Introduzione
Simeone – detto il Vecchio, per distinguerlo dall’omonimo che circa un secolo più tardi a sua volta vivrà a lungo su una colonna – fu probabilmente il primo santo stilita e dunque l’‘inventore’ di un modello di ascesi che si svilupperà in Siria, affermandosi in seguito con successo anche nel resto dell’Impero Orientale[1]. Secondo la storiografia ufficiale, Simeone Stilita nacque nel 386-389 circa e morì nel 459 a Qal‘at Sem‘an <http://whc.unesco.org/fr/listesindicatives/1300/> , vicino ad Antiochia, dove ancora oggi sono visibili i resti del santuario costruito, dopo la sua morte, intorno alla sua colonna.Le fonti principali di cui si dispone per ricostruirne la vita sono tre: il capitolo XXVI dell’Historia Religiosa di Teodoreto di Cirro, composto intorno al 440; una vita in siriaco, che costituisce la sistematizzazione ufficiale della storia del santo così come venne formandosi tra i monaci del monastero sorto nei pressi della colonna; infine la vita scritta in greco in prima persona dal monaco Antonio, che si autodefinisce discepolo del santo, ma sulla cui identità non pare esserci accordo tra gli studiosi. A queste vite si può aggiungere anche la testimonianza di un breve capitolo della Storia Ecclesiastica <http://www.fordham.edu/halsall/source/evagrius-simeon.html> di Evagrio Pontico (I, 13), la cui redazione risale agli ultimi decenni del VI secolo.
Della vita greca non è attualmente disponibile alcuna traduzione italiana. La tradizione manoscritta della Vita di Antonio è assai problematica; nel 1908 Lietzmann pubblicò l’edizione critica sulla base di nove manoscritti, fornendone tre versioni, due greche e una latina. La traduzione che qui viene proposta è stata condotta sulla versione greca principale di Lietzmann, con alcune varianti introdotte in seguito da A.J. Festugière[2].
La vicenda di Simeone Stilita, così come ci è stata tramandata da Antonio, si sviluppa in tre fasi fondamentali: la giovinezza del santo, che entra in monastero e poi se ne va a vivere in eremitaggio su una colonna; il periodo trascorso sulla colonna, caratterizzato da una serie di atti miracolosi; infine la morte e l’inizio del culto a lui dedicato.
Simeone apparteneva a una famiglia di contadini benestanti e da adolescente pascolava le greggi del padre; cominciò a frequentare la chiesa ogni domenica, venendo a contatto con la parola di Dio, senza tuttavia capirne il significato profondo. Il primo approccio alla religione, apparentemente sentimentale, rivela subito l’innata tendenza del personaggio all’eversione: Simeone abbandona, infatti, la famiglia e consacra la propria vita a Dio, entrando in monastero. All’archimandrita che domanda quale sia il suo nome, da dove venga e chi siano i suoi genitori, il santo risponde semplicemente di chiamarsi Simeone, di essere libero di nascita e di essere un peccatore in cerca di salvezza, ribadendo così la propria volontà di tagliare i legami con la vita terrena.
Il monastero è luogo distinto dal mondo, ma in rapporto comunque con esso, inoltre la vita al suo interno è scandita da una serie di norme e di regole che il santo ribelle prende puntualmente a sovvertire, dedicandosi a un’ascesi estrema: dona il suo cibo ai poveri mangiando una sola volta alla settimana e si lega la corda del secchio, col quale si attingeva l’acqua dal pozzo, intorno alla vita, sotto una tunica di crine. Ben presto i monaci sviluppano un’aperta antipatia nei confronti dello strano confratello, che si priva dei mezzi di sussistenza e che comincia a emanare un odore fetido di cui non sanno darsi spiegazione, così come non si spiegano il proliferare di vermi nel suo giaciglio. Il conflitto coi compagni, che minacciano di lasciare il monastero, viene portato dinnanzi all’igumeno, che richiama Simeone alla regola del luogo e gli ordina di togliersi la veste per chiarire il mistero del suo terribile odore: le carni martoriate dalla corda sono così esposte alla vista di tutti e quest’azione di automortificazione violenta crea imbarazzo all’interno del monastero. L’archimandrita, più stupito che adirato, decide di espellere il corpo estraneo dalla sua comunità, invitando Simeone ad andare dove meglio crede. E Simeone, ancora una volta, sceglie un luogo ai limiti del mondo: un pozzo essiccato dal quale tutti si tenevano a distanza per la presenza di animali immondi, quali serpi e scorpioni, e spiriti maligni.
A questo punto, nella vicenda irrompe per la prima volta il divino, sotto la forma di un sogno minaccioso inviato dal cielo all’archimandrita: una folla di fantasmi incappucciati e di bianco vestiti, con lampade tra le mani, circonda il suo monastero e minaccia di bruciarlo a causa dell’ingiusto allontanamento del santo. Al risveglio l’archimandrita spedisce i monaci a cercare Simeone, che a fatica viene rintracciato nel suo pozzo e riportato nella comunità, all’interno della quale vivrà per i successivi tre anni.
Ma il posto del santo è fuori dal mondo, al quale il monastero è evidentemente troppo vicino; e così Simeone se ne va e si trasferisce nei pressi Talanis (Deir Sim‘an), dove vive per quattro anni all’interno di un piccolo recinto, esposto alle intemperie e al caldo soffocante, sostentandosi con acqua e lenticchie bagnate.
La fama di questo strano personaggio cresce e molte persone cominciano a recarsi da lui; nel frattempo Simeone si costruisce una piccola colonna, una sorta di piedistallo alto poco meno di due metri, e vi rimane sette anni. La folla accorre sempre più numerosa a causa dei poteri miracolosi del santo e gli costruisce una colonna più imponente, alta circa 13 metri, racchiusa da due recinti concentrici, al più interno dei quali viene apposta una porta: su questa colonna Simeone rimarrà quindici anni.
Il racconto di questa fase della vita dello stilita, secondo la versione di Antonio, è caratterizzata dalla narrazione di una serie di miracoli che per lo più ripetono moduli e topoi dell’agiografia tardoantica e bizantina, soprattutto quelli raccolti dal capitolo 22 al capitolo 27, riconosciuti da A.J. Festugière come aggiunte posteriori alla stesura dell’autore. È interessante sottolineare che il primo miracolo narrato nella Vita ha per soggetto la madre del santo, e dunque in qualche modo si ricollega al tema della scissione del legame familiare e in generale delle regole della normale socialità che si era notato all’inizio della narrazione. Infatti i genitori di Simeone non avevano mai disperato di riuscire a ricongiungersi al figlio e quando la madre viene a sapere dove si trova, si reca da lui e cerca di ricevere la sua benedizione, salendo con una scala lungo il fianco della colonna. Ma il tentativo è vano e il santo le manda a dire che quello non era il momento per loro di ricongiungersi: attenda pazientemente e “se saremo degni, ci incontreremo in questa vita”. Nell’attesa, tuttavia, la madre muore. Il suo cadavere viene deposto dinnanzi alla colonna del santo, il quale invocando Dio riesce a tradurre in realtà per qualche attimo la frase premonitrice: la madre, resuscitata per pochi istanti, riesce a rivedere il figlio e può definitivamente morire in pace.
