La notte del 24 agosto 1572, la città di Parigi fu protagonista di uno degli episodi di violenza più tristemente noti tra quelli che insanguinarono la Francia durante le guerre di religione della seconda metà del XVI secolo. Il popolo parigino, intimamente pervaso dal sentimento di eseguire un comando imperativo di Dio [1], si rese responsabile di un incontrollato massacro di ugonotti presenti in gran numero nella capitale del regno per assistere alla celebrazione del matrimonio pacificatore tra Margherita di Valois e Enrico di Navarra. Nella notte di San Bartolomeo, le strade della città fecero da scenario al feroce accanimento dei cattolici sui corpi degli eretici, come illustra magistralmente l’immagine tratta dall’anonimo manoscritto cinquecentesco intitolato De Tristibus Galliae carmen [2].
Le 39 tavole che corredano questo poema in latino di circa 3000 versi, offrono una preziosa sintesi figurativa dei comportamenti rituali della violenza messi in atto, nel corso dei conflitti religiosi francesi, tanto dai protestanti quanto dai cattolici. L’autore delle immagini, presumibilmente dipinte nel penultimo decennio del XVI secolo, ha infatti scelto di costruire questo pamphlet di propaganda cattolica attraverso alcuni episodi di violenza sacrale. La carne del nemico, martoriata attraverso le torture più fantasiose, bruciata, flagellata, purificata, ma soprattutto esibita in tutta la sua esplicita peccaminosità, manifesta simbolicamente le colpe della comunità intera: l’eretico, reo di avere attirato sulla Francia le peggiori sciagure, non merita neanche la pace eterna di una sepoltura e attende l’ormai imminente venuta di un Dio implacabile e vendicativo.
Il ricorso a tali pratiche, sempre più efferate, di tortura e profanazione del corpo, può essere compreso alla luce degli studi condotti da Denis Crouzet sui riti della violenza nell’ambito della cosiddetta cultura dell’angoscia [3] propria della prima metà del ’500. Il periodo che precedette l’inizio delle guerre di religione fu permeato dal sentimento collettivo che l’umanità si fosse macchiata di tali e tanti peccati che la punizione divina non avrebbe tardato ad abbattersi su di essa. Le tracce dell’imminenza della fine, interpretate dai predicatori e riportate da almanacchi e pamphlet, fomentavano il panico escatologico. La diffusione delle dottrine calviniste cominciò ad essere interpretata come il segno tangibile della maledizione scagliata da Dio sul regno di Francia, ma nello stesso tempo la presenza sempre più crescente di ugonotti fu vista dai cattolici come il mezzo per poter ricongiungersi a Dio nella violenza che egli aveva profetizzato di dover compiere sui corpi dei suoi nemici[4]. Uccidendo e massacrando gli eretici, ogni fedele poteva sperare nella propria salvezza ed elezione presso Dio.
Dietro il tentativo di inscrivere materialmente sul corpo dell’eretico la manifestazione della sua colpevolezza si celava quindi la proiezione di una soffocante angoscia personale, acuita dalla consapevolezza dell’approssimarsi del Giudizio divino. Ogni esercizio, discorso o rappresentazione della violenza può quindi essere inteso come una manifestazione contingente della considerazione sacrale, e al tempo stesso salvifica [5], della violenza stessa di fronte all’inquietante consapevolezza dell’ineluttabilità della propria fine. In tal senso, le differenze comportamentali manifestatesi nell’esercizio dei riti sacrificali possono essere interpretate come l’espressione di un diverso atteggiamento di cattolici e protestanti nei confronti dell’idea della morte. Nelle violenze commesse dagli ugonotti è possibile ravvisare una riproposizione, in chiave sarcastica e chiaramente denigratoria, dei comportamenti rituali messi in atto dai cattolici durante la celebrazione dei sacramenti e di tutte le pratiche legate al passaggio dell’individuo nell’aldilà [6]. I riformati non temevano il passaggio dalla vita alla morte, quanto piuttosto l’ira divina di fronte alla presunzione della Chiesa di Roma di gestire la devozione dei fedeli.
Dietro questi comportamenti rituali si celava un rifiuto volontario e puntuale di tutta la simbologia cattolica. In particolare, gli ugonotti si accanivano contro tutto ciò che ricordava loro la volontà della Chiesa di frapporsi fra l’uomo e il divino, causa di una frattura nel rapporto d’amore esclusivo fra l’individuo e Dio.
