Paolo Mattera, Il conflitto ben temperato. Le assicurazioni sociali in Francia negli anni Venti, tra riforme e lotta politica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018, 197 pp.
La storia del sistema di protezione sociale francese, il cosiddetto État providence – sintagma coniato nel 1864 per indicare, con valenza negativa, l’interventismo dello stato in campo sociale – è stato oggetto di numerosi studi. Ma quando si strutturò in forma compiuta il sistema occupazionale, ovvero distinto per categorie professionali, che caratterizza ancora oggi il welfare state francese? Quando nacque questo modello? Il volume di Paolo Mattera risponde a questa domanda, collocandone la ‘fase costituente’ nel decennio successivo alla prima guerra mondiale. Fu nei lunghi confronti che si svilupparono dentro e fuori il Parlamento tra il 1921 (anno in cui fu presentato un primo progetto di riforma delle assicurazioni sociali) e il 1930 (anno in cui il testo finale, modificato rispetto all’originale, fu infine varato) che si delineò uno schema di protezione sociale destinato a durare a lungo. Anche dopo il 1945, infatti, il sistema fu modificato solo in senso incrementale, senza tuttavia rivoluzionarne l’architettura esistente. La legge del 1930 introdusse l’assicurazione obbligatoria per tutti i lavoratori salariati, ampliando notevolmente la platea dei beneficiari rispetto al passato; risultava ora coperto circa il 56% della popolazione attiva. Ampie anche le prestazioni accordate, che riguardavano sia l’assistenza malattia (cure gratuite e indennità per i giorni di assenza dal lavoro) che la pensione di vecchiaia e di invalidità. L’obiettivo, raggiunto, fu garantire a un maggior numero di francesi servizi, prestazioni e costi uniformi.
Nell’individuare nella riforma degli anni Venti il tassello decisivo per la costruzione dello stato sociale d’Oltralpe, l’autore si riallaccia a una categoria interpretativa, quella sintetizzata dalla formula warfare-welfare, che in anni recenti è stata spesso utilizzata per analizzare la dinamica evolutiva dei sistemi di protezione sociale, ovvero le guerre di massa come momenti di promozione e accelerazione di riforme latamente sociali. Nel caso francese, alle necessità dello stato di rispondere ai nuovi bisogni indotti dal conflitto, si legava un’ulteriore forma di pressione verso un’estensione di più ampie garanzie nei confronti dei molti rischi sociali: il ritorno entro i confini nazionali di Alsazia e Lorena. I cittadini delle due zone godevano infatti, dagli anni Ottanta dell’Ottocento, di una rete di assicurazioni sociali assai più articolato di quello dei neo–connazionali; si trattava di un sistema obbligatorio per malattie, infortuni, vecchiaia e invalidità gestito con il decisivo concorso dello stato. Un possibile regresso dei loro diritti avrebbe quindi rappresentato, dal punto di vista politico e simbolico, un problema che il governo di Parigi non poteva facilmente eludere. Ma la decisione di preservare il modello già in funzione nei territori riannessi, anche per ragioni di sostenibilità economica, poteva essere presa solo inserendone strutture e finanze, in un quadro più ampio, nazionale. É anche con tale obiettivo che fu pensato il progetto del 1921.
Da qui muove anche una messa a fuoco importante che l’autore avanza in merito ai centri propulsori dell’iniziativa riformatrice. Lontana dall’essere una conquista operaia, frutto di lotte finalizzate a questo scopo, la spinta iniziale alla riforma delle assicurazioni sociali trovò origine dentro le stanze dei ministeri. Furono in particolare alcuni funzionari, Commis d’État già da tempo conoscitori dei complessi meccanismi previdenziali – membri di quella che viene definita la “comunità epistemica” degli esperti – che giocarono un ruolo decisivo nell’avvio della discussione (George Cohen Salvador, da anni funzionario del Ministero del Lavoro, fu materialmente l’autore del testo originario). In contrasto con quanto accadrà nella seconda metà del XX, in Francia come altrove, quando l’opinione pubblica mostrerà grande interesse verso la legislazione sociale e sarà disponibile a mobilitarsi per una sua difesa e per un suo rafforzamento, nei primi decenni del Novecento le forze in grado di dare impulso a istanze riformatrici in campo previdenziale, e poi di orientarne l’esito, erano altre.
E questo emerge con chiarezza dalle lunghe discussioni, vere e proprie trattative, che cominciarono a partire dal 1921 e di cui il volume ricostruisce in modo chiaro ed esaustivo momenti, dinamiche e attori. Nell’arena del dibattito si misurarono sia visioni differenti della protezione sociale sia precisi rapporti di forza, ovvero quelli espressi dalle associazioni degli industriali e dai rappresentanti delle casse mutue in primis, dai sindacati in subordine. Forze spesso divise al loro interno (diversa per sensibilità e bisogni l’industria metallurgia da quella tessile, la piccola dalla grande industria, le casse mutua espressione dei lavoratori dei centri urbani o del frastagliato mondo rurale; diviso il sindacato tra le componenti riformiste, comuniste, cattoliche). Fu infine dall’alleanza tra le associazioni del mutualismo e quelle degli industriali che maturò la strada per accettare, pur con emendamenti significativi rispetto al testo originale, la riforma della protezione sociale. Si trattò in entrambi i casi di forze che individuavano il pericolo della nuova legge non tanto nell’estensione della protezione e della platea dei beneficiari, quanto nei modi di gestione, a prevalenza statale, delle nuove istituzioni previdenziali che sarebbero sorte e nelle forme di controllo delle loro (cospicue) finanze. Fu dunque sul terreno dell’opposizione all’opzione statalista presente nel testo originario che si saldò l’alleanza tra fronte industriale e movimento mutualista. E tuttavia, è indubbio che fu attraverso la gestione «ben temperata» di un conflitto che si arrivò alla creazione di una nuova comunità previdenziale: una comunità nazionale ampia e trasversale ai molti e diversi settori del mondo del lavoro, premessa e base di ogni modello di welfare state moderno.
La ricostruzione della vicenda francese degli anni Venti riconferma poi la validità, da tempo messa in luce sul welfare state, dei fenomeni di cosiddetta path dependance. Lontano dalle modellizzazioni e dalle astrattezze con cui questa categoria è stata talvolta utilizzata negli studi di matrice politologico-sociologico, l’autore è qui in grado di darle concretamente corpo attraverso l’analisi minuta di un contesto storico concreto, un contesto fatto di rapporti di forza, ma anche di eredità culturali importanti. Si pensi alla tradizione del solidarismo francese tardo ottocentesco di Léon Bourgeois che, come emerge implicitamente dalle pagine del volume, permea profondamente la storia della mutualità francese nel lungo periodo e le sue posizioni in merito alle riforme sociali.
A una chiara e convincente struttura organizzativa e argomentativa, che si salda con una documentazione archivistica ricca e puntuale con cui l’autore dà voce con efficacia ai diversi attori in campo, il volume unisce il pregio di una scrittura limpida e piacevole. Un merito per nulla secondario, specie per temi dall’alto tasso di tecnicismo come quelli legati al welfare state e che, forse anche per queste ragioni, sono state sino a oggi piuttosto lontane dal tavolo di lavoro degli storici italiani.