I miracoli operati dallo stilita vanno dalla guarigione di esseri umani e animali al dominio delle forze naturali, quali siccità, terremoti e tempeste marine. Alcuni interventi di Simeone presentano aspetti più strettamente politici, essendo volti a risolvere problemi legati al vivere sociale. Questo aspetto sociale dell’attività del santo, che è forse più presente nella vita siriaca, risalta in particolare in due occasioni. Ai capitoli 17 e 18 è narrato l’incontro tra Simeone e i Saraceni (nomadi arabi), in particolare tra il santo e un sovrano di questo popolo, che numeroso si fece convertire al cristianesimo dallo stilita. Il tema è effettivamente storico, poichè nella tarda antichità alcune tribù nomadi della zona si avvicinarono al cristianesimo; nello stesso tempo, l’incontro con il “re dei Saraceni” sottolinea il ruolo di subalternità del potere politico, da costui appunto incarnato, all’autorità dell’uomo santo. Il tema viene ripreso anche nella vicenda del capo dei briganti Antioco (cap. 20). Questo terribile avventuriero aveva messo in difficoltà la Siria intera, quando finalmente le autorità di Antiochia gli tendono un’imboscata. Antioco riesce comunque a mettersi in salvo in modo rocambolesco, fuggendo con le truppe alle calcagna fin sotto la colonna del santo. E qui inseguito ed inseguitori si arrestano: Simeone prende la parola e rivolge a ciascuna delle due parti un ammonimento. Ad Antioco ricorda che assieme a Cristo furono crocifissi due ladroni e che diversa fu la loro sorte, giacchè uno si pentì, mentre l’altro rimase nel peccato; ai soldati, invece, rammenta che solo Dio può arrogarsi la facoltà di decidere del destino di un uomo. Da queste parole non emerge la volontà del santo di chiamarsi fuori da una vicenda umana, riguardante il vivere sociale, ma al contrario un avvertimento all’autorità politica: Dio è il massimo giudice cui spetta di decidere sulla vita e la morte degli uomini. Pronunciato il breve discorso, il santo fa uscire i soldati e, rimasto solo col malfattore, si fa tramite dell’azione divina: Antioco infatti muore pentendosi del suo crimine, mentre ai soldati, che di nuovo reclamavano la consegna del brigante, Simeone dice semplicemente che costui era stato chiamato da Dio, il quale gli aveva inviato “due soldati spaventosi, armati, che avevano la forza di fulminare la vostra città con i suoi abitanti”.
Il ruolo di forte potere sociale ricoperto dal santo si fa particolarmente evidente alla fine del racconto di Antonio, quando sono riportate le vicende relative alla morte dello stilita. A questa parte del racconto hanno attribuito una grande importanza, dal punto di vista storico, sia A.J. Festugière, sia H. Delehaye, non sempre tuttavia seguiti dalla storiografia successiva[3]. Quello che qui comunque interessa non è tanto la vicenda del santo storico, quanto quella del santo in qualità di modello ideale.
La narrazione di Antonio dal cap. 28 si fa più personale e torna con maggiore evidenza alla prima persona del prologo. È Antonio in persona infatti ad accertare la morte di Simeone, che non aveva benedetto la folla come suo solito, ma era rimasto immobile, apparentemente in preghiera. Prima preoccupazione di Antonio è quella di tenere il popolo all’oscuro dell’evento fino all’arrivo da Antiochia delle autorità, il vescovo Martirio e il generale (stratelates) Ardaburio, per evitare disordini legati sia all’emozione del momento, sia alla preservazione del cadavere dal pericolo di essere trafugato da abitanti dei villaggi vicini o dai Saraceni, che, come si diceva, avevano una devozione speciale per Simeone. Il corpo del santo diviene il centro della narrazione: esso risplende, emana un profumo celestiale e non presenta alcun segno di decomposizione. Intorno a quel corpo si raduna una folla sterminata di fedeli, che celebrano con salmi, incensi e candele un commosso funerale. E questo corpo conserva ancora poteri straordinari e miracolosi. Quando il vescovo Martirio si impadronisce di un pelo della barba del cadavere, per conservarlo come reliquia, la sua mano si rattrappisce e solo dopo ripetute preghiere e promesse da parte degli altri vescovi che lo accompagnavano, il malcapitato guarisce da quella improvvisa paralisi. Un ultimo miracolo sarà compiuto in presenza del feretro lungo la strada per Antiochia (cap. 31). Simeone sarà tumulato in questa città nella chiesa detta di Cassiano, quindi nella cattedrale, da dove le sue spoglie verranno traslate in una cappella appositamente edificata. Come i resti di molti altri santi, anche alcune parti del corpo di Simeone Stilita presero a viaggiare per il Mediterraneo. Alcune reliquie furono trasferite a Costantinopoli per desiderio di Daniele che, emulando Simeone, visse dal 460 al 493 su una colonna nei pressi della capitale dell’Impero d’Oriente.
Presentatosi sulla scena come sovvertitore dell’ordine sociale e politico, il santo finisce con l’incarnare a sua volta un modello di potere alternativo, ma non troppo, a quello costituito. In occasione dei terremoti che colpirono ripetutamente la Siria, i fedeli si recarono da Simeone perchè facesse cessare il flagello: costui li sgrida aspramente ricordando loro che quella era la giusta punizione mandata da Dio a chi non osservava più i suoi precetti. Le preghiere di un solo uomo erano state ascoltate dal Signore e il santo lo fa venire sotto la colonna a rivelare agli astanti quali fossero i suoi meriti: “Io sono un contadino” - comincia l’interessato - “e mia abitudine è dividere il frutto della mia giornata, anche se per questo mi sono affaticato, in tre parti. Innanzitutto metto in serbo la parte dei poveri, poi l’imposta del fisco, e così la parte delle mie spese personali. E fino a questo giorno non ho cessato di agire in questo modo”. Questa è dunque l’immagine del buon coltivatore, un uomo ligio ai precetti della chiesa e dello stato.
Come abbiamo visto, il deserto in cui si rifugia Simeone si popola ben presto di fedeli, di monaci seguaci e di personaggi illustri che si recano a chiedere consiglio. La colonna del santo si fa sempre più alta, per allontanarlo dalla folla, ma nello stesso tempo per renderlo ben visibile dalla pianura sottostante. La posizione scelta dall’eremita si rivela infatti particolarmente fortunata: la colonna si ergeva in cima allo sperone roccioso di Qal‘at Sim‘an, in un punto cruciale del massiccio calcareo della Siria settentrionale, dominante la pianura di Qatura. Una collocazione che potremmo definire ‘antipolitica’ nel senso etimologico del termine, poichè il luogo si trova fuori dalla polis (e capitale provinciale) di Antiochia, quasi di fronte, in opposizione ad essa verso l’interno del paese. Il santuario imponente, costruito intorno alla colonna e la cui prima fase di edificazione si protrasse dal 474 al 490 circa, sarà a lungo meta di pellegrinaggi e contribuirà a trasformare il sottostante villaggio agricolo di Talanis (oggi Deir Sim‘an) in un organizzato e florido centro di accoglimento di fedeli dello stilita[4].
Ecco dunque chiudersi il cerchio: dalla ribellione del santo si giunge alla formulazione di un modello di potere alternativo, ma assai ben radicato nel passato, capace di dare nuove spinte non solo ideali, ma anche economico-sociali al mondo greco-romano, nel momento di passaggio dall’antichità pagana al medioevo cristiano.
Nota bibliografica
A parte le opere specifiche citate nelle note, sulla nascita dell’ascetismo siriaco e sull’approccio storiografico all’agiografia tardoantica in generale rimangono a mio avviso fondamentali i due saggi:P. Brown, The rise and function of the holy man in late antiquity, «Journal of Roman Studies», 61 (1971), 80-101, disponibile anche in rete attraverso JStor <http://www.jstor.org/sici?sici=0075-4358(1971)61<80%3ATRAFOT>2.0.CO;2-M>.