Se i protestanti mettevano in scena il rifiuto dell’apparato liturgico e la volontà di ristabilire un rapporto sincero con il divino, i cattolici teatralizzavano invece la paura dell’approssimarsi dell’incontro con Dio. È infatti possibile riconoscere, negli episodi di violenza in cui i carnefici sono i fedeli di Roma, una sorta di rappresentazione dell’apocalisse, una vera e propria messa in scena del Giudizio divino e di tutte le sue conseguenze [7]. Le vittime della violenza cattolica subivano, all’atto della morte, tutte le pene che sarebbero state inflitte loro nell’aldilà, secondo il principio del contrappasso; esse venivano marchiate con segni di possessione infernale, sistemate in pose oscene che ne rendessero evidentemente manifesti i peccati carnali più orribili. I cadaveri venivano deformati, trattati come carcasse di animali, allontanati simbolicamente dalla loro dimensione umana perché loro stessi si erano irrimediabilmente compromessi mentre erano ancora in vita. La rappresentazione della strage di San Bartolomeo contenuta nel De Tristibus mostra alcuni dei comportamenti rituali della violenza cattolica: i protestanti vengono legati e trascinati, i cadaveri vengono caricati sui carri, come carcasse di animali appunto, e gettati nella Senna. La disumanizzazione del corpo dell’eretico caratterizza tutte le tavole del manoscritto: gli ugonotti sono infatti ritratti sempre in veste di scimmia, ma con abiti e atteggiamenti umani.
Nelle immagini del De Tristibus che raffigurano i riti della violenza protestante, gli episodi di iconoclastia e di accanimento sul corpo dei cadaveri compiuto dai seguaci di Calvino vengono messi in relazione, più o meno esplicitamente, con l’avvento imminente dell’apocalisse. In alcune illustrazioni, la scelta del soggetto narrativo cade su quegli avvenimenti che nel XVI secolo venivano letti ed interpretati come presagi dell’imminenza del giudizio divino. Una tavola ha per oggetto un forte terremoto ed una tempesta violenta, un’altra mostra una scena di follia, un’altra ancora rappresenta la visione apocalittica di una battaglia fra due eserciti celesti. Un’immagine mostra l’epifania di una Madonna con bambino.
In queste tavole, il pittore sfrutta una serie di artifici compositivi per veicolare la fruizione degli eventi raffigurati e impedirne una libera lettura. Nelle modalità rappresentative degli atti di profanazione dei cadaveri e di accanimento sul corpo dei membri del clero, la manipolazione del meccanismo enunciativo [8] a scopo propagandistico risulta più accentuata. L’autore delle immagini utilizza le potenzialità comunicative dell’enunciazione figurativa per condannare non solo il comportamento degli ugonotti, ma tutto quanto il culto protestante.
La tavola che apre il De Tristibus, un’allegorica rappre-sentazione della presa della città di Lione nel 1562, sfrutta un episodio realmente accaduto per ridicolizzare l’atteggiamento dei riformati nei confronti del rito dei sacramenti. Questa prima immagine ha consentito al curatore dell’edizione ottocentesca, Lèon Cailhava [9], di avvicinare il De Tristibus ad altri due pamphlet [10] pubblicati nella seconda metà del XVI secolo a Lione, e sostenere quindi una presunta origine lionese del manoscritto da lui dato per la prima volta alle stampe nel 1840. I frontespizi dei due libelli, infatti, per contenuto ed impostazione figurativa, sono praticamente identici alla tavola che apre il De Tristibus. I protestanti vi sono raffigurati in veste di scimmie nell’atto di cavalcare e domare un leone, evidente simbolo della città e della Francia intera sotto il giogo dei riformati. Sulla sinistra, alcuni soldati-scimmie sono intenti ad ascoltare rapiti una sorta di predica di fronte ad un pulpito improvvisato, mentre altri si allontanano carichi di oggetti preziosi, forse sacri, frutto del saccheggio della città. Sullo sfondo, infine, alcuni protestanti torturano sadicamente un crocifisso.
