel dibattito pubblico odierno si fa ricorso alla categoria di “emergenza” per definire una molteplicità di fenomeni politici, economici, sociali, climatici, biologici. Ormai qualsiasi tipo di contingenza può assumere la fisionomia di un fatto eccezionale, che esula dalla “normalità”, infrange l’ordine costituito e minaccia il benessere della collettività, se non addirittura la sua sopravvivenza, e che rende così legittimo il ricorso a misure straordinarie di intervento. Quando una particolare circostanza viene presentata e/o percepita come un pericolo incombente, generale e potenzialmente letale, l’autorità è di fatto legittimata a intervenire con ogni mezzo a disposizione per risolvere il problema, operando nel nome del “bene comune”. In questo senso, a prescindere dalla sua effettiva o presunta pericolosità, l’“emergenza” è anche una fonte di sovranità: si può esprimere attraverso una legislazione dedicata o una serie di misure governative ad hoc.
Ma stabilire quale contingenza costituisca davvero un’emergenza e quale no è fondamentalmente una decisione di ordine politico-culturale. In alcuni casi, può essere un’intera comunità a considerare emergenziale una determinata situazione. In altri, l’emergenza è percepita come tale soltanto da una minoranza, può originare cioè dalle preoccupazioni di segmenti sociali che si sentono minacciati nella loro esistenza o prospettive di futuro. Se dalla società possono provenire allarmi su situazioni, problemi o circostanze percepiti come emergenziali, di solito però lo stato di emergenza è proclamato dallo Stato, o comunque da un soggetto istituzionale che detiene il potere politico. Molto spesso inoltre, almeno nelle società contemporanee, è il sistema dei media a esercitare un ruolo cruciale nel diffondere l’idea dell’emergenza, producendo una sorta di triangolazione tra discorso mediale, opinione pubblica e sfera politica, che tende a rafforzare la percezione dell’urgenza. In breve, le situazioni emergenziali possono manifestarsi in forme e modi molto diversi. Tuttavia, è sempre l’interazione tra vari fattori politici e culturali a determinare l’“emergenza”, e quindi a predisporre le condizioni per interventi “eccezionali”, siano essi governi o legislazioni speciali.
Se oggi queste condizioni straordinarie sono frequentemente evocate, la gestione politica dell’emergenza con strumenti che eccedono l’amministrazione ordinaria è esperienza comune in tutte le cronologie storiche. Naturalmente, più si allarga la scala temporale e spaziale, più le variabili contestuali rendono estremamente differenti i singoli casi. Ciò non toglie però che le costruzioni retoriche e le decisioni politiche volte a legittimare queste forme di interruzione dell’ordinaria dialettica tra cittadini e governanti, mutando i rapporti fra le istituzioni e la società civile, paiono avere caratteristiche comuni a dispetto delle epoche diverse: prima fra tutte, l’appello alla pace sociale e a un bene collettivo non politicamente contrattabile. La sospensione dei conflitti e l’inibizione del dissenso sono perciò tra i primi effetti riscontrabili in pressoché tutte le esperienze storiche di questo tipo.
Inoltre, di fronte a situazioni di emergenza – siano esse oggettive oppure rappresentate e costruite come tali – la necessità di serrare le file del corpo sociale è stata spesso occasione per cambiamenti radicali – talvolta temporanei, talvolta no – nei sistemi di governo, nell’organizzazione degli strumenti e delle forme dell’intervento volto ad affrontare l’urgenza. In alcuni casi, la situazione di emergenza è stata occasione anche per decidere e imporre profondi cambiamenti negli ordinamenti di giustizia, nelle regole per l’esazione fiscale o nella costituzione stessa del corpo politico coinvolto, una serie di imposizioni favorite dall’inibizione del dissenso nel nome del “bene comune”. In altri casi, l’emergenza ha teso a insinuarsi in una nuova normalità, attraverso il mantenimento nella vita quotidiana di misure di intervento adottate nell’affrontare una situazione emergenziale anche dopo il suo superamento. Basti pensare alla normalizzazione del ricorso a strumenti di sorveglianza di spazi pubblici nell’Europa degli ultimi decenni, preoccupata di prevenire e controllare potenziali minacce di attacchi terroristici, alle misure straordinarie introdotte nel settore dei trasporti aerei dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, così come alla regolamentazione degli accessi a istituzioni pubbliche di rilevanza internazionale o a luoghi di culto considerati vulnerabili.
Il dossier si propone di analizzare come stati di emergenza e governi di garanzia abbiano attraversato la storia nel lungo periodo, cercando di porre in risalto le similitudini retoriche e concrete nelle diverse modalità di costruzione dell’emergenza, senza tuttavia trascurare le peculiarità determinate dalla specificità dei contesti socio-politici osservati. Nel complesso, i contribuiti qui raccolti intendono affrontare sia le elaborazioni concettuali, gli usi del lessico e le costruzioni simboliche che nel corso del tempo hanno accompagnato i discorsi sull’emergenza, sia l’analisi storica di casi di studio specifici, distribuiti su una lunga cronologia, avvalendosi anche di letture complessive del fenomeno da parte di altre discipline (pensiero politico, antropologia, sociologia).
L’analisi critica e la riflessione sull’evoluzione storica delle categorie concettuali di stato di diritto, stato di emergenza e stato di eccezione offerte da alcuni contributi, portano alla luce convergenze significative nel discorso teorico di epoche diverse, così come permettono di evincerne le divergenze profonde, che emergono specialmente dalle fonti che testimoniano interventi consapevolmente critici sull’impiego di tali concetti, presenti in maniera difforme nelle diverse cronologie. In tal senso, per esempio, le pratiche retoriche e le narrazioni volte a legittimare il governo dei “migliori” svelano, nella loro lunghissima tradizione, l’uso strumentale e semplificato cui spesso vengono piegate. I saggi invece maggiormente ancorati a specifici casi di studio contribuiscono a chiarire i meccanismi e le pratiche che hanno portato all’affermazione provvisoria di poteri “supplenti”, che andavano – e vanno – a garantire l’ordine costituito al di fuori dalle regole consolidate del gioco politico, nel momento in cui esse entrano in crisi, ciò che normalmente di intende con l’espressione “governo di garanzia”. In alcuni casi, poi, si osserva la trasformazione di politiche congiunturali e transitorie in nuove forme di ordine permanente, soprattutto in ambito fiscale o di mantenimento dell’ordine pubblico, e per quanto attiene alle disposizioni, originariamente provvisorie ed eccezionali, volte a rispondere alle catastrofi naturali.