E. Patlagean, Antica agiografia bizantina e storia sociale, in: Ead., Santità e potere a Bisanzio, Milano, Il Saggiatore, 1992, 21-45.
Ultimamente si sono soffermati sul tema della nascita e diffusione di questa forma di ascesi anche P. Horden e N. Purcell, ai quali rimando a proposito, in particolare, dell’assai discusso legame con precedenti culti locali (The corrupting sea: a study of Mediterranean history, Oxford, Blackwell, 2000, part IV: The geography of religion).
Una interessante rappresentazione di uno degli episodi della vita di Simeone è inciso su una placca d’argento, molto probabilmente un ex-voto, databile al VI secolo e conservata al Louvre (Placca di san Simeone, Louvre, Bj 2180 (MND 2035) <http://www.louvre.fr/llv/oeuvres/detail_notice.jsp?CONTENT<>cnt_id=10134198673225351&CURRENT_LLV_NOTICE<>cnt_id=10134198673225351&FOLDER<>folder_id=9852723696500926&baseIndex=7>. Si tratta verosimilmente del miracolo della guarigione di un ascesso comparso sulla pelle di una femmina di serpente, il cui maschio si arrotolò in preghiera intorno alla colonna del santo, narrato al cap. 25 della Vita di Antonio aggancio al testo sotto. Un reliquiario bizantino con inscritto un epigramma in greco dedicato al santo si trova presso il monastero di Camaldoli (cfr. E. Follieri, Un reliquiario bizantino di San Simeone Stilita, «Byzantion», 35 (1965), 62-82).
Una bella galleria di foto del monastero e dei resti della colonna è stata messa online da James Gordon sul suo Flickr account <http://flickr.com/photos/jamesdale10/sets/72157602137980456/?page=6> , da cui proviene anche l’immagine utilizzata in apertura a questo articolo.
La figura di Simeone Stilita, e degli stiliti che seguirono la sua forma di ascesi, ha ispirato anche artisti moderni, come i poeti Alfred Tennyson e Clark Ashton Smith.
Nel 1965 uscì il film di L. Buñuel Simon del Desierto <http://www.luisbunuel.org/filmo/1965/1965.html>, premiato al festival di Venezia. Pur nella libera interpretazione dell’autore, esso dimostra chiaramente una conoscenza delle fonti che riguardano Simeone e gli altri stiliti. Alcuni spezzoni del film sono visibili su www.youtube.com.
Traduzione
Vita e ascesi del beato Simeone stilita
1. Uno strano e paradossale mistero è accaduto ai nostri giorni. Mi è sembrato opportuno che io, l’umile peccatore Antonio, ne scrivessi, nei termini in cui sono stato in grado di comprendere. Giacché di utilità e commozione è piena l’opera, per questo vi prego: volgete le vostre orecchie e ascoltate ciò che sono stato in grado di comprendere.
2. Il santo e beatissimo Simeone da bambino pascolava le greggi di suo padre, come pure fece il profeta Davide; nel santo giorno del Signore, si recava in chiesa per la parola di Dio e con piacere prestava orecchio alle sacre scritture, pur non afferrando cosa ascoltava. Crescendo d’età ed essendo colpito dalla parola di Dio, entra un giorno in chiesa e sentendo leggere un testo dell’Apostolo chiede a un vecchio: “Dimmi, padre, che cosa si legge?” Gli dice il vecchio: “Sulla continenza dell’anima”. Gli dice il santo Simeone: “Che cos’è la continenza dell’anima?” E il vecchio a lui: “Ragazzo, che mi domandi ? Vedo infatti che sei giovane d’età, ma possiedi un animo maturo”. Gli dice il santo Simeone: “Non ti voglio mettere alla prova, padre, ma mi è estraneo il significato della lettura”. Il vecchio gli risponde: “La continenza è la salvezza dell’anima, che guida alla luce e che conduce al regno dei cieli”. E il santo Simeone: “Spiegami, onorevole padre, le cose che dici, poichè sono ignorante”.
3. Gli dice il vecchio: “Ragazzo, è quando uno fa astinenza incessantemente in onore di Dio e gli rivolge tutte le preghiere come si deve, cioè una preghiera all’ora terza, e ugualmente anche alla sesta, nona e dodicesima ora e ciò che ne consegue, com’è compiuto nei monasteri. Se dunque comprendi, ragazzo, ciò che odi, considera queste cose nel tuo cuore: bisogna infatti che tu soffra la fame e la sete e che tu sia oltraggiato, schiaffeggiato e schernito, che tu gema, pianga, sia oppresso e subisca i rovesci della sorte, che tu rinunci ad essere in salute e ad avere desideri, che tu sia umiliato e patisca molti mali da parte degli uomini e così che tu sia consolato dagli angeli; ecco, dopo aver inteso tutte queste cose, ti dia il Signore della gloria una mente capace secondo la sua volontà”.
4. Udite queste parole, il santo Simeone esce dalla chiesa, si reca in un luogo solitario e si prostra per sette giorni, piangendo e pregando Dio senza prendere né cibo né bevande. E dopo i sette giorni, sollevatosi, se ne va di corsa in monastero. Si getta dunque ai piedi dell’archimandrita implorando a gran voce: “Abbi pietà di me, padre, un uomo tapino e misero, e salva un’anima che va in rovina, ma che desidera servire Dio”. Gli chiede l’archimandrita: “Chi sei e da dove vieni? Qual è il tuo nome? E da dove arrivi?” Risponde il santo Simeone: “Sono libero di nascita, il mio nome è Simeone, come sia arrivato qui o chi siano i miei genitori, non me lo chiedere, o signore, ti prego, ma accogli di tua iniziativa un’anima che va in rovina.” A tali parole, l’archimandrita lo solleva da terra e gli dice: “Se sei qui per il Signore, il Signore ti proteggerà da ogni pena e insidia e tu praticherai l’obbedienza a tutti, al fine di essere da tutti amato”.
5. Tuttavia i suoi genitori non cessavano di piangere e di cercarlo; il santo viveva nel monastero servendo tutti, essendo amato da tutti e osservando la regola del monastero. Un giorno, dunque, uscitosene dal monastero, trova sopra il pozzo un secchio, con cui si attingeva l’acqua, con una corda; e avendo sciolto la corda, va in un luogo isolato e se la passa intorno al corpo; poi indossa sopra la corda una tunica di crine e, tornato al monastero, dice ai fratelli: “Sono andato ad attingere l’acqua, ma non ho trovato la corda nel secchio”. Gli dicono i fatelli: “Taci, nessuno informi l’archimandrita!”. E nessuno si accorge che sotto si era fasciato con la corda. Rimase dunque per un anno e più con la corda avvolta intorno al suo corpo, che gli divorò le carni, così che la corda rimaneva protetta dalle carni segnate del giusto e per il suo cattivo odore nessuno poteva stargli vicino, ma nessuno capiva il mistero. Il suo giaciglio si riempiva di vermi e nessuno ne comprendeva l’origine.
6. Prendeva il suo cibo e lo dava ai poveri senza essere visto. Un giorno dunque uno dei monaci esce e lo trova mentre dà il suo pane e i legumi che gli toccavano ai poveri. Tutti digiunavano fino a sera, mentre il santo Simeone mangiava solo di domenica. Una volta rientrato, perciò, il monaco lo accusò davanti all’archimandrita, dicendo: “Ti supplico, tua santità: quest’uomo manda in dissoluzione il monastero e la regola che ci hai confidato”. Gli chiede l’archimandrita: “In che modo vuole mandare in dissoluzione la regola?” E il monaco: “Noi manteniamo il digiuno fino a sera, mentre costui mangia solo di domenica e il pane che riceve e i legumi li dà di nascosto ai poveri ogni giorno. E non è tutto: dal suo corpo proviene un odore intollerabile, tale che nessuno gli può stare vicino; il suo letto poi si è riempito di vermi e noi non possiamo sopportarlo. Fai come vuoi: tienitelo qui e noi ce ne andremo, oppure lascialo tornare là da dove è venuto”.