La scelta di inserire nella tavola quest’ultimo motivo iconografico estraneo all’evento rappresentato, ma perfettamente decodificabile, offre a chi osserva l’immagine una duplice possibilità di lettura: il pittore può avere rappresentato, attraverso la messa in scena allegorica di un episodio realmente accaduto, una parodia della celebrazione del sacramento eucaristico. In tal senso, la predica dal pulpito e la scimmia che regge un calice molto simile a quelli usati durante la Messa, possono essere considerate come simboli di alcuni momenti della celebrazione dell’eucarestia, che ha il suo culmine, appunto, nella crocifissione. Il pittore può quindi avere scelto di inserire una serie di oggetti emblematici avulsi dal contesto e una piccola citazione dal repertorio canonico dell’iconografia cristiana, allo scopo di svelare il reale significato dell’immagine. La prima tavola del De Tristibus può essere dunque interpretata come una messa in scena della tanto dibattuta questione della transustanziazione. L’autore ha deliberatamente attribuito ai calvinisti il comportamento che questi ultimi denunciavano nei cattolici: gli ugonotti ritenevano che la celebrazione stessa del rituale dell’eucarestia fosse un’accozzaglia di gesti scimmieschi, ridicoli e chiassosi; d’altro canto, anche i fedeli di Roma accusavano i riformati di “scimmiottare” la fedeltà a Dio [11].
La scelta della scimmia come animale simbolo per rappresentare gli ugonotti, sembra avvalorare l’ipotesi secondo la quale la presa di Lione nasconderebbe una celebrazione del rito di dissacrazione parodistica dell’eucarestia attraverso il quale i protestanti manifestavano il loro rifiuto nei confronti di tutto l’apparato rituale del culto cattolico. Al di là, infatti, dell’interpretazione etimologica della parola huguenaux come una storpiatura del termine francese guenaux che indica una razza di scimmie, è molto più probabile che la scelta dell’animale, in questo caso, sia dovuta ad altri motivi. Il pittore può avere infatti volutamente rappresentato gli ugonotti proprio nella veste di quell’animale che i protestanti avevano scelto per denigrare i sacerdoti cattolici intenti a celebrare la Messa [12].
Nelle immagini del De Tristibus l’autore ricorre più volte a questa forma di ribaltamento, attribuendo agli ugonotti dei comportamenti che erano invece considerati come parte integrante della violenza cattolica. La tavola che ha per oggetto la descrizione di alcuni atti di violenza protestante durante la presa della città di Nîmes mostra, per esempio, una commistione fra i diversi rituali dei cattolici e dei riformati. Il pittore rappresenta, accanto all’impiccagione di un frate, la profanazione di un cadavere le cui viscere vengono date in pasto ad un cavallo. Sulla destra, un uomo legato a due maiali, viene presumibilmente trascinato per la città come una bestia. Se l’accanimento dei riformati sul corpo dei membri del clero rientrava perfettamente nelle dinamiche della violenza protestante, al contrario l’utilizzo degli animali per le torture e la scelta stessa di trattare il corpo dei nemici alla stregua delle carcasse delle bestie, apparteneva alla ritualità dei cattolici [13].
Nella stessa figura l’autore inserisce in alto a sinistra una piccola apparizione di una Madonna con bambino. La scelta di posizionare l’epifania al termine della diagonale che incrocia il cattolico sottoposto a torture e il frate impiccato, può essere indice di una precisa volontà del pittore di sottolineare il percorso che il fedele compie dopo la morte: questa immagine può dunque essere letta come una rinnovata affermazione del ruolo di mediazione attribuito dalla Chiesa di Roma al clero, ai santi e alla Madonna e come una manifestazione della presenza divina anche nel martirio.
Nel De Tristibus si trovano molte altre tracce della volontà di rappresentare la manifestazione divina nelle vicende del regno francese: una tavola mostra una città sconvolta da piogge di sassi e terremoti, con chiese che crollano e cadaveri sparsi ovunque, una sorta di visione escatologica babilonese. Un’altra propone la rappresentazione di una battaglia fra due eserciti celesti. Infine, anche la tavola dedicata alla morte di Carlo IX, e quella che ha per oggetto un episodio di follia, possono essere interpretate come consapevoli trasposizioni iconografiche dei segni dell’ira divina.
L’illustrazione che mostra una città investita da tempeste e terremoti, può essere letta come una rappresentazione simbolica della diffusione di un’epidemia di peste, un altro dei flagelli che i cattolici interpretavano come manifestazioni della volontà punitiva di Dio. Gli strali e le fiamme che escono dal cielo, infatti, oltre ad essere una chiara rappresentazione di tuoni e lampi, corrispondono perfettamente, forse non a caso, ad una delle iconografie elaborate nel ‘300 e poi perfezionate nei secoli successivi, per indicare appunto il contagio della peste [14].
