Erik Jensen, “Barbarians in the Greek and Roman World”, Indianapolis/Cambridge, Hackett Publishing Company, 2018, 296 pp.
Eric Jensen (Salem State University, Massachusetts, USA) propone una panoramica sul problema della percezione delle culture europee e asiatiche da parte dei Greci e dei Romani. L’opera segue una rigorosa scansione cronologica i cui estremi sono dati rispettivamente dall’età micenea e dalla tarda antichità.
Ogni argomento è supportato da un apparato bibliografico esaustivo. Più contenuto, seppur presente e tutto sommato efficace, è invece il complesso delle fonti, complice sicuramente l’esigenza di riassumere in poche pagine alcuni degli episodi più documentati e discussi di tutta la storia dell’antichità. Essendo destinato evidentemente a più fasce di lettori, il testo presenta una certa disinvoltura nell’elencazione di episodi non sempre supportati da una documentazione completa, la cui raccolta potrà pur sempre essere svolta dal lettore stesso col sussidio della bibliografia di riferimento.
Il testo si articola in tredici capitoli che ripercorrono gli scenari del mondo greco, del mondo romano e della tarda antichità.
Dopo aver discusso a titolo introduttivo l’immaginario moderno del barbaro nei prodotti di intrattenimento di massa, nel primo capitolo Jensen pone subito al centro della riflessione il concetto di identità. Come a più riprese evidenziato lungo tutto lo studio, l’identità culturale costituisce un costrutto sociale sensibile agli effetti dello spazio e del tempo: di questo processo di costruzione risente anche la percezione di tutto ciò che è “altro” rispetto all’identità dell’osservatore.
Nei cinque capitoli successivi viene presentata la prospettiva dei Greci dall’età micenea all’età ellenistica. Particolare rilievo è dato alla genesi di alcuni dei più duraturi stereotipi relativi alle culture dell’Europa continentale e del mondo orientale, destinati ad influenzare l’immaginario etnografico degli osservatori greco-romani e poi cristiani e occidentali fino a tempi recenti. Una trattazione a parte è riservata, nel quarto capitolo, alle Guerre persiane in quanto fucina di sentimenti identitari di portata panellenica e di canoni espressivi propagandistici permeati dalla retorica dello “scontro di civiltà”. L’autore, conformemente allo stato dell’arte attuale, mantiene la dovuta cautela rispetto a narrazioni e temi dai connotati ellenocentrici rievocati spesso acriticamente dagli studiosi fino al secolo scorso.
Nel capitolo successivo viene sollevata l’annosa questione della “grecità” dei Macedoni, che pone in evidenza l’esperienza personale dell’individuo nella definizione dell’identità culturale e, nella fattispecie, il senso di appartenenza di certa aristocrazia macedone alla cultura ellenica. In questa sezione emerge l’estensione del sistema-mondo europeo e asiatico dell’epoca, profondamente interconnesso e privo dei contrasti culturali individuati dalla critica nei secoli scorsi. La revisione di questa lettura ad oggi obsoleta prosegue nel capitolo relativo all’età ellenistica, in cui si condanna l’immagine, assai popolare tra diciannovesimo e ventesimo secolo, di una grecità proto-liberista lanciata in una giusta opera di colonizzazione in un mondo subordinato al dispotismo orientale.
Il settimo capitolo è dedicato a Roma e al suo rapporto con le comunità italiche in età monarchica e nella prima età repubblicana. L’autore segnala come l’Urbe, fino al IV secolo a.C., abbia interagito in modo creativo con le altre realtà culturali della penisola (Sabini, Latini, Etruschi etc.) integrandole nel proprio tessuto sociale e politico. La formazione di un sentimento identitario più rigido è imputabile a contingenze politiche esterne, e in particolare al confronto con i Cartaginesi e i Galli, che vede riproporsi meccanismi propagandistici e retorici di ascendenza ellenica. Nel capitolo successivo la funzione politica dello “scontro di civiltà” viene individuata anche nelle campagne di I secolo a.C., e in particolare nella Guerra sociale e nelle spedizioni di Cesare e Crasso, qui intese come tentativi di ricomporre la coesione decadente del dominio romano.
Nel nono capitolo occupa una posizione di rilievo il problema delle relazioni tra Greci e Romani, in cui si introduce la questione dell’identità romana, della cittadinanza e del rapporto tra l’Impero e le culture sottomesse. I due capitoli successivi sono dedicati rispettivamente alla definizione di “romanizzazione”, accompagnata da un riepilogo ben formulato dei relativi studi, e al concetto di limes.
Il penultimo capitolo descrive il controverso e discusso scenario delle “invasioni barbariche” e i cortocircuiti degli ultimi due secoli della storia del mondo antico. L’autore rinnova in questa sede il suo invito alla cautela, già avanzato nei capitoli precedenti, rispetto alle narrazioni che individuano nei movimenti di popoli una pulsione consapevole, collegiale, ponderata e connotata da affermazioni identitarie.
Sebbene questa raccomandazione sia assolutamente condivisibile, non si dovrebbe incorrere nell’errore opposto. È vero che l’immagine di compagini barbariche autocoscienti votate alla demolizione della civiltà non può più essere supportata, in quanto ellenocentrica e romanocentrica. Tuttavia, quanto l’autore stesso afferma, col supporto della critica moderna, circa l’inesistenza di un seppur flebile sentimento identitario interno a grandi gruppi linguistici o culturali, necessita della stessa cautela: l’impressione che solo i Greci e i Romani avessero coscienza della loro lingua e della loro cultura potrebbe essere a sua volta il prodotto di una visione ellenocentrica o romanocentrica.