7. Avendo udito queste cose, l’archimandrita rimase attonito; esamina il suo letto e lo trova pieno di vermi e dal fetore non riusciva a rimanere lì. E dice l’archimandrita: “Ecco dunque il nuovo Giobbe”. E trattenendolo gli domanda: “Perchè hai fatto queste cose, uomo? Da dove deriva questo tuo cattivo odore, perchè inganni i fratelli, perchè dissolvi la regola del monastero? Che fantasma sei? Vattene altrove e muori lontano da noi! Per colpa tua sono forse giunto ad essere tentato io, misero infelice? Se infatti tu fossi un uomo reale, figlio di genitori dotati di ragione, ci diresti chi erano tuo padre, tua madre e la tua famiglia e da dove sei arrivato fin qui”. Sentite queste parole, il santo, con lo sguardo abbassato, taceva senza proferire parola e riempiva con le sue lacrime il posto in cui stava; ma l’archimandrita, essendo andato su tutte le furie, dice ai monaci: “ Spogliatelo, cosicché vedremo da dove deriva il suo cattivo odore”.
8. Tentarono dunque di spogliarlo, ma non ci riuscirono, giacchè la sua veste era incollata a causa della carne putrefatta. Così per tre giorni non desistevano dal bagnarlo con acqua tiepida mischiata ad olio e con molto dolore riuscirono a spogliarlo, sicché con la veste scorticarono via la sua carne putrefatta. Scoprirono dunque la corda che cingeva il suo corpo in modo tale che nulla appariva se non i capi della corda stessa; e non vi era idea dei vermi che lo ricoprivano. Allora tutti i monaci rimasero stupefatti a causa sua, vedendo quella ferita insanabile, e discutevano tra loro sul come e con quale espediente gli avrebbero levato la corda. Ma il santo Simeone gridò dicendo: “Perdonatemi, signori miei fratelli, lasciatemi morire così, come un cane maleodorante, poichè a causa delle mie azioni ho dovuto essere condannato in questo modo; infatti ogni ingiustizia e cupidigia è nata con me, poichè io sono l’oceano dei peccati”. I monaci e l’archimandrita gemevano alla vista di quella ferita insanabile e l’archimandrita allora gli domanda: “Non hai ancora diciotto anni, quali sono dunque i tuoi peccati?” Gli risponde il santo Simeone: “Il profeta Davide dice: Ecco sono stato concepito nell’empietà e nel peccato mi ha accolto in seno mia madre; e di tutti questi parimenti sono rivestito”[5]. L’archimandrita rimaneva perplesso per la sua risposta assennata, poichè, nonostante fosse incolto, come che fosse, era stato mosso verso il timore di Dio. Avendo chiamato l’archimandrita due medici, dopo molte pene e sofferenze tali che pensarono che morisse, gli strapparono via la corda dalle carni a questa incollate, poi, prendendosi cura di lui per cinquanta giorni, lo servirono a turni. A questo punto l’archimandrita gli disse: “Figliolo, ecco sei guarito: va’ dove vuoi”.
9. Allora il santo Simeone esce dal monastero. Ed ecco, vicino al monastero si trovava un pozzo in cui non c’era acqua, ma in cui abitava una moltitudine di spiriti impuri e malvagi; e non solo spiriti impuri, ma anche un’infinita moltitudine di serpenti, vipere, serpi e scorpioni, per cui tutti temevano di passare per quel luogo. Lì va il santo Simeone, senza essere visto, e si butta in quel pozzo, facendosi il segno in Cristo, e si nasconde nella fiancata interna del pozzo.
10. Dopo sette giorni dal suo allontanamento dal monastero, l’archimandrita vide in sogno un’infinita moltitudine di uomini vestiti di bianco che circondavano il monastero, reggendo lampade e dicendo: “Ora ti diamo fuoco qui, se non ci consegnerai il servo di Dio Simeone! Per quale motivo lo hai cacciato, che ha fatto per essere da te espulso dal monastero, qual è il suo errore? Diccelo, prima che ti diamo fuoco! Non vedi che avevi nel tuo monastero? Costui infatti sarà giudicato più grande di te nel Giorno della paura e del terrore!”. Allora l’archimandrita risvegliatosi tremante disse ai monaci: “Ora mi rendo conto che quell’uomo è un vero servo di Dio! Giacché infatti ho patito molti mali in sogno questa notte a causa sua. Ma vi prego fratelli correte e trovatemelo: in caso contrario che nessuno di voi possa rimettere piede qui!”.
11. Ed essendo usciti, si misero a cercarlo in ogni luogo, ma non avendolo trovato andarono a dire all’archimandrita: “Davvero, signore, non abbiamo tralasciato luogo dove non lo abbiamo cercato, se non quel posto in cui nessuno osa passare a causa della gran quantità di serpenti selvaggi”. Risponde loro l’archimandrita: “Figlioli, dite una preghiera e prendete delle lampade, andate, scendete e cercatelo !” E dopo aver pregato sul pozzo per tre ore, con delle corde calarono nel pozzo cinque monaci che reggevano delle torce e i serpenti vedendoli fuggirono negli angoli. Alla loro vista, il santo Simeone gridò: “Vi prego, fratelli e servi di Dio, concedetemi un po’ di tempo, affinchè io renda l’anima! Mi basta, infatti, poichè non ho saputo portare a termine ciò che avevo intrapreso”. Ma i monaci, costringendolo, con gran violenza, lo fecero uscire dal pozzo, trascinandolo come un malfattore, e lo portarono dall’archimandrita. Quello, vedendolo, si gettò ai suoi piedi dicendo: “Perdonami, o servo di Dio, divieni per me una guida e insegnami cosa sia e cosa doni la perseveranza!”
12. Il santo Simeone non smetteva di piangere e pregare Dio, ma dopo aver passato in quel monastero tre anni, se ne andò senza che nessuno se ne accorgesse. Giunse così in un luogo isolato in cui c’erano molti piccoli insediamenti sparsi. Vicino c’era una località chiamata Talanis e lì si costruì un piccolo recinto di pietre a secco e vi restò per quattro anni, sotto la neve, sotto la pioggia, nel caldo soffocante; molti si recavano da lui. Il suo cibo erano delle lenticchie bagnate e la sua bevanda dell’acqua. Dopo questi fatti, si costruì una colonna di quattro cubiti e vi stette sette anni, mentre la sua fama si spargeva ovunque. E in seguito le folle gli costruirono due recinti di pietre a secco, apposero una porta al recinto interno e fecero per lui una colonna di trenta cubiti. Egli vi rimase sopra quindici anni, compiendo molte guarigioni; infatti, molti indemoniati si recarono là e furono guariti.
13. Il santo Simeone imitava la sua guida, il Cristo, invocando il quale faceva camminare gli storpi, purificava i lebbrosi, faceva parlare i balbuzenti, correre i paralitici, donava la guarigione ai malati cronici, ammonendo e mettendo tutti in guardia in questo modo: “Se qualcuno ti domanda chi ti ha guarito, tu digli: “Dio mi ha guarito”. Che non ti sembri bene rispondere che Simeone ti ha guarito, poichè ti troveresti di nuovo tra gli stessi mali! E questo ti dico: che tu non abbia mai a mentire e a giurare nel nome di Dio! Se pure avrai necessità di giurare, giura nel mio nome, che sono un miserabile, sia che tu dica il vero, sia che tu menta; infatti è un grave peccato e una cosa terribile giurare nel nome di Dio”.