L’aver inserito nel manoscritto una tavola che ha per oggetto dei catastrofici sconvolgimenti climatici non sembra lasciare dubbi circa la volontà del pittore di voler costruire, attraverso le immagini del De Tristibus, una sorta di catalogo dei segni dell’approssimarsi della fine: temporali, terremoti, la morte di un sovrano e le visioni apocalittiche, sembrano dare una forma contingente a quel pensiero escatologico che tanto affliggeva i fedeli di Roma e che, proprio per la sua natura opprimente, veniva teatralizzato in ogni rituale della violenza cattolica. Le scelte compositive di queste immagini contribuiscono a rafforzare tale ipotesi: il pittore ha veicolato, anche in questo caso, la fruizione delle scene attraverso un abile accostamento delle tavole, ordinate secondo una successione non solo cronologica ma anche funzionale alla propaganda cattolica. L’osservatore è implicitamente condotto ad attribuire la colpa dell’ira divina e della sue manifestazioni catastrofiche all’eresia protestante.
La volontà coercitiva dell’autore appare più evidente nell’ultima parte del manoscritto che si apre con la rappresentazione di una strage compiuta dai protestanti; a questa seguono l’illustrazione che ha per oggetto la città sconvolta dalla tempesta e la tavola che mostra la visione apocalittica di una battaglia celeste. Vi è, in quest’ordine, una sorta di crescendo della tensione generato in primo luogo dalla scelta dei soggetti rappresentati che esulano, almeno in parte, dal tema delle guerre di religione. La successione delle immagini sembra voler suggerire come la barbarie protestante porterà distruzione e morte nel regno di Francia e condurrà così alla fine del mondo.
Per accompagnare il fruitore della sua opera nella lettura delle immagini, l’autore introduce inoltre una sorta di commentatore interno al quadro [15], una metafigura sovradimensionata che funge da mediatore fra lo spazio del libro e quello della realtà. Nella tavola che illustra una strage operata dai protestanti, campeggia sulla sinistra un’enorme figura femminile, armata come un soldato, che indica la scena con un gesto perentorio della mano. In effetti, questo personaggio sembra voler accompagnare lo sguardo dello spettatore, per mezzo di una mano di dimensioni gigantesche, verso la scena della battaglia. La donna è totalmente estranea alla narrazione, appartiene addirittura ad un altro spazio fisico che sconfina nella dimensione dello spettatore. Con analogo artificio retorico, nella rappresentazione della notte di S. Bartolomeo il pittore inserisce un altro delegato dello spettatore, un mediatore in abiti da pellegrino, forse proprio lo stesso San Bartolomeo. Le due figure, entrambe a lato degli eventi, sono costruite per fornire all’osservatore la chiave di lettura dell’immagine. La donna armata addita la violenza protestante, una violenza di offesa; San Bartolomeo introduce lo spettatore alla violenza cattolica, giustificata implicitamente come espressione della volontà di Dio.
Il santo interpreta dunque una ruolo di mediazione fra il fruitore dell’immagine e la scena raffigurata. Egli può rappresentare il ruolo mediatore dei santi nel rapporto fra l’uomo e la sfera del divino e, al tempo stesso, fornire una legittimità alla strage di San Bartolomeo. Il gesto perentorio della donna armata non introduce solo alla violenza della battaglia rappresentata, ma anche alle immagini successive. Il fruitore delle illustrazioni seguenti, che hanno per oggetto la città distrutta e la visione celeste, è obbligatoriamente costretto a mettere in relazione la violenza protestante e la diffusione dell’eresia con l’avvento dell’apocalisse. Il pittore, quindi, ha inserito nelle immagini che mostrano la violenza in maniera esplicita, dei commentatori capaci di creare un legame ottico, gestuale e semantico fra l’evento e lo spettatore, veicolando così la comprensione delle immagini stesse.
Il delegato dello spettatore non è sempre estraneo all’evento rappresentato, ma può anche essere partecipe dell’episodio narrativo. Nel caso della tavola che mostra la morte di Carlo IX, ad esempio, il pittore crea un legame ottico fra i religiosi a lato del cadavere e lo spettatore. Queste figure, volgendo lo sguardo al di fuori della scena per guardare presumibilmente lo spettatore, invitano ad una fruizione guidata dell’evento rappresentato.