14. Ascoltate un miracolo stupefacente e straordinario. La madre di lui, dopo vent’anni, venne a sapere dove si trova il santo Simeone e, accorsa in gran fretta, volle incontrarlo dopo tanti anni e versò molte lacrime per vederlo, ma non le fu concesso di vederlo. Poichè ella desiderava molto ricevere la benedizione dalle sue sante mani, fu costretta a salire con una scala lungo il muro; ma una volta salita con una scala lungo il muro del recinto, ella fu precipitata a terra senza aver potuto vederlo. Allora le fece dire il santo Simeone: “Perdonami, madre, per ora, e se saremo degni ci incontreremo in questa vita”. All’udire queste parole, ancor più desiderava ardentemente vederlo. Le mandò dunque a dire il santo Simeone: “Desisti, mia signora madre; poiché sei giunta da lontano e hai faticato a causa mia, che sono un miserabile, or dunque siediti un po’, riprendi forza e tra poco ti vedrò”. Quella, udite le parole, si mise nel suo vestibolo, ma subito rese l’anima a Dio. Arrivarono i guardiani per risvegliarla, ma la trovarono morta e lo annunciarono al santo. Ed egli, udito il fatto, ordinò che le fosse portata dentro, la fece mettere davanti alla sua colonna e, dopo averla contemplata, in lacrime, cominciò a dire: “Signore, Dio dei potenti, Guida della luce e Auriga dei cherubini, tu che hai guidato Giuseppe, che hai dato la forza al tuo profeta Davide contro Golia, tu che, dopo quattro giorni, hai resuscitato dai morti Lazzaro, alza la tua destra e ricevi in pace l’anima della tua serva!”. E mentre pregava, le sante spoglie di sua madre cominciarono a muoversi e un sorriso apparve sul viso di lei, mentre tutti gli spettatori erano presi da stupore e rendevano gloria a Dio; e dopo averle celebrato il funerale la seppellirono davanti alla colonna del santo, affinchè egli, quando pregava, si ricordasse di lei.
15. Ascoltate un altro mistero strano e miracoloso. Alcuni individui giungevano da molto lontano per ottenere una sua preghiera e si presentava loro una cerva incinta che pascolava; uno di essi disse alla cerva: “ Ti scongiuro nel nome della potenza del santo Simeone, fermati, in modo che ti possa catturare”. E subito la cerva si fermò e avendola catturata, la sgozzò e mangiò le sue carni; la pelle invece rimase. E improvvisamente la loro conversazione fu resa difficile e cominciarono a belare come gli animali. Andarono di corsa e si gettarono ai piedi della colonna del santo, pregandolo di guarirli. Riempirono dunque la pelle della cerva di paglia e come monito a molti questa pelle venne esposta per un tempo adeguato, mentre gli uomini, dopo aver fatto penitenza per un tempo adeguato ed essere guariti, tornarono nei loro luoghi d’origine.
16. Ascoltate un altro fatto strano e meraviglioso. Una donna che aveva sete nel corso della notte volle bere dell’acqua; avendo dunque preso la brocca dell’acqua, bevve assieme all’acqua un piccolo serpente, che, nutritosi nel suo ventre, divenne grande, mentre il colorito di lei diveniva simile a un’erba verde. Molti medici vennero per guarirla, ma non ci riuscirono. I suoi familiari, che avevano saputo dei prodigi e delle guarigioni che compiva il santo di Dio, Simeone, la presero e la portarono dal santo e gli raccontarono ogni cosa di lei. Ed egli diede loro questi ordini: “Introducete nella sua bocca un po’ di quest’acqua e di questa terra”. Allora avendo fatto così, secondo quanto ordinato, il serpente si agitò davanti a tutti, la gettò per terra ed uscì e, avendo sporto la testa dai cancelli del recinto, morì e tutti resero gloria a Dio.
17. Cambiarono la colonna del santo facendola di 40 cubiti e la sua fama si sparse su tutta la terra. E così i Saraceni giunsero da lui, infiammati dalla fede, ed egli li mosse al timore di Dio. Il diavolo allora, che odia gli uomini e che è solito tentare i santi ed essere da questi calpestato, gli inflisse una ferita alla coscia simile a quella del beato Giobbe, una sofferenza che viene definita tumore: la sua coscia andò completamente in cancrena ed egli si resse sul piede restante per due anni. Innumerevoli vermi dalla sua coscia cadevano a terra, per cui quelli che gli erano più vicini non avevano altra occupazione, se non esclusivamente quella di raccoglierli e ricollocarli nel punto da cui erano caduti, giacchè il santo diceva (ai vermi): “Nutritevi di ciò che il Signore vi ha dato!”.
18. Per volontà di Dio accadde che il re dei Saraceni andò da lui per ottenere una sua preghiera, e non appena giunse vicino alla colonna, per essere benedetto dal santo Simeone, il santo di Dio, vedendolo, cominciò a dargli insegnamenti. Ma mentre si intrattenevano tra loro, un verme cade dalla coscia di quello e il re lascia cadere l’attenzione, certo non rendendosi conto di ciò che era caduto, e di corsa se ne impadronisce. Così se lo pone sotto gli occhi e sul cuore e se ne va fuori con quel verme in mano. Allora il santo gli rivelò: “Vieni dentro, deponi ciò che hai preso, io, peccatore, ho pena di te. È un verme putrescente caduto da carne putrescente. Perchè macchi le tue mani, tu, che sei un uomo onorato?”. E mentre il giusto diceva queste cose, il Saraceno si avvicinò e gli rispose: “Questo mi sarà di benedizione e in remissione dei peccati”. E aperta la mano, su quella sua mano c’era una perla preziosa. Così, miratala, cominciò a glorificare Dio e disse al giusto: “Ecco, ciò che dici essere un verme, è una perla che non ha prezzo, tramite la quale il Signore mi ha illuminato”. Udite queste parole, il santo gli rispose: “Sia per te come hai creduto per tutti i giorni della tua vita e non solo per te, ma anche per i tuoi figli”. Ed essendo stato benedetto, il re dei Saraceni tornò al suo luogo d’origine esultando in pace.
19. Ascoltate un altro mistero. Sulla montagna in cui stava, dalla parte di levante, abitava un grande drago. Perciò neanche l’erba cresceva in quel luogo. E a quel drago capitò che mentre usciva per rinfrescarsi, un pezzo di legno gli si conficcò nell’occhio e per lungo tempo nessuno riusciva a sopportare il suo sibilo lamentoso per il dolore. Un giorno, dunque, il drago uscì dalla sua tana sibilando e, mentre tutti guardavano, arrivò e si mise vicino al vestibolo del recinto. E all’improvviso il suo occhio si aprì e il legno gli uscì dall’occhio; rimase lì tre giorni finché non si rimise in salute. E così se ne ritornò alla sua tana sotto gli occhi di tutti, senza aver fatto male a nessuno, ma come un montone se ne era stato accoccolato nel vestibolo del giusto e tutti erano entrati e usciti senza essere da lui attaccati.
20. Ascoltate un altro miracolo straordinario. C’era in Siria un capo dei briganti, il cui nome era Antioco e di soprannome veniva chiamato Gonatas, il quale faceva parlare delle sue imprese in tutto il mondo. Da ogni dove furono inviati soldati per catturarlo e portarlo ad Antiochia, ma nessuno riuscì a catturarlo a causa della gran potenza della sua forza. Furono preparati dunque ad Antiochia orsi e altre belve, poichè egli voleva combattere con gli animali selvaggi e tutta la città di Antiochia era in movimento per lui. Allora uscirono per catturarlo, lo trovarono che beveva nell’osteria di un villaggio e i soldati circondarono l’osteria; ma quello, saputolo, orchestrò uno stratagemma. Un fiume passava accanto al villaggio; questo capo dei briganti aveva una giumenta e le dava ordini come a un essere umano, così, alzatosi, gettò il suo mantello sulla giumenta e le ordinò: “Va’ al fiume e là aspettami”. E la cavalla uscì dall’osteria mordendo e mollando colpi e, giunta al fiume, si mise ad aspettarlo. Uscì anche il capo dei briganti dall’osteria, sfoderando e brandendo la spada, urlando e dicendo alla folla dei soldati: “Fuggite, che non muoia qualcuno!” E nessuno dei soldati riuscì ad avere ragione di lui. Così, di nascosto da tutti quelli che lo assediavano, avendo attraversato il fiume con la cavalla, montatole in sella, raggiunse il recinto del santo Simeone. Ed entrato, si gettò ai piedi della sua colonna; allora, essendosi radunati anche i soldati nel recinto, il santo disse loro: “Assieme a nostro signore Gesù Cristo furono crocifissi due briganti: l’uno fu ricompensato secondo le sue azioni, l’altro ereditò il regno dei cieli. Se qualcuno riesce a resistere a colui che lo ha mandato, che venga ed egli lo sradicherà, giacchè io non l’ho fatto venire al mondo e non ho il potere di congedarlo. Infatti colui che qui lo ha mandato pure fa valere i suoi diritti su di lui, nessuno dunque biasimi me, miserabile, che molto mi sono affaticato per i miei molti peccati”. Dette loro queste parole, li congedò. Quando se ne furono andati, il capo dei briganti disse: “Signore mio, io me ne vado”. E il santo a lui: “Di nuovo te ne vai ai tuoi crimini?” Il capo dei briganti rispose: “ Non più, padrone, il Signore mi chiama”. Così, tese le sue mani al cielo, non disse più nulla, se non semplicemente: “O figlio di Dio, ricevi la mia anima in pace!”. E pianse per due ore, al punto che fece piangere anche il giusto con i presenti. Postosi poi davanti alla colonna del giusto, subitamente esalò l’ultimo respiro e la folla lo sollevò e lo sotterrò vicino al recinto del giusto. Il giorno dopo, poi, giunsero da Antiochia più di cento uomini armati di spade per catturarlo e cominciarono a gridare al santo: “Lasciaci colui che detieni!”. Il santo disse loro: “Fratelli, colui che lo aveva inviato qui è più forte di voi e avendo bisogno di lui, pensando che gli fosse utile, mandatigli contro due soldati spaventosi e armati, con la forza di fulminare la vostra città con i suoi abitanti, lo prese, ed io, peccatore, vedendo il loro aspetto spaventoso, in preda al terrore, non osai oppormi a loro, perchè non uccidessero pure me, miserabile, in quanto mi opponevo a Dio”. Allora quegli uomini, ascoltate queste parole del santo e avendo saputo con quanta gloria il capo dei briganti era spirato, dopo aver reso gloria a Dio, pieni di trepidazione, se ne tornarono ad Antiochia.
21. Ascoltate un altro miracolo prodigioso e famoso. Nel luogo in cui era il santo, non vi era traccia d’acqua. Così la moltitudine degli animali e degli uomini, che si recava nel luogo del santo Simeone, moriva. Allora, avendo fatto una preghiera, il santo per sette giorni non parlò a nessuno, ma se ne stava in ginocchio e in preghiera, sicché tutti pensavano che fosse già morto. Ma intorno alla quinta ora del settimo giorno, all’improvviso dell’acqua sgorgò nel lato orientale del suo recinto e, dopo aver scavato, si trovò una sorta di caverna piena d’acqua. Allora in quel luogo si costruirono sette bocche (per l’acqua) e tutti glorificavano il Dio dei cieli e della terra.
22.[6] Una certa regina dei Saraceni, che era sterile, giunse dal santo a supplicarlo di renderla madre, giacchè veniva insultata ogni giorno da suo marito. Prosternandosi molte volte e pregando, se ne rimaneva per vari giorni, perseverando, presso la colonna del santo Simeone. Le fece dunque dire il santo: “Torna a casa tua e il signore ti farà avere ciò che ti serve”. Tornata a casa sua, si congiunse a suo marito e subito rimase incinta. Partorì una figlia, ma questa per cinque anni non parlò e non camminò. Allora ella andò con suo marito e sua figlia a piangere dal santo e costui in risposta disse loro: “Rimanete e Dio vi risponderà”. Poichè passarono sette giorni senza che ricevessero beneficio, angustiandosi se ne tornarono a casa, dicendo: “Il Signore non ha voluto assolutamente guarirla”. Mentre erano in viaggio, avendo coperto non poca distanza, si girarono a guardare la colonna del santo Simeone. Ed ecco la loro figlia improvvisamente strillò dicendo: “Gloria a te santo Simeone!”. E a questa vista i genitori della bambina resero gloria a Dio a causa del santo Simeone.
23. Ascoltate un altro mistero. Un giorno, mentre dei soldati erano di passaggio, una donna che desiderava molto vedere il santo Simeone in persona si domandava con che pretesto lo avrebbe visto; si immaginava, dunque, di travestirsi da uomo e di riuscire a vederlo. Così un giorno vide molti soldati che andavano dal santo per una preghiera. E, travestitasi da soldato, anche lei si incamminava con loro.Giunti al luogo in cui era la colonna del santo Simeone, disse ai soldati che erano con lei: “Fratelli, se volete lasciate a me i vostri animali, entrate e fatevi benedire dal Giusto, poi, quando sarete usciti, allora entrerò anch’io per ottenere di essere benedetto dal santo”. Quando quelli furono entrati e si furono inginocchiati, il santo Simeone disse loro: “Un soldato dei vostri è rimasto fuori”. Quelli gli risposero: “Sì, signore; fa la guardia ai nostri animali”. E in risposta il santo disse loro: “Quando sarete usciti ditegli: non darti pena, giacchè la tua preghiera è stata ascoltata e sei stato benedetto dal Signore”. Allora essi, una volta usciti, facevano domande, dicendogli: “Che cosa hai fatto di buono agli occhi di Dio? Giacchè infatti il Giusto ci ha detto: “Dite a quel soldato con voi che è rimasto fuori: non darti pena, giacchè la tua preghiera è stata ascoltata e sei stato benedetto dal Signore””. In risposta disse loro: “Vi prego, fratelli, sono una donna e avevo un grande desiderio di vedere il giusto, poichè sono una peccatrice”. Udite queste parole i soldati furono presi da stupore, rendendo gloria a Dio per il santo Simeone, e se ne andarono in pace.
24. Vogliate ascoltare un altro mistero. Essendo giunta una gran folla per essere benedetta, il servitore andò secondo l’uso con dell’incenso, gridando al santo: “Servo di Dio, il popolo aspetta di ricevere la tua benedizione, per favore falli tornare indietro, giacchè infatti stanno aspettando da lunghe ore e non hanno avuto alcuna risposta.” Difatti non si manifestava neppure il suo respiro. Poichè io pure urlavo in continuazione, ma senza ricevere risposta, il servitore cominciò a emettere gemiti acuti vicino alla colonna, pensando che fosse morto. E avendo visto, la moltitudine del popolo si mise a gemere e a percuotersi forte il petto, lamentandosi dei propri peccati. Ma dopo circa un’ora buona, improvvisamente il suo santo respiro ritornò e in risposta disse al popolo: “Fratelli, in questo momento in mare veniva sbattuta fortemente dalle onde in tempesta una grande nave, con più di trecento anime a bordo: e ciascuna di loro mandò alte grida, invocando il signore Iddio. E poichè mi invocavano con tremendi giuramenti, avendo io visto la loro sorte, ho implorato Dio, che sempre è tollerante nei confronti dei nostri peccati, di calmare il mare e, avendo teso loro una mano, li ho salvati tutti”. Così, avendo ascoltato il mistero, il popolo innumerevole rendeva gloria a Dio per il santo Simeone. E dopo averli benedetti, il giusto li congedò in pace.