Nella tavola che ha per oggetto il massacro di San Bartolomeo, la volontà coercitiva dell’autore risulta ancora più evidente, non solo a causa dell’inserimento di una colossale figura di mediazione nello spazio dello spettatore, ma anche per la scelta di costruire proprio questa immagine utilizzando una forma particolarmente esplicita del meccanismo dell’enunciazione. La città di Parigi viene rappresentata come una grande veduta topografica, atto enunciativo che presuppone la presenza dichiarata di un osservatore [16]. Il punto di vista viene fatto coincidere, in questo caso come in molte altre tavole del De Tristibus, con quello di un immaginario visitatore, e in un certo senso, la strada che conduce all’ingresso della città parte proprio da lui. All’interno di questa veduta, il pittore colloca degli episodi di violenza, che l’osservatore deve però essere in grado di riconoscere come espressioni della violenza cattolica: i fedeli di Roma trascinano i protestanti legati, li accoltellano ed infine li gettano nella Senna. Lo spettatore partecipa virtualmente a questi rituali perché la manipolazione del punto di vista operata dal pittore e la scelta stessa del tipo di enunciazione, obbligano a farlo. L’autore di queste immagini spinge quindi il fruitore della sua opera a comprendere ed approvare i riti della violenza cattolica.
Nella rappresentazione dei rituali della violenza protestante, invece, il pittore compie differenti scelte compositive, senza tuttavia rinunciare ad accompagnare lo spettatore nella fruizione delle immagini. In questo caso, ovviamente, la partecipazione virtuale al rito deve condurre alla condanna della violenza, non alla sua celebrazione.
Nelle immagini dedicate ad episodi di iconoclastia, ad esempio, l’autore suggerisce una partecipazione alla scena rappresentata attraverso una manipolazione del punto di vista. In particolare in una delle tavole dedicate alla presa della città di Lione, l’osservatore è costretto a vedere gli ugonotti che distruggono le campane della chiesa di St. Just, dall’interno delle rovine. L’autore costruisce una sorta di cornice di edifici distrutti, all’interno della cornice stessa del quadro. In questo modo, egli crea uno spazio intermedio fra la scena raffigurata e la realtà, una sorta di limbo per lo spettatore, il cui punto di vista viene fatto coincidere con quello di un immaginario testimone oculare dell’episodio rappresentato.
Diversamente, nell’immagine che ritrae una visione apocalittica sopra Parigi, l’autore ha operato in maniera opposta rispetto alle altre tavole: egli ha volutamente annullato le marche dell’enunciazione a favore di una rappresentazione che sembra non necessitare di un narratore e di una successiva fruizione. Questa immagine ha per oggetto una sorta di grande mappa della città di Parigi, un meccanismo enunciativo assolutamente privo di punto di vista. Nella parte alta della tavola, il pittore ha tuttavia inserito una piccola rappresentazione che esiste solo in virtù dell’affermarsi di un narratore, una visione mistica in cui due armate celesti si affrontano a cavallo. Questa tavola è dunque costruita su un enorme ossimoro iconografico, dato dall’associazione di un enunciato che non ha punto di vista, con uno che non può esistere senza.
La battaglia celeste, alla stregua dell’apparizione della Madonna con bambino, può essere letta come una citazione emblematica, in questo caso dal libro dell’apocalisse, e come uno dei tanti segni della manifestazione dell’ira divina che permeavano l’immaginario collettivo [17]. La visione mistica è una modalità enunciativa che viene di solito accompagnata dalla raffigurazione di colui che ha generato l’apparizione, o dalle marche che tradiscono il meccanismo stesso della visione [18]. In questo caso, tuttavia, al posto del narratore, viene dipinta la mappa di Parigi. Il soggetto della tavola quindi può essere considerato la modalità enunciativa della visione apocalittica; protagonista del meccanismo dell’enunciazione è la città di Parigi, simbolo della Francia intera e in questo caso della comunità cattolica che vede imminente la propria fine. Questa immagine può essere letta dunque come una rappresentazione di quel panico escatologico sotteso ad ogni rituale della violenza cattolica: l’apocalisse incombe sulla città che riconosce nella visione dei cavalieri un segno dell’ineluttabile avvento del Regno dei Cieli.
Mettendo in relazione la tavola che allude all’avvento dell’apocalisse con quelle che la precedono, lo spettatore era naturalmente portato ad attribuire la colpa dell’ira divina agli ugonotti, rei di avere oltraggiato e distrutto i luoghi consacrati, di aver ridicolizzato il sacramento dell’eucarestia, di avere profanato i cadaveri e torturato i civili e di avere infine negato il ruolo della Chiesa di Roma.