25. Un grosso ascesso venne fuori dalla pelle di un serpente femmina e, per le sue sofferenze, essa se ne correva lontano per circa un miglio. Il maschio, compatendo le sue pene, avendo preso la sua femmina, se ne andava con lei dal santo Simeone; giunti alla colonna, si separarono l’uno dall’altra. La femmina, infatti, non osando farsi vedere dal giusto, raggiunse la parte riservata alle donne, mentre il maschio, dopo essere entrato con la folla in quel luogo, si arrotolò alla colonna <http://www.louvre.fr/llv/oeuvres/detail_notice.jsp?CONTENT<>cnt_id=10134198673225351&CURRENT_LLV_NOTICE<>cnt_id=10134198673225351&FOLDER<>folder_id=9852723696500926&fromDept=false&baseIndex=7> , muovendo la testa in basso e in alto e pregando il santo. La folla, avendo visto la grandezza del serpente, se ne scappava via da lui. Ma ecco il santo Simeone disse alla folla: “Non fuggite, fratelli; in verità, infatti, è giunto qui con una preghiera, perchè la sua femmina è molto malata ed è andata nella parte riservata alle donne.” E disse al serpente: “Prendi da terra del fango e portalo alla tua femmina. E dopo averglielo messo sopra, soffiale addosso e questo la guarirà”. Il serpente, dunque, avendo preso un po’ di fango, andò dalla sua femmina. La folla, osservata la scena, lo seguì, per vedere cosa volesse fare. Così, videro la sua femmina stare dritta fuori dai cancelli con un grande ascesso e il serpente mettere il fango che aveva portato sopra di lei; e, dopo averle soffiato addosso, la guarì alla presenza di tutti. Quindi, presala con sé, se ne andò. E la folla, osservato il mistero, rese gloria a Dio.
26. Un altro miracolo capitò ai giorni suoi. Essendo infatti sopraggiunta la grande minaccia del terrore per tutta la terra[7], si recavano da lui tutta l’Anatolia e Antiochia, pregandolo di scongiurare Iddio. Infatti c’erano state molte cadute di abitazioni e morti di molti uomini, al punto che anche il giusto con la sua colonna era stato scosso come una canna dal vento. E piangendo con loro, disse alla folla: “Fratelli, tutti hanno deviato, tutti sono divenuti inutili, non c’è un uomo che faccia il bene, non ce n’è neanche uno! Non mi ascoltate, ma per aver la meglio l’uno sull’altro, le vostre fornicazioni e azioni contro la giustizia hanno superato ogni limite. In verità vi dico, fratelli: per me è più facile parlare con il Signore che con voi infedeli!”. E avendo loro ordinato di smettere di supplicare, pregò, mentre di contro rimaneva in loro la minaccia che agitava ogni cosa. Allora raccomandò loro di intonare a gran voce il Kyrie eleison. Ma poichè quelli rimanevano per molte ore e gli gridavano: “Dà a noi la pace”, fece una lunga preghiera. Dopo aver concluso la preghiera, in risposta disse alla folla: “Fratelli, in verità vi dico che tra tutta questa moltitudine nessuna anima è stata esaudita, se non una; dunque, per dimostrarvelo, ecco che la faccio venire nel mezzo!”. E avendo ordinato (a un uomo) di venire alla presenza di tutti, lo interrogò dicendo: “Fratello, credimi quando dico: tra tutti questi, tu solo sei stato ascoltato; ma soddisfaci tutti e dicci cos’hai fatto di buono!”. Ma quello non osava, dicendo: “Sono un peccatore, scusatemi”. Tuttavia, venendogli fatta pressione a lungo, giunse a lui una voce dal cielo, che diceva: “La tua preghiera è stata ascoltata!”. Allora il contadino stando in mezzo a tutta quella folla cominciò a spiegare loro: “Io sono un colono e mia abitudine è dividere il frutto della mia giornata, anche se per questo mi sono affaticato, in tre parti. Innanzitutto metto in serbo la parte dei poveri, poi l’imposta del fisco, e quindi la parte delle mie spese personali. E fino a questo giorno, non ho smesso di agire in questo modo”. Allora tutti, baciandolo, lo ossequiavano. E gli si assiepavano intorno, poichè ciascuno smaniava di vederlo.
27. Un certo Giuliano, un uomo del seguito di Ardaburio, non smetteva di importunare Ardaburio dicendogli: “Dammi il permesso e, salito su, lo tiro giù dalla colonna e lo riempio di botte”. < Il testo ha una lacuna di circa una linea> Ed essendosi recato nei pressi del santo e avendo appoggiato una scala alla colonna, Giuliano vi salì pensando di tirarlo giù. Ma arrivato al terzo gradino, la scala si scostò dalla colonna, restò sospesa da terra a una distanza di circa quattro cubiti e rimaneva sospesa in aria. Allora tutti si stupivano alla vista che si presentava; Giuliano[8], irritatosi, tendeva il suo arco con l’intenzione di colpirlo, ma improvvisamente la sua mano si irrigidì e non riuscì a far partire la freccia. Non solo la sua mano fu colpita dalla gotta, ma anche il piede restò ammalato fino al giorno della sua morte.
28. Il beato dunque rimase su diverse colonne per quarantasette anni e dopo tutte queste vicende (Dio) lo venne a cercare. Era venerdì e si era chiuso in preghiera e si comportava come al solito; passò così tutto il venerdì, il sabato e la domenica, ma non si alzò, come faceva di solito, per benedire le persone inginocchiate. Allora, quando me ne accorsi, salii da lui e guardai il suo viso ed esso era splendente come il sole. Sebbene avesse l’abitudine di parlarmi, non mi rispondeva. Allora dissi a me stesso che era morto; ma subito ebbi dei dubbi, temevo di avvicinarmi a lui, tuttavia osai dirgli: “Signore mio, perchè non mi parli e cessi la tua preghiera? Il popolo attende di essere benedetto: vedi, sono ben tre giorni!”. E avendo atteso per quasi un’ora, gli dissi: “Non mi rispondi nulla, mio signore?”. Poi, avendo allungato la mano, gli toccai la barba e quando vidi che il suo corpo era più molle, capii che era morto. Allora, con il viso tra le mani, piansi amaramente e abbassatomi gli baciai la bocca, gli occhi e la barba; sollevatogli quindi il mantello, baciai i suoi piedi e, afferrata la sua mano, la posai sui miei occhi. E su tutto il mio corpo e sulle sue vesti c’era un odore di balsamo profumato, cosicché ero pieno di gioia per quella fragranza. Ed essendomi trattenuto per circa una mezz’ora, vegliai sulle sue venerabili spoglie ed ecco che il suo corpo con la colonna fu scosso e udii una voce che diceva: “Amen, amen, amen!” E per la paura dissi: “Benedicimi, signore, e ricordati di me nel tuo felice riposo”.
29. Quindi scesi e non rivelai a nessuno il mistero, perchè non accadessero disordini, ma per mezzo di un uomo fidato feci sapere l’accaduto al vescovo di Antiochia, Martirio, e al generale Ardaburio. Il giorno dopo il vescovo di Antiochia si incamminò con altri sei vescovi; si incamminò pure Aradaburio con seicento uomini, affinché le persone dei villaggi vicini, radunatesi, non cercassero di impadronirsi delle sue sante spoglie: così di fatti si progettava. Erano state poste delle cortine intorno alla colonna; tre vescovi salirono e baciarono le sue vesti, recitando tre salmi. Avevano portato una bara di piombo e vi deposero il suo santo cadavere; lo fecero scendere con dei mangani e allora tutti seppero che il santo Simeone era morto, cosicchè anche tutti i Saraceni si raccolsero in armi coi cammelli, volendo anche loro impadronirsi del cadavere. Ci fu un tale assembramento di folla che non si vedeva più la montagna per la moltitudine e per il fumo degli incensi, dei ceri e dei lumi accesi, i quali erano innumerevoli. Le grida della lamentazione degli uomini, delle donne e dei bambini giungevano fino a una grande distanza e l’intera montagna vacillava per il clamore degli uccelli, che si erano raccolti e volavano tutt’intorno al recinto del santo. Quando, dunque, lo portarono giù, lo collocarono sull’altare di marmo che era davanti alla sua colonna. Pur essendo morto già da quattro giorni, pure così il suo santo cadavere si mostrava disteso come se fosse morto da un’ora soltanto. Tutti i vescovi gli diedero il bacio di pace. Il suo viso era tutto splendente come la luce, mentre i capelli sulla sua testa e i peli della sua barba erano come la neve. Il vescovo di Antiochia volle togliere un pelo della sua barba come reliquia, ma la sua mano fu inaridita; allora tutti i vescovi fecero una preghiera per lui, piangendo e dicendo alle sante spoglie: “Non ti manca nessuna delle membra e nessun vestito, e nessuno leverà più alcuna parte del tuo cadavere santo e venerabile”. A queste parole, con gemiti la mano del vescovo tornò sana; allora con salmi e inni lo collocarono nel feretro.
30. Ed io peccatore vidi, undici giorni prima della sua morte, un uomo con un abbigliamento terrificante, che non riesco a descrivere e la cui taglia era come quella di due uomini: costui gli parlò per tre giorni e gli diede il bacio di pace. Io volevo raccontare a qualcuno queste cose che lo riguardavano, ma la mia mente fu rapita e fui privato della facoltà di parlare, finchè non fu morto. Quando, dunque, giunse da lui l’uomo che dicevo, ebbi la visione, direi, che mangiassero - ma cosa mangiassero, non lo vidi - e che cantassero dei salmi - ma che salmi cantassero, non lo udii, se non solo l’Amen. E un terrore mi prese alla vista dell’uomo.
31. Deposero dunque la cassa del santo sul carro e così, con ceri, incensi e cantando salmi, lo portarono alla loro città di Antiochia. Quando giunsero a circa cinque miglia dalla città, in un luogo chiamato Merope, le mule si fermarono e non si volevano muovere; infatti lì accadde un mistero straordinario. Sul lato destro della strada c’era una tomba e vi stava accanto un uomo. La vicenda dell’uomo era la seguente. Per vent’anni aveva amato una donna sposata senza potere impadronirsi di lei. La donna poi morì e la deposero in quella tomba. E poichè il Nemico del bene si approfittò dell’anima dell’uomo, quest’uomo, recatosi alla tomba, aprì la lastra sepolcrale e si unì al corpo della morta. E improvvisamente fu reso sordomuto, fu trattenuto nella tomba e non poteva più scappare da quel luogo. Quando i viandanti passavano, si fermavano da lui che sedeva sui gradini della tomba e ciascuno, in nome di Dio, gli dava chi acqua, chi cibo. Dunque per volontà di Dio, mentre passavano i resti del santo in quel giorno e pur non potendo quello né parlare né sentire, quando il carro con la folla si fermò, l’uomo uscì dalla tomba urlando e dicendo: “Abbi pietà di me, o santo di Dio Simeone!”. E avendo toccato il carro, subito le sue mascelle si aprirono e la sua mente tornò alla ragione. E tutti, avendo visto l’accaduto, resero gloria a Dio e quel luogo fu riempito dal clamore della folla, mentre l’uomo gridava: “Io oggi sono stato salvato da te, servo di Dio, poichè ero in stato di perdizione per il mio peccato”.
32. Tutta la città uscì per andare incontro alle venerabili spoglie e tutti erano vestititi di bianco, con ceri e lampade. Quindi lo portarono alla chiesa detta di Cassiano. Dopo trenta giorni, per ordine del generale Ardaburio, lo collocarono nella Grande Chiesa. Quindi in seguito, per una rivelazione divina, fu costruita una cappella del santo e pio Simeone e così, con grande pompa e inni, deposero le sue sante spoglie in quella cappella.
33. Molti, avendo offerto dell’oro o dell’argento, pregavano (il vescovo) per ottenere una reliquia dalle sue spoglie sante. Ma il vescovo non le diede a nessuno, secondo i giuramenti che aveva reso. Molte guarigioni si compiono in quel luogo dove riposano le sue venerabili spoglie, per la grazia che era stata a lui donata da Cristo, nostro signore. Il santo Simeone morì il primo del mese di Settembre, nel regno di nostro signore Gesù Cristo, al quale gloria e potenza nei secoli dei secoli, Amen.
34. Ed io, che sono l’infimo Antonio, guardiano della chiesa, ho raccontato una parte della storia: chi mai infatti potrebbe degnamente descrivere i suoi miracoli e le sue guarigioni o riportare se non parzialmente le sue azioni immacolate, in lode e gloria a Dio nei secoli dei secoli, Amen!
Note
[1] J.-M. Sansterre, Les saints stylites du Ve au XIe siècle. Permanence et évolution d’un type de sainteté, in J. Marx (ed.), Sainteté et martyre dans les religions du Livre, Bruxelles, Edition de l’Université de Bruxelles, 1989, 33-45.
[2] H. Lietzmann, Das Leben des Heiligen Symeon Stylites, Leipzig, J.C. Hinrichs’sche Buchhandlung, 1908; A.J. Festugière, Antioche paienne et chrétienne. Libanius, Chrysostome et les moines de Syrie, Paris, E. De Boccard, 1959 a cui rimando per le esaustive note di commento. Per una recente traduzione in inglese delle vite di Simeone, che non contiene però i testi in lingua originale, si veda R. Doran, The Lives of Simeon Stylites, Kalamazoo, Cistercian Publications, 1992.
[3] Festugière, Antioche paienne et chrétienne, cit.; H. Delehaye, Les Saints stylites, Bruxelles, Societé de Bollandistes, 1923. Contra vedi ad es. S. Ashbrook Harvey, The Sense of a Stylite: Perspectives on Simeon the Elder, «Vigiliae Christianae», 42 (1988), 376-394.
[4] Sul complesso monumentale si veda G. Tchalenko, Villages Antiques de la Syrie du Nord. Le Massif du Bélus a l’époque romaine, I, Paris, P. Geuthner, 1953, 223-276.
[5] Ps 50,7
[6] I miracoli dal cap. 22 al 27 compresi si trovano solo in alcuni manoscritti.
[7] Si tratta di terremoti che colpirono la zona nel 457-459, ma la cui data precisa è discussa, cfr. Festugière, Antioche paienne et chrétienne, cit., pp. 365-368.
[8] Il testo greco di Lietzmann porta “Ardaburio”, ma Festugière (Antioche paienne et chrétienne, cit., 362 e 505) legge e intende Giuliano.