Le rappresentazioni figurative della violenza religiosa contenute nelle pagine del De Tristibus Galliae, funzionali alla propaganda politica antiugonotta, rendevano esplicita la paura escatologica che permeava gli animi dei cattolici. Tuttavia esse esprimevano altresì la consapevolezza della presenza, in seno alla società francese, di una barbarie che, a differenza delle epoche precedenti i conflitti civili, non poteva più essere percepita come distante ed imputabile allo straniero, all’Altro [19]. In tal senso, la brutalità attribuita ai calvinisti e la bestialità con la quale essi venivano connotati nelle rappresentazioni, potevano costituire un tentativo da parte cattolica di ristabilire quella distanza necessaria tra sé e il barbaro, tra il popolo di Dio e gli eretici, per ritrovare la propria immagine umana da opporre a quella empia e disumana del nemico in prossimità del Giudizio finale.
Note
[1] Cfr. D. Crouzet, La nuit de la Saint-Barthélemy. Un rêve perdu de la Renaissance, Paris, Fayard, 1994, 491-507.
[2] De Tristibus Galliæ carmen, s.l. e s.d., Bibliothèque Municipale de Lyon, ms. 156.
[3] D. Crouzet, Les guerriers de Dieu. La violence au temps des troubles de religion, vers 1525- vers 1610, 2, Seyssel, Champ Vallon, 1990, I. La componente rituale e la non casualità della violenza protestante, vengono messe in luce in N. Z. Davis, Le culture del popolo. Sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento, trad. it., Torino, Einaudi, 19805, 210-258.
[4] Crouzet, La nuit de la Saint-Barthélemy, cit., 493.
[5] W. Sofsky, Saggio sulla violenza, trad. it., Torino, Einaudi, 1998.
[6] D. Crouzet, À propos de la plasticité de la violence réformée, «Bullettin de la Société de l’Histoire du Protestantisme Français», 148 (2002), 907-951.
[7] Crouzet, Les guerriers de Dieu, cit., 233-317.
[8] L. Marin, Della rappresentazione, trad. it., Roma, Meltemi, 2001.
[9] L. Cailhava (ed.), De Tristibus Franciæ Libri Quatuor, Ex bibliothecæ Lugdunensis codice nunc primum in lucem editi cura et sumptibus L. Cailhava, Lugduni, per Ludovicum Perrin, 1840. Il curatore dell’edizione ottocentesca ha ritenuto opportuno modificare il titolo del manoscritto da De Tristibus Galliæ a De Tristibus Franciæ. Sull’edizione di Cailhava si è basata la tesi di laurea di R. Silvagni, discussa nel novembre 2005 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna (Corso di laurea DAMS, relatore Angela De Benedictis, correlatore Lucia Corrain).
[10] G. De Saconay, Discours des premiers troubles advenues à Lyon, avec l’Apologie sur la ville de Lyon, contre le Libelle faucement intitulé, La iuste et saincte defence de la ville de Lyon, Lyon, Michel Jove, 1569 e G. De Saconay, Genealogie et la fin des Huguenaux et descouverte du Calvinisme : où est sommairement descrite l’histoire des troubles excitez en France par lesdits Huguenaux iusques à present, Lyon, par Benoist Rigaud, 1572.
[11] Crouzet, Les guerriers de Dieu, cit., I, 303.
[12] C. Postel, Traité des invectives au temps de la Réforme, Paris, Les Belles Lettres, 2004, 292-293 e 362-363.
[13] Crouzet, Les guerriers de Dieu, cit., I, 262-269.
[14] J. Delumeau, La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII). La città assediata, trad. it., Torino, SEI, 19943, 161.
[15] Marin, Della rappresentazione, cit., 163.
[16] ibidem, 74-94.
[17] Crouzet, Les guerriers de Dieu, cit., I, 164-174.
[18] Sulle modalità di rappresentazione del meccanismo della visione, vedi V. Stoichita, Cieli in cornice. Mistica e pittura nel secolo d’oro della pittura spagnola, a cura di L. Corrain, trad. it., Roma, Meltemi, 2002, 37-58.
[19] Cfr. Crouzet, Les guerriers de Dieu, cit., II, 145-172 ; J.-L. Fournel, La «brutalisation» de la guerre. Des guerres d’Italie aux guerres de
Religion, in «Astérion. Philosophie, histoire des idées, pensée politique», 2, 2004, 105-131, in
www.asterion.
revues.org/
document88.html